venerdì 9 settembre 2011

Moglie succube nel conflitto di coppia; a lui addebitata la separazione

La donna penalizzata nel rapporto di coppia: la conflittualità spinge anche a privilegiarla per l'affidamento della figlia. Lo sancisce la Cassazione con la sentenza n. 17191 dell'11 agosto.
Suocere e crisi matrimoniali. Il rapporto conflittuale con la famiglia (e, in particolare, la madre) del proprio coniuge può rappresentare un grosso problema.
Matrimonio breve, separazione lunga...
Cinque anni assieme, col dono di una bambina. Ma il rapporto, fragile e complicato si rompe, in maniera inesorabile. E scatta la domanda di separazione, avanzata dalla moglie, che apre un altro fronte assai delicato: quello relativo all’attribuzione della responsabilità per la chiusura del rapporto, al riconoscimento dell’assegno di mantenimento, e alla gestione dei rapporti con la figlia.
In primo grado separazione senza addebito, affidamento ad entrambi i genitori (e coabitazione con la madre) della figlia, obbligo del padre di contribuire al mantenimento della bambina.
La tappa in secondo grado modifica la situazione, accogliendo le richieste della moglie, e allungando i tempi della separazione.
Addebito in appello
La Corte d’Appello addebita la separazione all’uomo e affida esclusivamente la figlia alla donna (riducendo il diritto di visita dell’uomo e aumentandone invece il contributo al capitolo del mantenimento). A pesare su questa decisione sono diversi fattori, tra i quali, su tutto, il disprezzo manifestato dalla famiglia dell’uomo nei confronti della donna (e attestato anche dalle relazioni redatte dai carabinieri, più volte chiamati a intervenire nel rapporto di coppia e nei rapporti tra le due famiglie). Tutto ciò, però, ha anche un altro riflesso: l’affidamento in esclusiva della figlia alla donna, che aveva manifestato, secondo i consulenti, «una attenta, contenitiva e partecipe capacità genitoriale», superiore a quella dell’uomo, ‘soggiogato’ dai genitori. Scelta, questa, finalizzata ad evitare situazioni di conflitto che potessero ripercuotersi sulla bambina.
La pronuncia di legittimità
La questione arriva in Cassazione. È l’uomo, ovviamente, a presentare ricorso, chiedendo una rivisitazione sostanziale della pronuncia della Corte d’Appello.
I giudici di piazza Cavour confermano quanto già stabilito, dando il ‘la’ ad un’analisi che respinge, in toto, le critiche mosse dall’uomo.
A pesare, poi, l’interesse della minore, rispetto alla quale sono state prese in esame le capacità genitoriali di moglie e marito, la loro conflittualità e, soprattutto, la situazione di dipendenza dell’uomo rispetto alla propria famiglia di origine. Consequenziale, secondo i giudici della Suprema Corte, è la decisione di ridurre i tempi di permanenza della bambina a casa del padre, e consequenziale è anche la scelta di gestire col «misurino» i rapporti della bambina coi nonni paterni.

(Da avvocati.it dell’8.9.2011)