venerdì 10 giugno 2011

Magistratura onoraria, serve riforma organica

di Salvatore Frattallone, avvocato senior partner di View Net legal

Da tanto tempo se ne parla, al punto tale che molti provano disgusto a riaffrontare l'argomento. Eppure il tema è decisivo, per uno Stato che impiega diecimila magistrati onorari (tra Giudici di Pace e magistrati onorari d'altro rango, con rilevante turnover) per mandare avanti la disassata "carretta" della giustizia, che finisce con l'essere abbandonata a sporadici quanto contraddittori interventi emergenziali. Della questione, invero, si occupò in modo egregio anche la commissione Acone, il cui testo licenziato costituì un buon punto di partenza per quel laboratorio giuridico e legislativo cui Avvocatura e  Magistratura, unite in un'azione politica congiunta e propositiva, seppero dare vita. Nel maggio del 2003, infatti, si iniziò a scrivere un progetto di riforma, con il contributo di tutte le forze interessate - avvocatura associata e istituzionale e magistratura, togata ed onoraria - che avrebbe dovuto essere sottoposto al governo e al parlamento, secondo gli intenti dei partecipanti al tavolo (Aiga, Anm, Cnf, Cassa forense, Csm, Angdp, Federmot, Anga, Ungdp), sotto gli auspici dell'allora sottosegretario alla giustizia, Vietti. Nihil sub sole novum, da allora in poi. Salvo un vivace confronto che ha avuto luogo a Padova lo scorso aprile, in occasione della Conferenza sulla magistratura onoraria.  Ho invero vissuto, quasi vent'anni fa, la realtà del vice procuratore onorario e fu un'esperienza triennale entusiasmante, intensa ed  impegnativa. Lo dico senza remore, perché avevo nitida una duplice consapevolezza, quella di cercare, nel mio piccolo, di fare del mio meglio per contribuire al corretto svolgimento del processo penale, lato pubblico ministero, e quella di rivestire un incarico sostanzialmente gratuito, temporaneo, conferitomi eccezionalmente e con modesti margini d'incompatibilità. Furono i tempi dell'ingresso dell'Avvocatura in ruoli ausiliari, di supplenza rispetto alla magistratura ordinaria, allo scopo di favorire il decollo del codice di rito penale d'impronta accusatoria. E il Foro seppe dare responsabilmente il suo contributo all'avvio di improcrastinabili riforme, consentendo che molte risorse fossero tratte dalle proprie fila. Oggigiorno mi pare sia stato smarrito il significato dell'onorarietà, dell'in sè che contraddistinguerebbe quel polimòrfo genus di magistrati. Non concordo affatto con l'ipotesi, ventilata da taluno, di superare la precarietà, mediante l'espediente d'una c.d. legge di sistemazione, all'insegna del binomio stabilità = responsabilità, quasi che stabilizzandoli si possa creare una magistratura "di supporto", con competenze "minori". Viceversa, si elimini tale precariato "a basso costo", frutto dei sistematici reincarichi assicurati da periodiche "mille-proroghe", e si effettuino i concorsi pubblici, garantendo a tutti, cittadini e no, l'attuazione - senza se e senza ma - dell'art. Art. 102 della Costituzione. In base alla Carta fondamentale (sul punto ancora non abrogata ma, di fatto, disapplicata) "La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario" e, inoltre, "Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali". Perciò, delle due, l'una. O si persiste, negando l'evidenza, a riprodurre l'attuale disastroso modello, così ignorando i cennati principi costituzionali, abusando delle prestazioni (spesso di qualità) dei giudici di prossimità e degli altri magistrati onorari, nel contempo sacrificando le loro istanze d'istituzione d'un rapporto stabile, remunerato equamente e non soltanto a cottimo, munito di tutela previdenziale e d'idonei percorsi formativi. Oppure ci si determina a innovare, riprendendo la rotta maestra tracciata dai padri costituenti, riconducendo dunque la magistratura "minore" nell'alveo della magistratura ordinaria. Solo così si può ridarle la dovuta dignità, accompagnata dalle necessarie guarentigie e dalle più opportune incompatibilità. Già, perché ciò che difetta ad oggi, oltreché un connotato "in positivo" (la categoria è definita di magistrati non-togati, ma non ci è dato sapere perché mai dovremmo ritenere che essi non-siano-qualcosa, piuttosto che attribuire loro la natura giurisdizionale che gli è consona!), è anche un sistema omogeneo di "paletti", un rigoroso regime d'incompatibilità, atto a impedire l'esercizio congiunto della funzione giurisdizionale e di quella forense. L'inquadramento delle varie figure di onorari all’interno dell’ordine giudiziario costituisce un prius rispetto alla riforma organica della giustizia, che non può affatto prescindere dall'irrinunciabilità della funzione pubblica della giurisdizione. Si stabilisca - con il coraggio e lo slancio che al legislatore non dovrebbero mai mancare - che per un triennio dalla cessazione delle funzioni giudiziarie è preclusa al magistrato l'iscrizione in albi od elenchi (così rendendo espressamente la funzione magistratuale del tutto incompatibile con l'esercizio di altre attività libero professionali) e s'introducano criteri certi per escludere, anche da punto di vista territoriale, l'esercizio di attività professionali inconciliabili con quella giudicante o requirente. Il tutto non disgiunto dalla garanzia della severità dei controlli, qualitativi e quantitativi, legati alla "produttività" della Curia. Il prestigio della magistratura non potrà che trarne vantaggio e l'intera macchina giudiziaria - con uno o due C.S.M., poco conta - sarà rimessa in moto, con rinnovato vigore.  Che se poi ci si decidesse anche a separare davvero le carriere dei magistrati, tanto male non sarebbe per l'intero Paese. Ma quest'utopia da penalista è davvero un altro affare.

(Da Mondoprofessionisti del 6.6.2011)