venerdì 11 novembre 2011

La ristrutturazione dura troppo? Contratto risolvibile

Per procedere alla risoluzione del contratto, il giudice deve valutare il comportamento di entrambe le parti, tenendo conto anche dell’economia generale del contratto e degli interessi sostanziali cui le parti stesse aspiravano con l’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali assunte. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20481/2011.
Il caso. La vicenda ha origine da un contratto d'appalto stipulato per il rifacimento di un appartamento. In seguito ad una serie di ritardi da imputare all’appaltatore che hanno di fatto prolungato i lavori di ristrutturazione, i committenti risolvevano il contratto. L’appaltatore, dal canto suo, chiedeva che gli fossero riconosciute le somme relative ai lavori svolti, l’accertamento del fatto che il mancato completamento delle opere di rifacimento era da ricondursi ad una indisponibilità dei committenti a riceverli e che era da addebitarsi ai committenti un importante ritardo nell’effettuazione di uno dei pagamenti pattuiti. Tale domanda però veniva respinta sia in primo che in secondo grado e viene riconosciuta in favore dei committenti una penale a carico dall’appaltatore, per aver ritardato, senza giustificato motivo, i lavori pattuiti. Da qui il ricorso per Cassazione.
Il giudizio di legittimità. La Suprema Corte, preso atto della sussistenza dei denunciati inadempimenti, ascrivibili ad entrambi le parti, ritiene che soltanto l’inadempimento relativo al ritardo nella esecuzione dei lavori possa condurre alla risoluzione del contratto, trattandosi di ritardo di significativa rilevanza nell’economia del contratto e soprattutto avendo riferimento all’interesse delle parti negoziali. Infatti, trascorsi ben quattro mesi dal pagamento, l’appaltatore non aveva ancora provveduto al completamento dei lavori cui si era impegnato. In tale prospettiva e ai fini dell’individuazione della parte effettivamente inadempimente, è fondamentale il richiamo alla regola generale sancita dall’art. 1375 c.c., in base alla quale le parti si devo comportare secondo correttezza e buona fede. Pertanto, i giudici del Palazzaccio ribadiscono che "ai fini della risoluzione di un contratto ritualmente concluso, non è sufficiente che una delle parti sia inadempiente, posto che non ogni ritardo, inadempimento o imprecisione consente, alla parte che lo subisce, di risolvere il contratto: l’inadempimento deve essere di non scarsa importanza, con riferimento, in particolare, all’interesse della parte creditrice ed il ritardo non può essere considerato come un evento che giustifica, di per sé solo, la risoluzione del contratto, potendo trattarsi, infatti, di un ritardo minimo o del tutto insignificante, in relazione agli interessi delle parti e concretizzati nella regolamentazione negoziale sottoscritta".

(Da avvocati.it dell’8.11.2011)