venerdì 11 gennaio 2013

Servitù di parcheggio non configurabile nel cortile condominiale

Cass. Civ. sez. II, sent. 13.9.2012 n° 15334

Con la sentenza 13 settembre 2012, n. 15334 la Corte di Cassazione ribadisce un principio già espresso in precedenza: si afferma, in particolare, che non è configurabile una servitù di parcheggio.
La vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte origina dalla domanda, proposta da alcuni condomini, di essere reintegrati nel possesso di un secondo cortile del proprio stabile, di cui non erano però proprietari. L’accesso gli era stato negato mediante l’apposizione di una sbarra.
Il Tribunale di Bologna pronuncia, prima, il provvedimento provvisorio di reintegra, ordinando la rimozione della sbarra e facoltizzando i ricorrenti ad accedere al suddetto cortile e successivamente, al termine del giudizio di primo grado,  conferma i provvedimenti di reintegra nel possesso, condannando la convenuta alla rimozione della sbarra e al pagamento delle spese.
La Corte d’Appello adita ribalta la decisione di primo grado. Nega, infatti, la sussistenza dei presupposti necessari affinché si possa parlare di possesso; nello specifico la Corte territoriale ritiene che non sia configurabile “l’animus rem sibi habendi”.
Come ci si poteva aspettare, i ricorrenti propongono ricorso per Cassazione ma al termine di tale grado di giudizio la situazione non cambia, o meglio, la Suprema Corte condivide l’esito della sentenza ma non le sue motivazioni.
Infatti, mentre la Corte d’Appello nega la tutela possessoria, non ritenendo configuratosi l’animus rem sibi habendi, gli Ermellini escludono tale tutela su altre basi.
I ricorrenti insistono nella loro domanda, ritenendo che il possesso da essi esercitato sul secondo cortile, mediante il parcheggio della propria autovettura, corrisponda ad un diritto reale in re aliena, in buona sostanza, ad un diritto reale a parcheggiare l’auto nel cortile di cui altri erano proprietari, e quindi ad una servitù.
Ebbene, la Corte, proprio soffermandosi su tale affermazione, rigetta la domanda possessoria in quanto condivide l’orientamento maggioritario secondo il quale nel nostro ordinamento non sono ammissibili  servitù personali che vengono, quindi, considerate nulle per contrarietà al numero chiuso dei diritti reali.
Aspetto peculiare delle servitù è, appunto, il soddisfacimento di un interesse fondiario che nelle servitù personali è del tutto assente rilevando, invece, solo l’utilità che ne trae il singolo.
Come è noto le servitù sono diritti reali di godimento e vengono definite dal codice civile come pesi imposti sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario. Orbene, viene valorizzato l’assoggettamento di un fondo, detto servente, ad un altro fondo, detto dominate.
E’ inammissibile, pertanto, che una servitù sia caratterizzata da una limitazione imposta a un fondo non a favore di un altro fondo, ma a vantaggio di determinati interessi personali quali, per l’appunto, l’esigenza di avere un parcheggio comodo.
Del resto, come è noto, gli interessi personali esorbitanti l’utilità del fondo possono essere soddisfatti mediante la costituzione di un contratto ad effetti obbligatori, avente il contenuto di un contratto ad effetti reali costitutivo di una servitù prediale, che la giurisprudenza riconduce entro lo schema del contratto di locazione o dei contratti quali l’affitto e il comodato
Pienamente convincente appare, quindi, il percorso argomentativo compiuto dalla Corte allorquando rigetta la domanda dei ricorrenti.
In particolare, merita di essere evidenziato il passaggio motivazionale nel quale la Suprema Corte, richiamandosi alla recente sentenza della  Cass. n. 1551/2009 ritiene che “per l’esperimento dell’azione di reintegrazione occorre un possesso qualsiasi, anche se illegittimo ed abusivo, purché avente i caratteri esteriori di un diritto reale, laddove il parcheggio dell’auto non rientra nello schema di alcun diritto di servitù, difettando la caratteristica tipica di detto diritto, ovverosia la realità (inerenza al fondo dominante dell’utilità così come al fondo servente del peso), in quanto la comodità di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come una utilità inerente al fondo stesso, trattandosi di un vantaggio del tutto personale dei proprietari”.
Ad onor del vero, proprio su tale ultima affermazione una parte, seppur minoritaria, della dottrina e della giurisprudenza, ha ritenuto che se si prendesse in considerazione la destinazione economica del fondo dominante si potrebbe giungere a conclusioni diverse.
In buona sostanza, per il fondo dominante con destinazione abitativa, il diritto a parcheggiare su un fondo vicino, comporterebbe un’evidente utilità. Quest’ultimo, infatti, potrebbe trarre, dalla vicinanza di un secondo parcheggio, un’utilità quanto meno economica facendo aumentare, in tal modo, il proprio prezzo di vendita.
Le stesse considerazioni, sempre secondo l’indirizzo minoritario, non si potrebbero sostenere laddove si parlasse di fondo rustico; in quest’ultimo caso apparirebbe evidente l’esistenza di un’utilità solo del singolo proprietario.
Ad avviso di chi scrive tale argomentazione appare  poco convincente.
Più aderente ai principi giuridici presenti del nostro ordinamento, è, sicuramente, la soluzione accolta dalla Corte, secondo la quale l’utilizzo di un parcheggio, negato dall’apposizione di una sbarra, non può, in alcun modo essere tutelata mediante l’azione di reintegrazione del possesso di servitù.

(Da Altalex del 20.12.2012. Nota di Gloria Urbani)