mercoledì 22 giugno 2011

Il fallimento dura troppo? Sì all’equa riparazione

Con l'ordinanza n. 12936 del 13 giugno la Corte di Cassazione indica una serie di parametri per individuare cosa si intenda per ragionevole durata del processo.
Il caso
Tra l'istanza di fallimento e l'udienza fissata per il piano di riparto passano 17 anni, troppi. Da qui la richiesta di equo indennizzo, ex art. 2, l. n. 89/2001, per violazione della ragionevole durata di una procedura concorsuale. Non è d'accordo la Corte d'Appello, che rigetta la domanda perché il tempo trascorso non può imputarsi all'inerzia del sistema giudiziario. Il cittadino che ha avviato la procedura concorsuale si rivolge, allora, alla Corte di Cassazione.
La valutazione in concreto
La Corte Suprema ritiene fondati i motivi del ricorso: in tema di equa riparazione per irragionevole durata di una procedura fallimentare non è possibile stabilire in via teorica e generale quale sia la durata ragionevole del fallimento; pertanto, il giudizio in ordine alla violazione del relativo termine deve articolarsi sull'esame «delle singole fasi e dei sub procedimenti in cui la procedura si è in concreto articolata, onde appurare se le corrispondenti attività siano state svolte senza inutili dilazioni o abbiano registrato periodi di stallo» non determinati da esigenze specifiche, finalizzate al soddisfacimento dei creditori.
I parametri di riferimento
Il giudizio in ordine alla ragionevole durata della procedura deve essere fondato sui criteri e sui parametri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e dalla giurisprudenza interna. In particolare, secondo la S.C., occorre tener conto del numero dei soggetti falliti, delle controversie giudiziarie instauratesi nel fallimento, dell'entità del patrimonio da liquidare, della consistenza delle operazioni di riparto e di ogni altra questione che possa incidere sulla complessità del fallimento stesso.
Sì all'equa riparazione
Dopo aver individuato in sette anni la ragionevole durata di una procedura fallimentare particolarmente complessa, quale si presentava quella in esame, e dopo aver sottolineato che l'effettiva durata è stata, invece, di diciassette anni, la Corte di Cassazione riconosce al ricorrente il diritto all'equa riparazione e, quindi, al risarcimento del danno non patrimoniale che, conformemente a quanto stabilisce la citata legge n. 89/2001, deve essere individuato in un importo non inferiore a € 750 per ogni anno di ritardo.

(Da avvocati.it del 17.6.2011)