martedì 15 settembre 2015

Arresti domiciliari esclusi in vista della condizionale

Misure cautelari. Vale il «pronostico» del giudice

Il giudice nel valutare l’esigenza delle misure cautelari deve considerare la possibilità per l’imputato di ottenere la condizionale o una condanna inferiore ai tre anni.

Se in base al suo pronostico la toga ritiene possibile la concessione della condizionale (articolo 163 del Codice penale) dovrà escludere il ricorso alle misure cautelari, quando invece, a suo avviso, l’”asticella” della giustizia é orientata verso una condanna non superiore ai tre anni il giudice potrà limitarsi a dire no alla sola custodia in carcere. La Cassazione, con la sentenza 36918 depositata ieri, fornisce i chiarimenti per una corretta lettura dell’articolo 275, comma 2-bis del Codice di procedura penale, sul quale è intervenuto il Dl 92/2014, convertito nella legge 117/2014. La nuova norma sbarra la strada della custodia in carcere in tutti i casi in cui il giudice prevede che alla fine del giudizio la pena resterà sotto la soglia dei 3 anni.

Un’indicazione seguita dai giudici di merito che avevano sostituito la misura della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, nei confronti di un imputato accusato di aver prodotto fatture false finalizzate all’evasione fiscale (articolo 8, Dlgs 74/2000).

Contro la decisione dei giudici di merito aveva fatto ricorso l’imputato ritenendo immotivata l’esigenza delle misure cautelari sebbene nella forma meno restrittiva. Una conclusione raggiunta guardando al destino di un coimputato per lo stesso reato al quale era stata concessa la condizionale dopo il patteggiamento. A suo avviso il Tribunale della libertà avrebbe dovuto prevedere gli effetti di una possibile pena concordata e del beneficio della condizionale.

Per la Suprema corte però il giudice cautelare si è comportato in modo esemplare. La prognosi, infatti, non deve basarsi su dati astratti ma sul caso concreto. L’impatto che sull’esito finale del giudizio possono avere i riti alternativi non va parametrato alla loro ipotetica praticabilità «ma ad elementi che ne facciano ritenere la più che probabile fattibilità». Fermo restando - ricorda la Suprema corte - che il pericolo di recidiva rende «infausta la prognosi della concedibilità della sospensione condizionale». Nel caso esaminato il reato era stato contestato in relazione a diverse annualità: una continuazione, che avrebbe con ogni probabilità fatto lievitare la pena minima di un anno e sei mesi, allontanando la possibilità del beneficio invocato.

Obiettivo del legislatore non è lasciare impuniti i reati ma fare in modo che, a procedimenti conclusi, l’imputato non sia in credito con la giustizia per essere stato sottoposto durante il percorso processuale a restrizioni che non era destinato a subire alla fine. Il tutto per un’errata valutazione del giudice.

Patrizia Maciocchi (da Il Sole 24 ore del 15.9.2015)