mercoledì 16 gennaio 2013

Dire che avvocato ha sbagliato non basta per risarcimento

La responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del cliente per negligente svolgimento dell’attività implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse stata svolta correttamente. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 22376/2012.
Il caso. Un ex ministro, colpevole di aver concesso in locazione a canoni non di mercato gli appartamenti siti in un immobile di prestigio a Roma, che avrebbero potuto essere usati per scopi istituzionali o, quanto meno, affittati a prezzi di mercato, cita in giudizio i suoi avvocati per chiedere il risarcimento dei danni derivatigli dall’esecuzione di una sentenza della Corte dei Conti, passata poi in giudicato. Secondo il condannato, tutto ciò sarebbe conseguenza di gravi errori dei difensori, che dapprima avevano omesso di depositare tempestivamente l’istanza di fissazione dell’udienza e poi, nel successivo ricorso per cassazione, avevano determinato la declaratoria di improcedibilità non avendo prodotto copia autentica della sentenza impugnata. Le richieste del politico, tuttavia, non trovano accoglimento nei due gradi di merito e la questione giunge allora davanti alla Suprema Corte.

Il giudizio di legittimità. Nel rigettare il ricorso, gli Ermellini ribadiscono: «La responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del cliente per negligente svolgimento dell’attività implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse stata correttamente svolta». In sostanza, non basta il solo fatto del mancato corretto adempimento dell’attività professionale per affermare la responsabilità dell’avvocato: bisogna provare il nesso eziologico tra condotta del legale e risultato. Il giudizio prognostico deve essere svolto dal giudice di merito, che deve valutare se la pretesa azionata, senza la negligenza o imperizia dell’avvocato, potesse essere ritenuta fondata e se dunque il risultato potesse essere più favorevole al patrocinato. Quanto alla supposta perdita di chance derivante dall’impossibilità di pervenire a una soluzione transattiva, la Cassazione non può che ribadire che il ricorrente avrebbe dovuto fornire elementi oggettivi dai quali desumere l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.


(Da avvocati.it del 15.1.2013)