lunedì 20 febbraio 2012

Sul reato di disturbo occupazioni e riposo altrui

Cass. pen. sez. I, sent. 25/05/2011 n. 20954

Per integrare il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone è sufficiente che le emissioni rumorose siano potenzialmente idonee a distubare un numero indeterminato di persone. Gli accertamenti ARPA hanno solo valore amministrativo: il mancato superamento dei limiti non esclude la natura penale della condotta.

Con sentenza del 10 giugno 2009, il Tribunale di Lecce – sez. dist. Galatina – dichiarava l’imputato T.A. responsabile della contravvenzione prevista dall’art. 659 c.p. comma 1 perché, nella qualità di titolare di un disco pub, disturbava – mediante rumori molesti, prodotti in tempo notturno dal volume alto della musica e dagli schiamazzi provocati dagli avventori del locale – il riposo di L.M.G. e del suo nucleo familiare, condannando l’imputato altresì al risarcimento alla parte civile, liquidato secondo equità in cinquemila euro.
Nel rigettare il ricorso, la Corte afferma che, per la configurabilità del reato, “è necessario che le emissioni sonore rumorose siano potenzialmente idonee a disturbare il riposo o le occupazioni di un numero indeterminato di persone, anche se non tutte siano state poi in concreto disturbate”. Per la valutazione di tale attitudine molesta, secondo la Corte, il Giudice può fondarsi su elementi probatori di diversa natura rispetto a perizie e consulenze fonometriche, comprese dunque le dichiarazioni di coloro che siano in grado di riferire caratteristiche ed effetti dei rumori percepiti.
Il Giudice di prime cure con la sentenza di condanna aveva evidenziato come dagli elementi risultanti agli atti, i rumori molesti avevano la caratteristica della diffusività e della obiettiva idoneità a recare disturbo ad un numero indeterminato di persone.
A nulla valeva eccepire che l’accertamento acustico operato dai tecnici dell’Arpa escludeva il superamento di limiti positivamente previsti, in quanto – secondo la Corte – tale accertamento amministrativo era liberamente valutabile dal Giudice di merito, ma non in modo esclusivo, potendo questi basarsi su altri elementi probatori acquisiti agli atti, a prescindere dall’esatta conoscenza dei decibel raggiunti. Del resto, la stessa logica si intravede nel fatto che sebbene il secondo comma dell’art. 659 c.p. (che punisce chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni di legge o le prescrizioni dell’Autorità) sia stato depenalizzato per mezzo dell’art. 10 L. 447/1995 (Legge quadro sull’inquinamento acustico), lo stesso non può dirsi per la disposizione del primo comma che, invece, permane nella sua struttura contravvenzionale. Le due norme, per vero, perseguono finalità ben diverse. Quella del primo comma mira a sanzionare gli effetti negativi del rumore in funzione di tutela della tranquillità pubblica; la norma speciale (frutto della depenalizzazione del secondo comma dell’art. 659 c.p.) è invece diretta unicamente a stabilire limiti di rumorosità di sorgenti sonore, oltre i quali si ritiene sussistere il c.d. inquinamento acustico, a prescindere dall’accertamento di un effettivo disturbo arrecato alle persone (Cass. n. 443/2001), tant’è che si accontenta di punire il superamento di tali limiti con una sanzione amministrativa.
Al di là della sanzione penale, seppure esistente ma contenuta (ammenda di trecento euro), nel caso in commento di grande rilevanza è stato il risarcimento del danno che il Giudice di Galatina – coraggiosamente – ha liquidato in via equitativa nell’importo di cinquemila euro, anziché – come avviene molto spesso – rinviare la quantificazione del danno al giudice civile. Ottima si è dunque rivelata la scelta difensiva della persona offesa che – sussistendone i requisiti – ha preferito la via penale a quella civile costituita dal risarcimento danni per immissioni (art. 834 c.c.).

Annalisa Gasparre (da overlex.com dell’11.1.2012)