giovedì 19 gennaio 2012

Causa lunga? Equo indennizzo anche a chi perde

La VI Sezione Civile della Corte di Cassazione ha riconosciuto fondato il ricorso presentato per violazione della disposizione di cui al comma 3, art. 2, della legge n. 89 del 2011, decidendo nel merito e condannando il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della somma di € 6.500,00 per ogni ricorrente, oltre ad interessi, e alle spese per il giudizio di merito e di Cassazione.
La Corte ha affermato il principio secondo il quale, in ipotesi di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui all’art. 2 della legge n. 89 del 2001, spetta a tutte le parti del processo, a prescindere dal fatto che esse siano state vittoriose o soccombenti, nonché dalla consistenza economica ed importanza del giudizio, eccettuate le ipotesi ove il risultato del processo abbia un indiretto riflesso sull’identificazione, ovvero sulla misura, del pregiudizio morale subito dalla parte, quale conseguenza dell’eccessiva durata della causa. Ciò, ad esempio, quando il soccombente ha promosso una lite temeraria, oppure, artatamente, ha resistito in giudizio solamente per far perfezionare la fattispecie di cui al richiamato art. 2. Citando propri precedenti, gli ermellini precisano che di siffatte ultime situazioni, costituenti “abuso del processo”, deve dare puntuale prova l’Amministrazione.
In particolare, la Corte territoriale di Bologna aveva respinto il ricorso affermando che la palese infondatezza della domanda proposta innanzi al Tar escludeva che l’attesa della definizione della lite dal risultato sfavorevole scontato (a seguito della sentenza di non fondatezza della questione, emanata dalla Corte costituzionale e intervenuta in concomitanza col decorso del periodo integrante la fattispecie della durata ragionevole del processo) non potesse aver procurato ai ricorrenti un “patema d’animo indennizzabile”.
Pertanto la Cassazione ha annullato il decreto impugnato, ritenendo altresì che nella fattispecie non sussistono elementi per poter affermare che i ricorrenti, pur proponendo una domanda senza fondamento, abbiano promosso una lite temeraria.
Ha rilevato, inoltre, che il giudizio promosso innanzi al Tar Emilia Romagna nel 1996 e non ancora definito nel 2009, anno di deposito del ricorso per equa riparazione, si è protratto per tredici anni, con conseguente superamento di ben dieci anni del termine di ragionevole di durata, individuato per il giudizio di primo grado in anni tre, e ciò sulla base dei livelli determinati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Cassazione medesima.

(Da Altalex del 19.1.2012. Nota di Laura Biarella)