giovedì 14 marzo 2013

Parcelle e responsabilità erariale dell'Ordine

PARERI SULLE PARCELLE E RESPONSABILITÀ ERARIALE DEI CONSIGLIERI DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI IN UNA RECENTE SENTENZA DELL’A.G. CONTABILE : MOLTO RUMORE PER NULLA.

1. Una recente sentenza della Sezione giurisdizionale regionale per il Friuli-V.G. della Corte dei conti, la n. 2 del 2013[1], pur avendo disconosciuto la responsabilità dei componenti di un Consiglio dell’Ordine degli avvocati in relazione all’opinamento di una parcella, pare tuttavia aver portato scompiglio nel mondo forense e messo in ambasce segnatamente il suo sistema ordinistico; tant’è che il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Prof. Guido Alpa, nel suo intervento in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei conti, svoltasi in Roma il 05 febbraio 2013, ha giudicato “allarmante” l’orientamento espresso dal collegio friulano, auspicando che “un tale modo di ricostruire la giurisdizione contabile rimanga isolato, dato che, a tacer d'altro, rischia di produrre un condizionamento eccessivo di una funzione ordinistica, quella di liquidare la congruità delle parcelle professionali[2].
Eppure, se ci si attiene al dispositivo della sentenza de qua (che ha dichiarato il difetto di giurisdizione nei confronti dei locali consiglieri dell’Ordine) siffatte preoccupazioni parrebbero prive di ragione.
Ma, a dispetto del dispositivo, pietra dello scandalo sono la peculiare motivazione del difetto di giurisdizione e i suoi paventate effetti.
Per comprendere appieno la vicenda - e la fondatezza o meno dell’ allarme espresso dal massimo rappresentante dell’Avvocatura - occorre chiarire i termini della vicenda esaminata dal giudice friulano.
2. La vicenda contenziosa può ricostruirsi come segue.
Alcuni amministratori comunali, tratti a giudizio penale, dopo il proprio proscioglimento con formula ampia avevano chiesto all’Ente di appartenenza il rimborso delle spese di difesa.
Come noto, le norme vigenti prevedono che l’ente di appartenenza, anche a tutela dei propri diritti e interessi, appresti, al dipendente sottoposto a procedimento di responsabilità civile o penale per fatti connessi al servizio, se non in conflitto di interessi, tutela giudiziaria, assumendo a suo carico ogni onere di difesa e facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento. Analoga tutela, pur non prevista espressamente, è riconosciuta agli amministratori dalla giurisprudenza prevalente, per applicazione analogica delle norme dettate per i dipendenti o in virtù dell’art. 1720 c.c.
Il Comune provvedeva a riconoscere come debito fuori bilancio le somme di cui alle parcelle dei difensori, recanti aumento del triplo degli onorari (per la particolare complessità e gravità della causa e per il suo esito) su conforme parere rilasciato (su istanza degli stessi difensori, senza diretto coinvolgimento del Comune e senza diretto riferimento all’adottanda delibera consiliare) dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati. Secondo il PM (a giudizio del quale la liquidazione operata era erronea), sebbene l’obbligo del parere del C.d.O. fosse previsto dall’art. 151 co. 1 e 2 L.R. n. 53/1981 per i soli amministratori regionali, esso poteva ritenersi applicabile analogicamente agli amministratori locali, anche perché dipendenti regionali e degli enti locali appartenevano al Comparto unico regionale istituito nel 1998, perchè l’obbligatorietà era stata estesa ai dipendenti di comuni e province con L.R. n. 9/2008, e infine perché a detta legge il G.A. (Cons. Stato n. 1681/07) avrebbe (ma in realtà non aveva) riconosciuto efficacia retroattiva.
La Sezione Giurisdizionale Friuli ha respinto l’impostazione accusatoria ed ha dichiarato il difetto di giurisdizione, ma – e ciò ha messo in allarme gli ambienti forensi – unicamente perché i fatti erano precedenti all’entrata in vigore della L.R. n. 9/2008, la quale soltanto imponendo l’obbligatorietà del parere del C.d.O. (mediante la novellazione, tramite il suo art. 12 co. 30 lett. b), del citato art. 151 L.R. n. 53/1981) consentiva di individuare un rapporto diretto e funzionale tra l’ente locale e l’Ordine forense, rendendo effettivo quel rapporto di servizio, necessario per fondare la responsabilità amministrativa, diversamente insuscettivo di radicarsi utilmente sulla base del solo rilascio del non obbligatorio parere del C.d.O. In conclusione, ex art. 59 co. 1° L. n. 69/2009, il collegio indicava l’A.G.O. quale giudice munito di giurisdizione per le eventuali vertenze risarcitorie circa la fattispecie di cui in citazione.
3. Rebus sic stantibus, non è dato intravedere né alcun elemento di novità né tampoco motivo per il sistema ordinistico forense di preoccuparsi più di quanto non ne avesse già ragione.
Anzitutto, appare corretta l’affermata inconfigurabilità d’un rapporto di servizio tra Comune e C.d.O. per effetto del solo rilascio (per giunta su istanza dei difensori e senza riferimento all’adottanda deliberazione consiliare) del parere sulle parcelle, stanti anche le peculiari natura e funzione pubblicistiche degli Ordini forensi[3].
Tuttavia, non pare che tale conclusione possa mutare in ragione dell’obbligatorietà ex lege del parere, e dunque non sembra abbiano sotto questo profilo ragion d’essere le ambasce del mondo forense, anche ove riferite a pareri rilasciati nel vigore di norme, segnatamente regionali, richiedenti, per il rimborso delle spese legali agli amministratori il parere del C.d.O.
Invero, sembra da escludere che una disposizione legislativa la quale, disciplinando il procedimento di rimborso delle spese legali in favore di amministratori o funzionari, richieda a corredo dell’istanza il parere del C.d.O. valga di per sé a radicare tra quest’ultimo e l’amministrazione un rapporto di servizio.
E’ jus receptum che la responsabilità erariale suppone la sussistenza di una peculiare relazione dell’agente con la P.A. danneggiata, la quale relazione, in origine limitata al rapporto di impiego, si è poi, per evoluzione della giurisprudenza contabile e della corte regolatrice, ampliata fino a ricomprendere il cd. rapporto di servizio, cioè quel peculiare rapporto in virtù del quale (a prescindere dalla tipologia e natura giuridica del rapporto: lavoro subordinato, pubblico o privato, a tempo determinato o indeterminato; rapporto contrattuale o convenzionale; rapporto concessorio; rapporto di carattere onorario cioè non correlato a un'attività di tipo economico-professionale; o anche instaurato in via di fatto o in forza di un titolo invalido, come nel caso di dipendente assunto in base a documenti falsi) un soggetto (persona fisica o giuridica) venga funzionalmente, se non anche strutturalmente, inserito nell'organizzazione e nella attività amministrativa per lo svolgimento in modo continuativo di un'attività tipica della P.A., retta da regole specifiche dirette ad assicurarne la finalizzazione alla realizzazione degli interessi pubblici perseguiti dalla P.A. stessa. Siffatto inserimento funzionale non deve però avere carattere meramente casuale o accidentale ma essere normativamente qualificato e specificatamente finalizzato agli interessi perseguiti dalla P.A. interessata.
Un siffatto rapporto potrebbe semmai ipotizzarsi laddove la legge disponesse che il parere, oltre che obbligatorio, fosse reso su istanza dell’ente tenuto al rimborso delle spese. In questa evenienza sarebbe, infatti, evidente, anche per la soggettiva percezione dei componenti del C.d.O., il nesso di funzionalizzazione del parere all’operare della P.A. interessata ed il suo indubbio riferimento al procedimento amministrativo in atto.
Senonchè, a tal fine dovrebbe trattarsi di una disposizione normativa proveniente da una fonte del diritto competente a disciplinare le funzioni del C.d.O., giacchè solo una norma di tal genere potrebbe configurare la emissione del parere come un obbligo di servizio finalizzato all’attività della P.A.
Non può ritenersi che a tal fine possa utilmente rilevare una legge regionale, poichè per consolidata giurisprudenza costituzionale[4], deve escludersi che la legge regionale sia abilitata a regolamentare le funzioni di un Ordine professionale istituito con legge dello Stato, spettando a quest’ultimo, pur nel quadro della competenza concorrente in tema di “professioni” (art. 117 Cost.) la “individuazione di una professione e istituzione di un Ordine, Collegio o Albo [che] sono dunque operazioni precluse alle Regioni in quanto: la prima principio fondamentale della materia e la seconda necessaria conseguenza della prima.La Corte, dunque, esclude dalla materia professioni : l'individuazione regionale delle professioni, la disciplina del profilo e dell'ordinamento didattico delle professioni; l'istituzione regionale di albi nuovi o già esistenti per qualunque tipo di professione; la disciplina regionale di Ordini e Collegi per qualunque tipo di professione.[5].
Né a diverse conclusioni deve pervenirsi per quanto concerne la regione ad autonomia speciale Friuli-Venezia Giulia, dal cui Statuto, adottato con L. cost. n. 1/1963, non emerge una diversa competenza legislativa regionale, né esclusiva (art. 4) nè concorrente (art. 5).
Ciò significa che un’eventuale norma regionale che prevedesse, anche come obbligatorio, il parere del C.d.O. rileverebbe ai fini del procedimento di rimborso e costituirebbe onere procedimentale a carico dei funzionari ed amministratori chiamati a provvedere a detto rimborso, ma non varrebbe ad integrare gli obblighi di servizio dei componenti del C.d.O. sì da radicare in capo a costoro un rapporto di servizio con l’ente tenuto al rimborso; non varrebbe, in altri termini, a mutare sostanzialmente, il quadro operativo correttamente ricostruito dal giudice friulano per l’ipotesi in cui una norma siffatta non esisteva.
Al riguardo può, mutatis mutandis, richiamarsi l’orientamento della Corte Costituzionale che chiamata a pronunziarsi sulla legittimità o meno di norme regionali (siciliane) che prevedevano la copertura ad opera di magistrati di determinati posti in organismi regionali, ha escluso che dette norme violassero la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento giudiziario sulla considerazione che esse avessero unicamente la funzione di regolamentare l’attività degli enti subregionali ma non valessero in alcun modo a disciplinare le funzioni ed i compiti istituzionali dei magistrati, che, pertanto, non erano tenuti, nemmeno su eventuale designazione dell’amministrazione statale, ad assumere quegli incarichi, che non rientravano tra i propri obblighi di servizio[6].
4. Orbene, tutto ciò precisato, va però soggiunto come le agitate questioni circa la sussistenza o meno di un rapporto di servizio, come pure le ambasce del mondo forense, risultino oltremodo oziose, dal momento che a ben vedere già allo stato, ed a legislazione invariata, può e deve essere riconosciuta la giurisdizione sui componenti del C.d.O., sulla base della disposizione dell’art. 3 co. 4 D.L. n. 453/1993, soppresso dalla legge di conversione L. n. 19/1994 e trasposto nell’art. 1 co. 4° L. n. 20/1994, secondo cui “4. La Corte dei conti giudica sulla responsabilita' amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti diversi da quelli di appartenenza.”.
In forza di questa, peraltro più agevole, impostazione - che in maniera a dir poco singolare nel caso de quo è stata completamente pretermessa sia dalla pubblica accusa che (verosimilmente nel timore di incorrere in un’ultrapetizione) dal giudice - non è revocabile in dubbio che i consiglieri dell’Ordine che abbiano reso un parere rispondano della legittimità e correttezza dello stesso, verso l’ente di appartenenza, verso i terzi, ed anche verso le altre pp.aa.
Sussistono, infatti, tutti i presupposti per l’applicazione della norma, posto che:
a. l’ Ordine degli avvocati ha natura di organismo con personalità giuridica pubblica, come ente pubblico non economico[7];
b. i consiglieri hanno indubitabilmente un rapporto di servizio, sia pure di carattere onorario, con l’Ordine, atto a radicare la giurisdizione dell’A.G. contabile
[8];
c. il parere reso dall’Ordine ex art. 14 R.D. n. 1578/1933 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore) e
art. 636 c.p.c. ha natura di provvedimento soggettivamente ed oggettivamente amministrativo, emesso nell’ambito e nell'esercizio di poteri autoritativi, e segnatamente nell'esercizio di un potere riconosciuto in via esclusiva dalla legge come espressione di potestà amministrativa per finalità di pubblico interesse -che modifica la situazione giuridica precedente avendo effetti costitutivi per il richiedente (consentendogli di promuovere la procedura monitoria ex artt. 633 e 636 c.p.c.)- quindi impugnabile avanti al Giudice Amministrativo[9].
Non osta a tanto il carattere non vincolante del parere del C.d.O., così come il carattere non vincolante dei pareri ex art. 49, T.U. n. 267/2000 non è dirimente ai fini di escludere la responsabilità dei responsabili di servizio che abbiano reso tali pareri (obbligatori ma non vincolanti).
Né vi osta l’insindacabilità da parte del giudice contabile delle valutazioni discrezionali, giacchè l’attività del C.d.O. sottesa alla espressione del parere sulle parcelle professionali, pur potendo in ipotesi ascriversi, non senza qualche sforzo, a quella che - con un autentico ossimoro - un tempo veniva definiva discrezionalità-tecnica, non involge in alcun modo valutazioni e scelte di opportunità per la cura del pubblico interesse, ma consiste in un giudizio obiettivo circa l’adeguatezza del compenso alla quantità ed alla qualità dell’attività prestata - giusta il disposto dell’art. 2233 c.c. e degli artt. 57-61 R.D. n. 1578/33[10] - non diversamente da quanto farebbe (e fa) l’A.G. cui sia richiesto di liquidare il compenso dovuto. Infatti tale parere “non si esaurisce in una mera certificazione della rispondenza del credito esposto alla tariffa professionale essendo esso, anche dal punto di vista logico e semantico, espressione di un motivato giudizio critico e non di una mera operazione contabile. Detto parere corrisponde ad una funzione istituzionale dell'organo professionale in vista degli interessi degli iscritti e della dignità della professione, nonchè dei diritti degli stessi clienti, ed è volto ad impedire richieste di onorari sproporzionati e comunque inadeguati all'obiettiva importanza dell'opera professionale"[11].
5. In definitiva, sembra proprio che in quel di Trieste sia il PM che il giudice si siano posti su di una strada ripida e tortuosa per non giungere, alla fine, ad un risultato (la affermazione della giurisdizione dell’A.G. contabile) che viceversa poteva essere agevolmente raggiunto con la via più semplice e più breve del ‘danno ad ente diverso’. Tanto a riprova dell’esattezza dell’assunto di Flaiano, secondo cui “in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco.”.
Posto, dunque, che il parere del C.d.O., previsto o meno che sia dalla legge, non vale di per sé a sustanziare un rapporto di servizio idoneo a radicare la giurisdizione della A.G. contabile, che tuttavia sussiste senza dubbio anche a prescindere da un siffatto rapporto in virtù della disposizione ex art. 1 co. 4° L. 20/1994 in tema di responsabilità (e giurisdizione della Corte) per danno ad ente diverso, sembra appropriato - circa lo scalpore e l’allarme suscitato dalla pronunzia in commento in seno all’ordine forense – affermare, col grande drammaturgo inglese, che davvero nel caso di specie si sia fatto … molto rumore per nulla!

(Da Altalex del 14.3.2013. Articolo di Nicola Bontempo)
______________
[1] La sentenza può leggersi nella Banca dati delle sentenze consultabile sul sito web della Corte dei conti al seguente URL: https://servizi.corteconti.it/bds/.

[2] L’intervento del Prof. Alpa può leggersi sul sito web del CNF cliccando qui.
[3] Ex art. 24, L. 247/2012 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) :”…3.Il CNF e gli ordini circondariali sono enti pubblici non economici a carattere associativo istituiti per garantire il rispetto dei princìpi previsti dalla presente legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela della utenza e degli interessi pubblici connessi all’esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. ”.

[4] V. C.Cost., sentenze nn.230/2011, 132/2010, 131/2010, 271/2009, 222/2008, 57/2007, 153/2006, 449/2006, 424/2006, 423/2006, 40/2006, 424/2005, 355/2005, 319/2005, 353/2003.

[5] V. A.POGGI, Disciplina ‘necessariamente unitaria’ per le professioni: ma l’interesse nazionale è davvero scomparso?, in Le Regioni, n. 2/2006.

[6] V. C.Cost., 03.06.1999 n. 224.


[7] Giurisprudenza consolidata. In tal senso da ultimo v. Cass., SS.UU., ord. 12.03.2008 n. 6534. Così ora, espressamente, l’art.24 L. n.247/2012 cit.: “1.Gli iscritti negli albi degli avvocati costituiscono l’ordine forense. 2.L’ordine forense si articola negli ordini circondariali e nel CNF. 3.Il CNF e gli ordini circondariali sono enti pubblici non economici”.

[8] V. per tutte Cass. S.U., 17.05.1995 n. 5393.

[9] V. Cass., SU, nn. 6534/08 cit., nonché SU, 2894/1960; Cons. Stato, IV, n. 705/1959; TAR Lombardia, n. 138/1984; TAR Toscana, n. 596/1996.

[10] Art. 2233: “(Compenso) - Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.”.
R.D. 27.11.1933 n. 1578: Art. 57: “I criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati ed ai procuratori in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense. Art. 58: “I criteri di cui al precedente articolo, sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie ed al grado dell’autorità chiamata a conoscerne, e, per i giudizi penali, anche alla durata di essi. …”; Art. 59: “La sentenza che porti condanna nelle spese deve contenerne la tassazione. A tal fine ciascun procuratore è obbligato a presentare, insieme con gli atti della causa, la nota delle spese, delle proprie competenze e dell’onorario dell’avvocato,Per quanto riguarda l’onorario di avvocato, alla nota delle spese può essere unito il parere del Consiglio dell’ordine degli avvocati e procuratori.”; Art. 60: “La liquidazione degli onorari è fatta dall’autorità giudiziaria in base ai criteri stabiliti a termini dell’art. 57, tenuto conto della gravità e del numero delle questioni trattate.”; Art. 61: “L’onorario dell’avvocato nei confronti del proprio cliente, in materia sia giudiziale sia stragiudiziale, è determinato, salvo patto speciale, in base ai criteri di cui all’art. 57, tenuto conto della gravità e del numero delle questioni trattate.”.

[11] V. Cass., SU, n. 6534/08 cit.