domenica 6 novembre 2011

Maltrattamenti di madre e nonno

 Cassazione – Sez. VI Penale, Sent. 10.10.2011 n. 36503

Può rientrare nella nozione di maltrattamenti di cui all'articolo 572 del Codice Penale la condotta della madre che in concorso con il nonno del minore, aveva nel tempo e fino all’età preadolescenziale di quest’ultimo posto in essere atteggiamenti qualificati dal giudice del merito come eccesso di accudienza e consistiti nell’impedimento di rapporti con coetanei, nell’esclusione del minore dalle attività inerenti la motricità, anche quando organizzate dall’istituzione scolastica, nonché nell’induzione della rimozione della figura paterna, costantemente dipinta in termini negativi, fino ad impedire allo stesso minore di utilizzare il cognome del padre?
La Corte di Cassazione risponde affermativamente, confermando la pronuncia della Corte d'appello di Bologna.
"Nel reato di maltrattamenti di cui all'art. 572 cod. pen. l'oggetto giuridico non è costituito solo dall'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, connotati secondo il lessico del ricorrente da una "chiara connotazione negativa", ma anche dalla tutela dell'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma (Cass. pen. sez. 6, 37019/2003 Rv. 226794), interessate al rispetto integrale della loro personalità e delle loro potenzialità nello svolgimento di un rapporto, fondato su costruttivi e socializzantl vincoli familiari aperti alle risorse del mondo esterno, a prescindere da condotte pacificamente vessatorie e violente.
In tale quadro, poco conta la "soglia di sensibilità del minore vittima". la quale, non solo per il grado di sviluppo psico-fislco della persona offesa, ma, soprattutto, perché essa, oggettivamente disafferenziata dai contesti di riferimento ("gruppo dei pari di età"), di necessità, non può disporre di standard di peso della negativa e deteriore realtà in cui è costretta a vivere.
In tale quadro si appalesa quindi irrilevante il riferito "stato di benessere del bambino", tenuto conto che, non a caso, in tutti i sistemi di civiltà evoluta, lo Stato può verificare in modo intrusivo le "realtà di disagio anomalo" nella famiglia e le loro cause umane, imponendo prescrizioni ai familiari, sino alla decadenza dalla potestà, all'allontanamento, e allo stato di adattabilità del minore stesso.
Né miglior sorte va riservata al secondo profilo critico del ricorso, prospettato per negare la materialità del maltrattamenti, sulla base del rilevo che il reato esige -come risultato- che gli atti di maltrattamento (lesivi dell'integrità fisica o morale, della libertà o del decoro della vittima) siano tali da rendere abitualmente dolorose e mortificanti le relazioni tra il soggetto attivo e la persona offesa, con conseguente necessità, ad avviso del ricorrente, di un rapporto diretto tra colui che pone in essere le condotte di maltrattamento ed il soggetto che, in ragione di tali condotte, trova sofferenza e disagio ed, ancora, che vi sia un rapporto causale diretto tra maltrattamento da un Iato ed il dolore ed il disagio dall'altro, realtà che nella vicenda sarebbero escluse dal manifestato benessere del minore di vivere iperaccudlto nella realtà famIliare.
La conclusione della difesa soffre dello stesso vizIo di lettura della precedente doglianza in quanto pone, come crinale e "discrimen" del maltrattamento, lesivo del processi di crescita psicologica e fisica del minore, il grado di percezione del maltrattamento stesso ad opera della vittima minorenne.
Non è chi non veda l'insostenibllltà dell'assunto che fa dipendere l'oggettiva sussistenza della condotta illecita dalla "variabile soglia di sensibilità della vittima", che, in quanto minore esige efficace tutela, anche contro la sua stessa infantile limitata percezione soggettiva".
La critica va quindi rigettata, senza dimenticare la regola che in ogni caso, a prescindere dalla minore età della vittima, il reato de quo mai può essere scriminato dal consenso dell'avente diritto, sia pure affermato sulla base di opzioni sub culturali o, come nella specie, scelte e stili pedagogici obsoleti, od in assoluto contrasto con i principi che stanno alla base dell'ordinamento giuridico italiano, in particolare con la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo sanciti dall'art. 2 Cost., i quali trovano specifica considerazione in materia di diritto di famiglia negli articoli 29 -31 Cost..

(Da filodiritto.com del 23.10.2011)