giovedì 19 febbraio 2015

Condanna di 5.000 € per mancanza copie «cortesia»!

A Milano, in base al 96 c.III cpp

Chi non deposita le “copie cortesia” delle memorie portate in una causa può subire una sanzione pecuniaria. Il Tribunale di Milano, seconda sezione civile (fallimentare), con decreto n. 534 del 15 gennaio scorso, ha condannato una parte a pagare 5mila euro (in base all’articolo 96, comma 3, del Codice di procedura penale) perché il proprio avvocato non aveva depositato le “copie cortesia” previste dal protocollo siglato tra il medesimo tribunale e l’Ordine degli avvocati di Milano lo scorso 26 giugno.

Alla lettera A del terzo capoverso del protocollo si legge: «si richiede ai difensori di consegnare, entro i due giorni successivi la scadenza dell’ultimo termine di cui agli articoli 183 6° comma e 190 Cpc copia cartacea di dette memorie a uso esclusivo del giudice raccolte in un unico plico, avendo cura di inserire sempre negli atti il numero di ruolo del procedimento e la parte rappresentata; le copie verranno depositate su tavolo/scaffale all’uopo predisposto dalla cancelleria, in sezione distinta per ogni giudice, senza attendere intervento di operatore». Il 4° comma specifica che «se provvedimento collegiale (come nel caso in oggetto, ndr), per le sole comparse conclusive ex art. 190 Cpc, verranno consegnati tre plichi distinti per i 3 giudici (depositati tutti nella sezione del giudice relatore)».

La replica delle associazioni

Per Mirella Casiello, presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura, è «una sentenza assurda: la copia di cortesia è uno strumento per sopperire i deficit di un processo civile telematico non ancora a regime. Non è possibile che si trasformi in una “ghigliottina” sul lavoro degli avvocati. L’atteggiamento del magistrato è ingiusto».

Critico anche il segretario generale dell’Associazione nazionale forense, Ester Perifano: «Se i magistrati remano contro il processo civile telematico, vanificando gli sforzi compiuti dalla categoria degli avvocati che si sono anche resi disponibili ad andare incontro alle difficoltà della macchina statale, accedendo a richieste extra legem dei magistrati, ci chiediamo se non occorra una seria riflessione sull’opportunità di chiedere la disdetta di tutti i protocolli. Lo scopo del processo civile telematico è rendere più efficiente la giustizia anche con una sua dematerializzazione, dunque tenere in piedi i due sistemi è controproducente e costoso per il cittadino».

L’Ordine degli avvocati di Milano ha parlato per bocca del consigliere Cinzia Preti, secondo cui «trattandosi di un accordo, esso non può essere ritenuto vincolante e tantomeno sanzionabile ex articolo 96 del Cpc. Il provvedimento della sezione fallimentare è, evidentemente, abnorme, senza senso e frutto di un travisamento dell’accordo di collaborazione».

Infine, Renzo Menoni, presidente dell’Unione nazionale delle Camere civili, ribadisce in una lettera inviata al ministro Orlando che «le cosiddette copie di cortesia possono rispondere a un criterio di volontaria e spontanea collaborazione fra avvocatura e magistratura, ma non possono essere imposte neppure da “protocolli di intesa”, che non hanno nessun valore vincolante». Menoni aggiunge che «l’applicazione della previsione dell’articolo 96, 3° comma Cpc non è rimessa all’assoluta discrezionalità del giudice, ma richiede che ricorrano i presupposti di cui al 1° e 2° comma e quindi il dolo o la colpa grave della parte. In difetto si sarebbe in presenza di puro arbitrio. Tale abnorme provvedimento giudiziario impone, quindi, un immediato avvio di un procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati che lo hanno adottato».


Enrico Bronzo (da Il Sole 24 Ore del 19.2.2015)