martedì 17 maggio 2011

Il condominio e il diritto di usare le parti comuni

C'è differenza tra diritto del singolo all'uso delle parti comuni e modalità d'utilizzazione delle stesse? Sicuramente sì. E' quanto sostiene la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8941 del 19 aprile.
I condomini sono proprietari delle cose comuni indicate dall'art. 1117 c.c.; l'elencazione non è tassativa e, a quelle indicate dalla legge, vanno unite le parti che per la loro particolare funzione si pongono in un rapporto di accessorietà rispetto a più unità immobiliari. Il diritto di condominio, oltre a comportare l'obbligo di partecipazione alle spese per la conservazione e l'uso delle cose comuni, fa sì che tutti i comproprietari abbiano il diritto d'usarle nel modo che più gli si confà.
Un diritto d'uso quindi che non deve essere inteso come uso identico e contemporaneo ma come uso potenziale e differente a secondo delle personali esigenze d'ognuno.
Le limitazioni a tale diritto possono essere stabilite solamente con il consenso di tutti gli interessati (es. regolamento contrattuale) o con le maggioranze previste per le innovazioni, purché queste ultime non siano vietate e sempre che si tratti di limitazioni che rappresentino naturali conseguenze del mutamento della destinazione d'uso. In caso contrario le clausole regolamentari e/o le deliberazioni dovrebbero considerarsi radicalmente nulle.
L'assemblea può disciplinare le modalità d'uso delle cose comuni
Tutti i condomini hanno diritto di usare le cose comuni. Per evitare che l'uso d'ognuno possa generare attriti e sostanziale inutilizzabilità da parte di altri, l'assemblea può disciplinare l'utilizzazione delle parti condominiali. Disciplinare significa rendere effettivo il diritto all'utilizzazione ma non limitare le possibilità d'uso o escluderle.
Nei casi in cui sorgano controversie, la competenza a decidere della causa è devoluta esclusivamente al Giudice di Pace.

(Da avvocati.it del 16.5.2011)