sabato 31 marzo 2012

Liquidazione pensioni, ineseguibilità sentenze condanna generica

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 2065/2012, depositata il 1° febbraio 2012, ha riaffermato il principio, in materia pensionistica, che le sentenze meramente dichiarative non possono essere poste in esecuzione.
La fattispecie concreta era relativa alla notifica di precetto per ottenere la liquidazione di presunte differenze pensionistiche a seguito di sentenza di primo grado sul presupposto che la Cassa avesse illegittimamente dichiarato invalidi ai fini pensionistici alcuni anni per mancanza della continuità professionale e, quindi, che il trattamento pensionistico dovesse essere ricalcolato.
Il Tribunale di Roma, con la prima sentenza del 2010, in accoglimento del ricorso del professionista, aveva dichiarato il diritto di quest’ultimo al ricalcolo della pensione e la Cassa ha promosso appello avverso tale sentenza. Successivamente, l’interessato ha notificato atto di precetto, in virtù di tale prima sentenza del 2010, chiedendo la corresponsione delle differenze pensionistiche dovute e la Cassa ha opposto il precetto in questione sul presupposto che la pronuncia di condanna era generica. Nel frattempo, comunque, la sentenza di primo grado del 2010 posta in esecuzione dall’iscritto è stata riformata in appello, in senso favorevole alla Cassa.
Con riferimento alla natura di titolo esecutivo della sentenza, si segnala l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la condanna al pagamento di un importo costituisce di per sé titolo esecutivo, qualora sia omessa l’indicazione del preciso ammontare della somma oggetto dell’obbligazione, semprechè la somma sia quantificabile per mezzo di un mero calcolo matematico e i dati per tale quantificazione possano essere tratti dal contenuto del titolo stesso (Cass., sez. lav., 9 marzo 1995, n. 2760; conforme: Pret. Napoli, Napoli, 19 ottobre 1995), ovvero siano stati tenuti presenti come premessa logica indispensabile della decisione (Cass., Sez. Lav., 6 marzo 1996, n. 1741).
La stessa sentenza n. 2065/2012, invero, richiama due recenti pronunce della Suprema Corte sull’argomento, riportando il principio di diritto affermato in controversie di lavoro, ovvero che la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento, in favore del lavoratore, di un certo numero di mensilità, costituisce valido titolo esecutivo, che non richiede ulteriori interventi del giudice diretti all’esatta quantificazione del credito, solo se tale credito risulti da operazioni meramente aritmetiche eseguibili sulla base dei dati contenuti nella sentenza; se invece la sentenza di condanna non consente di determinare le pretese economiche del lavoratore in base al contenuto del titolo stesso, in quanto per la determinazione esatta dell’importo sono necessari elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge, o nel caso di sentenza di condanna generica, che rimandi ad un successivo giudizio la quantificazione del credito, la sentenza non costituisce idoneo titolo esecutivo ma è utilizzabile solo come idonea prova scritta per ottenere nei confronti del datore di lavoro un decreto ingiuntivo di pagamento per il credito fatto valere, il cui ammontare può essere provato con altri e diversi documenti (Cass., 27 gennaio 2005, n. 1677). L’altra pronuncia richiamata dalla sentenza in esame ha affermato che la sentenza che, dichiarando l’illegittimità del licenziamento, condanni il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore le mensilità di retribuzione, secondo i criteri di cui all’art. 2121 cod. civ., per il periodo compreso fra la data del licenziamento stesso e quella dell’effettiva reintegra, va parificata, quando non sia indicativa di un importo determinato o determinabile in base a semplice calcolo aritmetico, ad una pronuncia di condanna generica, con conseguente eventuale necessità di un ulteriore giudizio per la liquidazione del “quantum”, quando insorga successivamente controversia in ordine alla individuazione della retribuzione globale di fatto assunta (Cass. Sez. Lav., 30 novembre 2010, n. 24242).
Peraltro, in analoghe vertenze aventi come parte la Cassa, i giudici di merito hanno accolto l’opposizione a precetto proprio sulla base delle esposte considerazioni (cfr. Trib. Roma, 16 febbraio 2004, n. 2765; Trib. Roma, 2 maggio 2004, n. 10384; Trib. Salerno, n. 5789/08).

Marcello Bella (da CF Newsletter n. 3 del marzo 2012)