martedì 17 marzo 2015

Danno da nascita indesiderata al vaglio delle S.U.

Cass. Sez. III Civ., Ord. Interlocutoria 23.2.2015, n. 3569

La Corte di Cassazione, con Sentenza del 23 febbraio, ha rimesso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, le questioni relative al danno da nascita indesiderata per mancata informazione sull’esistenza di malformazioni congenite del feto, nonché alla legittimazione, o meno, del nato a pretendere il risarcimento del danno.

Nel caso in esame, una coppia conveniva in giudizio il primario di Ostetricia e Ginecologia presso l’ospedale di Barga e il Direttore del Laboratorio di Analisi dello stesso presidio, nonché l’Azienda U.S.L. di Lucca al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguiti alla nascita della figlia, affetta da sindrome di Down.

Secondo i ricorrenti il danno doveva essere risarcito dai medici che avevano avviato la donna al parto, senza che fossero stati disposti approfondimenti, benché i risultati degli esami ematochimici effettuati alla sedicesima settimana avessero fornito valori non rassicuranti.

Dopo la Sentenza del Tribunale di Lucca, che aveva rigettato la domanda della coppia, e la conferma da parte della Corte di Appello di Firenze, che aveva ritenuto che la donna non avesse dato alcuna prova della condizione di pericolo per la sua salute fisica o psichica, che avrebbe rappresentato condizione legittimante il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza dopo il novantesimo giorno, i coniugi hanno proposto ricorso per Cassazione, cui hanno resistito tutti gli intimati.

La coppia lamentava davanti alla Corte l’impossibilità di fornire tale prova, poiché la condizione di pericolo per la salute si ingenera a fronte di un completo quadro informativo, di cui la donna non ne era conoscenza.

Quanto alla domanda risarcitoria avanzata dai genitori in nome e per conto della figlia, i giudici di merito avevano sostenuto la non esistenza, nel nostro ordinamento, di un diritto a non nascere o a non nascere se non sano. Secondo i ricorrenti, il risarcimento non è volto a coprire una nascita indesiderata, bensì un’esistenza difficile da portarsi dietro tutta la vita e da vivere in ragione delle proprie limitazioni psicofisiche.

Secondo la Corte, il ricorso è incentrato su due questioni che meritano di essere sottoposte al vaglio delle Sezioni Unite, vale a dire quella relativa all’onere probatorio in relazione alla correlazione causale fra inadempimento dei sanitari e mancato ricorso all’aborto e quella concernente la legittimazione del nato alla richiesta risarcitoria.

Al riguardo si sono affermati due orientamenti contrastanti. Un primo orientamento ritiene che corrisponde a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata delle gravi malformazioni del feto. Si è affermato, infatti, che è sufficiente che la donna alleghi che si sarebbe avvalsa di quella facoltà se fosse stata informata della grave malformazione del feto. Tale orientamento è stato criticato da alcune pronunce della Corte (Cassazione Civile n. 16754/2012) che ha evidenziato come in mancanza di una preventiva, inequivocabile ed espressa dichiarazione di volontà da parte della donna di interrompere la gravidanza in caso di malattia genetica, il giudice è chiamato ad una valutazione caso per caso, e la parte attrice dovrà quindi fornire ulteriori elementi, non la mera dichiarazione di volontà.

Per quanto riguarda la questione della legittimazione del nato a pretendere un risarcimento a carico del medico che, col suo inadempimento, ha privato la gestante della possibilità di accedere all’interruzione della gravidanza, anche su questo punto, afferma la Cassazione, si hanno diversi orientamenti giurisprudenziali. Innanzitutto l’orientamento prevalente esclude che sia configurabile un diritto a non a non nascere o a non nascere se non sano. Ma, è stato recentemente affermato che una volta venuto ad esistenza, il nascituro ha diritto ad essere risarcito da parte del sanitario con riguardo al danno consistente nell’essere nato non sano, e rappresentato dell’interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità (Cassazione Civile n. 16754/2012).

Pertanto, la Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.


Francesca Russo (da filodiritto.com del 16.3.2015)