martedì 3 gennaio 2012

Cassa, iscritto responsabile adempimento obbligazione contributiva

La recente sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 5350/11 del 21.9.2011 fornisce lo spunto per tornare nuovamente su un tema ampiamente dibattuto: quello dell’intervenuta prescrizione del debito contributivo e dei conseguenti effetti sulla posizione previdenziale dell’iscritto.
La vicenda sorge in relazione ad un debito assai modesto (inferiore ai 100 euro, relativi all’eccedenza in autoliquidazione) in relazione ad una annualità risalente nel tempo (anno 1973). Il giudice di prima cure aveva dichiarato il diritto del professionista al ricalcolo della pensione computando anche l’anno 1973 a condizione del versamento della somma a suo tempo non corrisposta dall’iscritto.
I giudici d’appello hanno evidenziato preliminarmente l’effettiva posizione ricoperta dall’iscritto nel rapporto contributivo con la Cassa, posizione che è quella di “debitore” e, pertanto, “ciò che è in discussione è un obbligo in capo al professionista, non un diritto”.
Ciò premesso, la Corte riafferma vibratamente il principio che non è consentito il versamento di contributi prescritti. Trattasi di un principio generale, che da tempo sovraintende la materia, valevole anche con riguardo alla previdenza forense. Ed infatti, nella materia previdenziale, il regime della prescrizione già maturata è differente rispetto alla materia civile, in quanto è sottratto alla disponibilità delle parti, sicché deve escludersi l’esistenza di un diritto soggettivo degli assicurati a versare contributi previdenziali prescritti: la prescrizione, inoltre, opera di diritto e pertanto può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, mentre l’ente previdenziale (anche se, come nella specie, di natura privatistica) non può rinunciare alla “irricevibilità” dei contributi prescritti. Detto principio di indisponibilità – attualmente fissato dall’art. 3, comma nono, della legge n. 335 del 1995 e desumibile, per il periodo precedente l’entrata in vigore di tale disposizione, dall’art. 55, comma secondo, del R.D.L. n. 1827 del 1935 – vale per ogni forma di assicurazione obbligatoria e, in base al comma decimo del citato art. 3 della legge n. 335 del 1995, si applica anche per i contributi prescritti prima dell’entrata in vigore della medesima legge (ex multis, Cass., Sez. Lavoro, n. 23116/04; Cass., Sez. Lavoro, n. 330/02).
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza della Sez. Lavoro n. 9525/02, ha espressamente affermato che “nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti […]; pertanto deve escludersi la sussistenza di un diritto dell’assicurato a versare i contributi previdenziali prescritti e ad ottenere una retrodatazione dell’iscrizione alla Cassa (nella specie, dei geometri liberi professionisti) per il periodo di tempo concernente la relativa perdita contributiva” (cfr., nello stesso senso, anche Cass., Sez. Lavoro, n. 6340/2005; Cass., Sez. Lavoro, n. 11116/2002; Cass., Sez. Lavoro, n. 9408/02; Cass., Sez. Lavoro, n. 330/2002; Cass., Sez. Lavoro, n. 11140/2001). E ancora che “è necessario, per la certezza dei rapporti fra l’ente gestore ed i cittadini, che i contributi da versare o da rimborsare non siano prescritti e che, comunque, non sia lasciata alla discrezionalità dell’interessato la possibilità di far valere o meno l’avvenuta prescrizione” (in tal senso, cfr. Cass., Sez. Lavoro, n. 12538/1995).
Da quanto esposto consegue che, contrariamente a quanto disposto nella sentenza di primo grado, non può essere ordinato il versamento di contributi prescritti e ciò anche indipendentemente dalla configurazione di una colpa in capo all’ente previdenziale, “erroneamente ritenuta nella gravata sentenza. Quest’ultima, infatti, si limita ad affermare sinteticamente che …..(omissis, n.d.r.) non avrebbe <potuto regolarizzare la sua posizione per l’anno 1973 per fatto a lui non imputabile e cioè perché la Cassa resistente non ha mai iscritto a ruolo i contributi relativi al 1973, mentre lo ha fatto per gli anni successivi>”. La decisione – a giudizio della Corte - non solo non tiene conto del divieto legale del versamento/riscossione dei contributi prescritti, ma sembra presupporre che l’obbligo contributivo nasca in ragione dell’iscrizione a ruolo, presupposto errato. Afferma il giudice d’appello di Milano che “non si rinviene nell’ordinamento alcuna norma che condizioni la nascita dell’obbligo del versamento di contributi all’emissione dei ruoli. Pertanto ritenere, come fa l’avv. (omissis, n.d.r.) e come condiviso dalla sentenza, che l’omessa iscrizione al ruolo del contributo differenziale per l’anno 1973 rappresenti una colpa rilevante della Cassa, tale da giustificare un tardivo versamento di contributi prescritti ovvero, come richiesto in via subordinata, un risarcimento del danno, non appare giuridicamente fondato”.
Infatti, se è vero che la Cassa aveva anticipato con apposita missiva che avrebbe provveduto a richiedere il pagamento delle eccedenze mediante iscrizione a ruolo e ciò lo ha fatto limitatamente all’anno 1974, con esclusione, quindi, dell’anno 1973, non può non porsi in rilievo il comportamento inattivo dell’avv. (omissis, n.d.r.). A fronte dell’omessa richiesta da parte della Cassa per l’anno 1973, l’iscritto non si è attivato in alcun modo, non ha richiesto chiarimenti, che gli avrebbero consentito di apprendere l’importo da versare, non ha sollecitato la riscossione, non ha offerto alcun pagamento e ciò neppure dopo la nota di ammissione alla pensione di vecchiaia, contenente la chiara comunicazione del mancato computo dell’annualità in questione.
In altra fattispecie, che comunque presenta analogie con la presente, la Suprema Corte ha affermato che “il principio della perdita delle prestazioni assicurative, per effetto del mancato versamento dei prescritti contributi e del decorso del termine di prescrizione fissato per il loro recupero …….. non può subire deroga, né giustificare azioni risarcitorie dell’assicurato …….., in relazione alla circostanza che l’ente esattore non abbia provveduto ad iscriverlo nei ruoli per la riscossione dei contributi, considerato che l’assicurato medesimo, a tutela delle proprie posizioni, ha facoltà di insorgere avverso l’omissione di tale iscrizione ….” (Cass., n. 4149/88).
D’altronde, per come ricordato dalla Suprema Corte nella citata sentenza n. 4149/88, dall’art. 1227 2° c. c.c. si desume il principio secondo il quale il creditore danneggiato ha l’onere, pena la esclusione del risarcimento, di usare l’ordinaria diligenza per evitare il danno, onere non assolto in questo caso dall’iscritto.
Conclude quindi la Corte affermando che, “per quanto esposto non risultano fondate né la pretesa di procedere ora al versamento di contributi da tempo irrimediabilmente prescritti né quella, avanzata in via subordinata, di ottenere il richiesto risarcimento del danno. Parimenti infondata è, poi, la pretesa, avanzata in via ulteriormente subordinata, di <stabilire che l’anno 1973 andava escluso dal calcolo pensionistico non nella sua totalità, ma in proporzione all’eccedenza non versata> atteso che la legge e, nella specie, l’art. 10 della l. n. 576/80, prevede e calcola il contributo soggettivo obbligatorio pari ad una percentuale del reddito, con la conseguenza che non è consentito sottrarsi a tale misura obbligatoria e pretendere che la Cassa consideri comunque utile la quota parte dei contributi versata in violazione della misura legale obbligatoria. Peraltro, anche la modalità di calcolo della pensione, di tipo retributivo, non consente l’applicazione di una diversa modalità di calcolo (contributivo, se in relazione ai contributi versati) limitatamente ad una frazione del periodo assicurativo (in questo caso, un anno).

Marcello Bella (da cassaforense.it del Dicembre 2011)