martedì 7 febbraio 2012

Avvocati e liberalizzazioni, tutto da rifare?

E’ approdato in Senato il disegno di legge 3110-S, meglio conosciuto come decreto legge n. 1/2012 recante "disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”. Approvato in Consiglio dei Ministri lo scorso 20 gennaio in tempi rapidissimi - circa 10 giorni dal momento del suo annuncio - e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24 gennaio 2012 - Supplemento Ordinario n. 18, il provvedimento prosegue, come è noto, l’avviato iter di riforma della professione forense.
Le disposizioni dello stesso, infatti, si inseriscono nel solco già tracciato dall’articolo 3, comma 5 del D.L. 138 del 13 agosto 2011 - “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo” - convertito nella L. 148 del 14 settembre 2011, con il quale si sono posti, tra l’altro, i principi cardine per la futura riforma delle professioni: libertà di accesso, obbligo di formazione continua, riforma del tirocinio, predeterminazione del compenso, obbligo di assicurazione professionale, riforma degli ordini, criteri per la pubblicità informativa.
La riforma, originariamente prevista entro i 12 mesi successivi, è stata di seguito anticipata al 13 agosto 2012 dall’art. 10 della L. 183/2011 del 12 novembre, detta di ‘stabilità’.
… L'obiettivo odierno è sì quello di soffermarsi sulle nuove disposizioni integrative della riforma estiva, ma, soprattutto, quello di evidenziare le problematiche emerse sia in sede di prima applicazione, sia durante il recentissimo esame in Commissione Giustizia in Senato.
Ma vediamo nel dettaglio la riforma e le vicende sopravvenute all’adozione del decreto.
La relazione accompagnatoria e i vantaggi della liberalizzazione
Gli interventi previsti, come esplicitato nella relazione accompagnatoria, “si inseriscono nel solco delle proposte di modifica Costituzionale dell’art. 41, già presentate in questa legislatura”. E il richiamo, immediato, è all’art. 3, comma 1 del D.L. 138/2011, laddove è espressamente indicato che “Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge” - articolo, come detto, poi riformato dalla L. 183/2011. L'accostamento tra impresa e professione e' stato, a suo tempo, oggetto di pesanti critiche: seppure entrambe - attività d’impresa e attività professionale - si possono inserire nel quadro della ‘libertà di iniziativa economica’, è pur vero che la professione forense è l’unica professione ordinistica rinvenibile nella Costituzione, e, pertanto, necessita comunque di un trattamento differenziato.
Sempre nella relazione accompagnatoria, in particolare nella sezione dedicata all’analisi economica dei benefici che nascerebbero dalle liberalizzazioni, nella parte relativa alla professione forense si rileva che “facendo riferimento a dati che partono dal 2000, si registrano andamenti chiaramente connessi con la fissazione autoritativa delle tariffe e comunque ben al di sopra della media dell’inflazione, almeno fino all’abolizione delle tariffe minime avvenuta con DL n. 223/2006. Da questo momento in poi, la libertà nella fissazione dei prezzi ha consentito un evidente rallentamento della dinamica di crescita. Il venir meno della tariffa minima obbligatoria, con la liberalizzazione dei prezzi avvenuta nel 2006, ha senza dubbio contribuito alla flessione degli aumenti degli onorari che si registra negli anni successivi”.
La relazione governativa, pertanto, collega direttamente l’eliminazione dei minimi tariffari con la diminuzione del costo della difesa, evidenziando, così, come la liberalizzazione delle tariffe forensi porterebbe ad una possibile - se non addirittura probabile - ulteriore riduzione dello stesso.
In realtà, se l'abolizione dei minimi tariffari potrebbe, astrattamente considerata, aver portato o portare ad una diminuzione dei costi relativi all'assistenza legale - se i prezzi sono liberi di scendere, è possibile che lo facciano - non altrettanto può dirsi con riguardo ai massimi tariffari, che costituiscono, sempre in linea teorica, un limite all’arbitrio del professionista ed una garanzia per il cliente/consumatore.
E' possibile, infatti, almeno in teoria, che i soggetti interessati si accordino nel non far scendere i prezzi sotto un certo livello, o per farli aumentare, con benefici assolutamente vanificati per il cliente. Altro dubbio riguarda l'elasticità della domanda, della quale ancora non e' dato sapere: la diminuzione dei prezzi potrebbe essere conseguenza, tra l’altro, dell'aumento dell'offerta, ma quale aumento di offerta può esserci per una categoria che conta già oltre 210.000 membri secondo le ultime statistiche diffuse a gennaio 2012?
Proprio questo è stato uno dei motivi di ricorso alla Corte Costituzionale di cui si dirà in prosieguo.
Il decreto e le professioni regolamentate.
Il decreto in esame, è costituito da 98 articoli e interessa più di 15 differenti settori economici; l’analisi e le relative valutazioni, ovviamente, verranno circoscritte all'articolo 9, con qualche accenno ad altre importanti novità che impattano direttamente sulla professione forense.
Le "disposizioni sulle professioni regolamentate”, previste dall'articolo 9, si pongono, nelle intenzioni, come pietra miliare della riforma, stabilendo l’abrogazione delle “tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico”. L’abrogazione riguarda tutte le ipotesi di pagamento di corrispettivo, ad eccezione delle liquidazioni d’ufficio, per le quali il comma 2 prevede, con diversa disposizione, che, fermo quanto previsto dal comma precedente, "nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante”.
L'abrogazione delle tariffe, infatti, effettuata tout court, ha reso necessario inserire il riferimento a parametri per le liquidazioni d’ufficio - da determinarsi con decreto dal Ministro della Giustizia - cui si aggiungeranno gli ulteriori parametri per la determinazione di oneri e contribuzioni, previsti da apposito decreto del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze; la mancata adozione di tali parametri contestualmente al D.L. in esame, però, ha creato numerosi problemi applicativi.
La mancanza di una disposizione transitoria e il Tribunale di Cosenza
Come abbiamo visto, è proprio su questa carenza che è emerso un primo, fondamentale punto critico della riforma: l’assenza di una disposizione transitoria, ed il rinvio ad atti di futura emanazione, ha creato, infatti, immediati problemi applicativi, in quanto, in assenza dei suddetti, ha reso quantomeno difficoltoso, per le autorità procedenti, effettuare la liquidazione giurisdizionale degli onorari.
Era prevedibile, pertanto, che una delle possibili reazioni degli Uffici potesse essere la sospensione di tali liquidazioni, come già accaduto, per esempio, presso il tribunale di Cosenza, dove il giudice dell’esecuzione dott. Giuseppe Grieco, come anticipato, ha ravvisato nel decreto profili di incostituzionalità, rimettendo, con ordinanza del 1 febbraio, la questione alla Consulta per ogni eventuale determinazione.
Sulle premesse per cui “secondo il diritto vigente gli onorari per le prestazioni professionali dell’avvocato devono essere liquidati secondo le tabelle che siano vigenti al momento dell’esaurimento delle prestazioni stesse da individuarsi nel momento in cui la causa sia trattenuta in decisione dal giudice” - il riferimento del giudice è alla Sentenza della Suprema Corte n. 6597/1991 -, che l’art. 9 del D.L. 1/2012 ha espressamente abrogato le tariffe professionali e che la liquidazione giudiziale deve essere effettuata sulla base di parametri stabiliti dal ministro vigilante, il giudice Grieco ha disposto, in applicazione del principio tempus regit actum, che “l’abrogazione delle tariffe forensi inibisce, allo stato, di liquidare le spese della presente procedura”, richiamando espressamente l'articolo 9 del D.L. in esame, e sospendendo la determinazione delle spese processuali da porre a carico della parte resistente..
Nei passaggi principali, l’ordinanza non dimentica di rilevare che la disposizione riveste carattere processuale generale, in quanto riferita a tutte le ipotesi di liquidazione giurisdizionale, e che la mancanza di una disciplina transitoria obbliga all’applicazione immediata della stessa.
Il Giudice ha, altresì, rilevato come qualsiasi altra decisione - per esempio, rimessa all’equità del giudicante - avrebbe rischiato o di essere lesiva della dignità professionale, o, al contrario, troppo onerosa per l’esercizio del diritto di difesa; pertanto, evidenziandosi profili di plurima lesione del dettato costituzionale, la decisione non poteva essere che quella della rimessione degli atti alla Consulta.
Se è pur vero che, in merito al caso evidenziato, potrebbe rinviarsi genericamente alla norma che esclude la retroattività della disposizione, è anche vero che, in mancanza di specifica precisazione normativa, si manifesta una situazione anomala, in quanto, con riferimento alle attività svoltesi nella vigenza delle tariffe professionali, i relativi diritti dovrebbero risultare già cristallizzati alla data dell’esecuzione della singola prestazione e con riferimento alla tariffa vigente all’epoca, in ossequio ad un granitico orientamento di legittimità in materia che vige sin dal 1956, reiteratamente richiamato nella giurisprudenza più recente.
Viceversa, appare evidente che, in virtù del principio della successione delle leggi nel tempo, il decreto si applica all’attività che ne segue l’entrata in vigore, e che ciò imponga - quantomeno sul versante del rapporto avvocato/cliente - la stipulazione di un contratto che regoli l’attività futura.
Il principio, a dire il vero, dovrebbe ritenersi operativo anche per la decisione assunta in sede giudiziale, sebbene è noto come la liquidazione del giudicante ometta di riferirsi alle singole voci ed all’epoca di loro svolgimento, individuando onnicomprensivamente l’importo di diritti ed onorari da riconoscere alla parte vittoriosa. Logico, quindi, presumere che, a conclusione del giudizio, l’autorità giudiziaria provvederà alla liquidazione secondo i parametri ministeriali di futura emanazione.
La mancanza di tali ‘parametri’ - che, ovviamente, a differenza dalle precedenti tariffe, si ritiene forniranno dei semplici range per complessità e valore dell’incarico - ha iniziato, però, a condizionare pesantemente molte delle normali attività del professionista ed è arrivata a paralizzare le liquidazioni d’ufficio.
Nello strenuo tentativo di scongiurare la sostanziale sospensione dell’attività decisoria, carente dei richiamati parametri, si è provato a sopperire mediante accordi convenuti tra l’autorità giudiziaria e taluni consigli dell’ordine forense (i COA di Brescia e Verona, ad esempio), o mediante richiami a generici principi (usi, prassi od equità) assistiti dall’autorevole condivisione manifestata dal CNF con il documento del 2 febbraio scorso.
I primi problemi applicativi: l’atto di precetto
Ma passiamo a vedere, nel concreto, quali sono le problematiche principali venutesi a creare nei primi giorni di applicazione delle nuove norme.
In primis, senza dubbio, la redazione dell’atto di precetto, che, in seguito all’abrogazione delle tariffe professionali, subisce cambiamenti nella struttura e nel calcolo degli importi.
Scompaiono, chiaramente, le voci di diritto relative alla fase successiva l’acquisizione del titolo esecutivo e quelle espressamente relative al precetto, abrogate.
Rimarrebbero, quindi, unitamente alle competenze liquidate alla chiusura della fase di giudizio, le sole voci di spesa successivamente sostenute - ad esempio, richiesta copia titolo, notifica titolo esecutivo - e da sostenere - ad esempio, spese di registrazione del titolo.
Non pare condivisibile il suggerimento, da taluni prospettato, di menzionare in calce al precetto la riserva di richiedere successivamente la liquidazione delle spese o, men che meno, operare una quantificazione forfettaria degli scomparsi diritti di precetto.
Nel primo caso, non vi è dubbio che la successiva richiesta di pignoramento non possa che riferirsi all’importo richiesto nell’atto di precetto, ancor più se si intenda procedere ad esecuzione presso terzi e si debba obbligatoriamente indicare l’ammontare dell’importo da assoggettare al pignoramento.
Nel secondo caso, è ragionevole pensare alla contestazione della controparte e all’instaurazione di un contenzioso sul punto.
Più plausibile, semmai, rinviare all’eventuale prosecuzione in sede esecutiva la richiesta di liquidazione delle spese della relativa procedura, integrate da quelle della fase di precetto, non senza dimenticare che la liquidazione non potrà che avvenire sulla base dei “parametri” di provenienza ministeriale.
E’ di tutta evidenza, oltretutto, che problemi potrebbero porsi nel caso la eventuale fase esecutiva non proseguisse - ossia se l’attività successiva si fermasse all’atto di precetto: ipotizzabile e consigliabile, pertanto, un accordo omnicomprensivo con il cliente in tal senso.
Una nota a margine: l'ultimo capoverso del comma 2 prevede la nullità dell'eventuale clausola contrattuale relativa all'utilizzo dei determinandi parametri ministeriali nella contrattazione con i consumatori e le micro-imprese, equiparate a vere e proprie clausole vessatorie;sembrerebbe, pertanto, che l’esclusione delle imprese di maggiori dimensioni, che parrebbe intenzionale, abiliti l’avvocato, nei confronti di queste ultime, ad una contrattazione sulla base degli emanandi parametri.
Il comma 3 e l’obbligo di pattuizione del compenso
Il comma 3 aggiunge un ulteriore, fondamentale tassello, prevedendo l'obbligo di pattuizione del compenso al momento del conferimento dell'incarico: in tale sede, il professionista è chiamato ad una valutazione della complessità dell'incarico, presupposto per la determinazione della 'importanza dell'opera', cui va parametrato il compenso.
La pattuizione del compenso andrà inquadrata nell’ottica del disposto di cui dell’art. 2233 ultimo comma c.c., e, pertanto, comunque effettuata in forma scritta, come qualsiasi accordo sul compenso tra cliente e prestatore d’opera intellettuale.
Nella concreta attività, pertanto, il professionista si troverà a redigere un preventivo - in forma scritta se chiesto dal futuro cliente - e, comunque, si ritiene, un contratto di prestazione d’opera in forma scritta, reso necessario dalla pattuizione sul compenso ex art. 2233 c.c.
Sul punto, ad ogni modo, va segnalato che non c’è unanimità interpretativa: secondo alcuni, infatti, la norma prevista dal D.L. avrebbe comportato l’abrogazione implicita del comma 3 dell’art. 2233 c.c., con conseguente venir meno dell’obbligo di forma scritta per la pattuizione sul compenso.
Nonostante l'eliminazione esplicita del riferimento all'omnicomprensività nella bozza definitiva, la misura del compenso va pattuita "indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi". Il riferimento, pertanto, seppure indiretto, resta ad una quantificazione globale della pattuizione, nonostante adesso sia, anche a maggior tutela del cliente, scissa nelle singole prestazioni da cui il compenso e' costituito. Escluso, comunque, che il riferimento alle "singole prestazioni" debba intendersi relativa alle voci delle tariffe - abrogate esplicitamente ed inderogabilmente dal primo comma - quanto, piuttosto, alle attività ad espletarsi.
Ancora problemi applicativi: il procedimento penale
Grandi difficoltà, poi, potrebbero porsi nel procedimento penale, materia che si espone ad una immediata considerazione caratteristica della tipologia del procedimento.
In sede di preventivo, infatti, potrebbe essere quantomeno improbabile qualificare e quantificare il compenso sulla base della importanza ed impegno della prestazione (esempio di scuola: la contestazione iniziale per furto d’arance, che si perfeziona con una contestazione di associazione per delinquere alla luce delle risultanze della fase di indagine).
Nè pare preventivabile, “al momento del conferimento dell’incarico”, quale possa essere l’attività del difensore, ipotizzabile, al limite, solo al momento della chiusura delle indagini (esempi di scuola attengono, anche in questo caso, al numero ed all’entità della documentazione a cui il difensore dovesse accedere) e lascia assolutamente indeterminata l’entità e la qualità della prestazione da svolgere (esempio di scuola: numero dei testimoni, numero di udienze, qualità e consistenza delle attività espletate nelle singole fasi del processo).
Ipotizzabile, allora, una periodico aggiornamento del contenuto del contratto originario - in melius od in pejus - assoggettato a circostanze solo virtualmente preventivabili, ma non immediatamente ipotizzabili e/o quantificabili.
Elementi critici e punti nodali
Il testo, ad ogni modo, necessita evidentemente di limature, modifiche ed integrazioni, anche al fine di evitare inutili e pericolose esegesi. Due elementi soprattutto vanno evidenziati: scompare, rispetto alle prime versioni, l'obbligo del preventivo scritto, che diventa una facoltà del cliente richiedere, e che, nell'ottica delle liberalizzazioni, diventa un ausilio alla comparazione dei costi ma, anche, delle attività: il preventivo, infatti, dovrebbe, nella logica sottesa alla norma, poter essere richiesto prima del conferimento di incarico e della pattuizione del compenso con il cliente, ma la terminologia utilizzata - “previamente resa nota al cliente”- sembrerebbe astrattamente indicare un mandato già in essere. Probabilmente, anche qui sarà necessaria una limatura al testo.
Ultima nota, non meno importante, il riferimento all'indicazione, nel compenso pattuito, degli 'oneri ipotizzabili', che sembra essere una delle chiavi interpretative della disposizione in esame: la terminologia, infatti, sembra lasciare la possibilità di richiedere, fuori pattuizione, tutti gli oneri non ipotizzabili al momento del conferimento dell'incarico; disposizione che, pertanto, dovrebbe poter tranquillizzare i tanti preoccupati della difficoltà di quantificazione e qualificazione prodromica delle attività. In tale ottica, semplificando, sembra possibile ipotizzare, accanto al preventivo, una sorta di 'consuntivo', relativo ai soli oneri non ipotizzabili all'atto del conferimento dell'incarico.
Il comma 4, poi, prevede l’abrogazione espressa di tutte le disposizioni vigenti che per la determinazione delle tariffe del professionista rinviano alle abrogate tariffe.
Un nuovo tirocinio?
Nella logica del principio della libertà di accesso alla professione e della riforma del tirocinio, introdotta dai principi del D.L. 138/2011, si inserisce il successivo comma 5, che, ferma la durata massima dei tirocini prevista dall’articolo 33, comma 2 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, stabilita in 18 mesi, dispone che i primi 6 mesi possano essere svolti in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello, o della laurea magistrale o specialistica. L’idea è lodevole, in quanto consente di abbreviare l’iter formativo per l’ingresso attivo nelle professioni, anche se sarebbe auspicabile che tale forma di tirocinio agevolato venisse limitata al biennio di specializzazione o alla laurea magistrale: alle professioni ordinistiche tradizionali, infatti, si accede tramite esse, e non avrebbe, pertanto, una grande utilità pratica lo svolgimento del tirocinio del triennio di base - durante il quale, ad esempio, non è previsto lo studio delle procedure - oltre a risultare di difficile attuazione nel contesto universitario
Dal testo approvato e' stata espunta la parte relativa ala retribuzione del praticantato, con l’esplicita abrogazione del secondo capoverso della lettera c) del comma 5 dell’articolo 3 del D.L. 138/2011.
Qualche altra novità: dalla srl semplificata al tribunale delle imprese.
Come in premessa anticipato, il decreto merita di essere segnalato anche per le numerose norme che impattano indirettamente sulla professione forense, tramite la modifica di una serie di istituti molto importanti.
Tra queste, per importanza e portata innovativa:
- l’art.6 sulla ‘azione di classe’ - class action, con l’estensione della sua operatività anche in caso di questione non identiche ma ‘del tutto omogenee’;
- l’art. 3, sull’accesso dei giovani alla costituzione di società a responsabilità limitata, che introduce nel codice civile, con l’articolo 2463-bis, la società semplificata a responsabilità limitata, costituita da giovani under 35, senza atto notarile, con capitale sociale simbolico pari ad un euro, ed iscrizione al registro delle imprese mediante semplice comunicazione entro 15 giorni dalla sua costituzione;
- l’art. 2, sulla costituzione del ‘tribunale delle imprese’, le disposizioni introdotte a riguardo prevedono, infatti, la trasformazione delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale in sezioni specializzate in materia di impresa. Esse attrarranno le nuove cause iscritte a ruolo dopo 90 gg. dall’entrata in vigore del decreto, che abbiano ad oggetto, oltre alla controversie sulla proprietà industriale - previste dal D.Lgs. 30/2005 - ed a quelle sul diritto d’autore - le class action e tutte le nuove competenze societarie previste dal comma 2, relativamente alle società di cui al Libro V, Titolo V, Capi V e Vi c.c., e precisamente:
“a) tra soci delle società, inclusi coloro la cui qualità di socio e' oggetto di controversia;
b) relative al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti;
c) di impugnazione di deliberazioni e decisioni di organi sociali;
d) tra soci e società;
e) in materia di patti parasociali;
f) contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari;
g) aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse dai creditori delle società controllate contro le società che le controllano;
h) relative a rapporti di cui all'articolo 2359, primo comma, n. 3, all'articolo 2497-septies e all'articolo 2545-septies codice civile;
i) relative a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria in cui sia parte una società di cui al Libro V, Titolo V, Capi V e VI del codice civile, quando sussiste la giurisdizione del giudice ordinario».
Di estrema rilevanza la disposizione successiva:: il nuovo comma 1-ter inserito all’articolo 13 del DPR 115/2002 dispone, infatti, la quadruplicazione del contributo unificato per i processi di competenza delle sezioni specializzate. Un primo sicuro effetto delle liberalizzazioni, pertanto, è l’aumento dei costi per tali materie, con oneri a carico di coloro che avvieranno le nuove azioni; per tali procedimenti, pertanto, indipendentemente dalla parte che aziona il contenzioso, non si intravede alcun risparmio di spesa per il cittadino.
Preme evidenziare, inoltre, l’eterogeneità delle materie ricondotte alla sezione specializzata: occuparsi di proprietà intellettuale lato impresa - quindi marchi e brevetti - è sostanzialmente differente dall’occuparsi di proprietà intellettuale lato diritto d’autore e copyright, o del diritto societario tradizionale. E’ pur vero che numerosi studi legali specializzati seguono i differenti filoni, ma sarà lo stesso per i giudici? la domanda è d’obbligo, e d’obbligo anche il conseguente dubbio.
Il parere contrario della Commissione Giustizia
Prima delle annotazioni finali, occorre prendere atto del fatto che, lo scorso 1 febbraio, la Commissione Giustizia del Senato, nell’esaminare in sede consultiva le norme oggetto del decreto durante l’iter di conversione in legge, ha espresso parere favorevole condizionato sugli artt. 3, 32 e 43, e parere contrario sugli articoli 2, 9 e 29: quanto all’articolo 3, in particolare, votato a maggioranza, è emersa una generale condivisione sulla assoluta inopportunità del ricorso in questa materia alla decretazione d'urgenza, oltretutto mentre è in corso di svolgimento la complessa procedura di esercizio della delega in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie. In merito all’articolo 9, invece, ne è stata proposta l’integrale soppressione. La Commissione, infatti, ha osservato che “i commi 1 e 2 hanno determinato il sostanziale blocco delle liquidazioni giudiziarie e di conseguenza l'emanazione dei relativi provvedimenti, per effetto, da un lato, della circostanza che l'adozione con decreto-legge ne determina la vigenza immediata e, dall'altro, della mancanza dei decreti ministeriali che determinano i parametri dei compensi”. La Commissione non manca di osservare “la assoluta irragionevolezza della norma che prevede da un lato l'evoluzione di parametri legali e dall'altro l'ineludibilità a pena di nullità dei medesimi parametri”, e si sofferma sul comma 2, che introduce un “obbligo di formulazione di un preventivo dettagliato degli oneri delle prestazioni professionali che in molti casi, si pensi in particolare alla professione forense, appare sostanzialmente inattuabile in relazione ad un'attività per la quale il professionista assume obbligazioni di mezzi e non di risultato, con riferimento a vicende processuali che non sono prevedibili in quanto non determinate unicamente dalla volontà e dalle strategie della parte e del suo avvocato, ma anche da quelle delle altre parti o del pubblico ministero, nonché dalle decisioni di un giudice”. La Commissione evidenzia, poi, che il comma 5 “reca innovazioni in materia di disciplina dei tirocini professionali che appaiono difficilmente compatibili con la natura propria di tale istituto, che è quella di formare la competenza pratica minima necessaria per l'accesso alle professioni regolamentate e, per quanto riguarda in particolare il tirocinio per l'accesso alla professione forense, non tiene conto dell'obbligo - che è stato inserito nel testo di riforma della professione attualmente all'esame del Parlamento, e che rappresenta un'innovazione ritenuta indispensabile e condivisa da tutte le forze politiche e dagli operatori - di riconoscere un equo compenso all'attività lavorativa svolta dal tirocinanti”.
Insomma, una sostanziale bocciatura, che non potrà non far sentire i propri effetti nelle fasi successive. Al proposito, occorre anche precisare che lo stesso sottosegretario di Stato per la Giustizia, pur non riconoscendo l’esistenza di un vuoto normativo, ha dichiarato che è allo studio dell’Ufficio Legislativo del Ministero un emendamento al ddl di conversione del decreto 1/2012, finalizzato ad introdurre una disciplina transitoria che, in attesa dell'adozione dei parametri ministeriali, consenta la liquidazione del compenso da parte degli organi giurisdizionali.
Considerazioni finali
Alcune annotazioni finali si rendono necessarie: come richiamato nel “Manifesto dell’Avvocatura unita” del gennaio 2012, le scelte del Governo vanno nella direzione dell’orientamento comunitario già espresso con la Direttiva Bolkestein 2006/123/CE, cd. Direttiva Servizi, la quale ha generalmente liberalizzato le prestazioni di servizi, pur prevedendo che “se disposizioni della presente direttiva confliggono con disposizioni di altri atti comunitari che disciplinano aspetti specifici dell’accesso ad un’attività di servizi o del suo esercizio in settori specifici o per professioni specifiche, le disposizioni di questi altri atti comunitari prevalgono e si applicano a tali settori o professioni specifiche”.
Tra le disposizioni espressamente richiamate, anche la Direttiva 2005/36/CE sulle professioni regolamentate, che, pertanto, dovrà essere anch’essa tenuta in debito conto nel procedimento di armonizzazione con il diritto comunitario.
Da ultimo, si sottolinea che l’orientamento espresso dalle recenti disposizioni normative sembrerebbe andare in direzione parzialmente contraria rispetto alla riforma della legge professionale che giace in parlamento. Senza entrare nel merito della stessa e senza voler esprimere valutazioni specifiche, ci si limita ad evidenziare come le linee tracciate dal D.L. 138/2011 si dovrebbero ora porre alla stregua di una ‘legge quadro’, definendo, appunto, i cardini dell’intera riforma; del quadro così tracciato, pertanto, si dovrà tenere conto in sede di eventuale riesame della stessa.
Tante e molteplici, quindi, le problematiche da affrontare; si avrà modo di ritornarci al completamento dell’iter di conversione; nella speranza che tutti i profili di criticità evidenziati vengano nel frattempo risolti.

(Da Altalex del 7.2.2012. Articolo di Maria Morena Ragone e Fabrizio Sigillò)