martedì 1 aprile 2014

Sospensione da albo esecutiva da notifica sentenza Cnf

Cass. Pen., sez. VI, sent. 25.3.2014 n° 14013 

La Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha affermato, con un'interessante decisione, che la sentenza del Consiglio Nazionale Forense che applica una sanzione disciplinare è esecutiva dal giorno della notifica all'interessato e non già dalla notifica di un successivo provvedimento - non previsto da alcuna norma - del Consiglio dell'Ordine di appartenenza; ne consegue che l'avvocato che esercita, in periodo di sospensione, l'attività forense, commette il reato di cui all'art. 348 c.p.

Il tema affrontato dalla Cassazione con la pronuncia in esame è quello della legittimità dell’esercizio della professione forense da parte di un legale che, raggiunto dalla sanzione disciplinare della sospensione dall’Albo degli avvocati, continui a svolgere la professione, ritenendo che detta sanzione disciplinare diverrebbe esecutiva non già al momento della notificazione all'interessato dalla sentenza emessa dal Consiglio Nazionale Forense, ma soltanto a seguito dell'iniziativa del Consiglio dell'Ordine al quale il professionista è iscritto, Consiglio che, ricevuta dal C.N.F. la comunicazione della sentenza, dovrebbe fissare la decorrenza della sanzione disciplinare e, quindi, notificarla all'interessato. La Corte, disattendendo la prospettazione difensiva, ha dichiarato però inammissibile il ricorso.


Il fatto

La vicenda processuale che ha fornito l’occasione alla Corte per occuparsi della questione trae origine dalla sentenza emessa in appello che confermava la condanna di un avvocato per il reato di abuso esercizio della professione, per avere, benché colpito dalla sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione di avvocato, esercitato abusivamente detta professione per un periodo di 8 mesi.


Il ricorso

Contro la sentenza di condanna presentava ricorso l’interessato, sostenendo, in particolare, per quanto qui d’interesse, che la sanzione disciplinare diverrebbe esecutiva non già al momento della notificazione all'interessato dalla sentenza emessa dal Consiglio Nazionale Forense, ma soltanto a seguito dell'iniziativa del Consiglio dell'Ordine al quale il professionista è iscritto, Consiglio che, ricevuta dal C.N.F. la comunicazione della sentenza, dovrebbe fissare la decorrenza della sanzione disciplinare e, quindi, notificarla all'interessato.


La decisione della Cassazione

La tesi difensiva è stata però respinta dalla Cassazione che ha confermato la legittimità della condanna.

Per meglio comprendere l’approdo dei giudici di legittimità, è opportuno un breve inquadramento della questione. Occorre, a tal proposito, ricordare che l’art. 1 del Regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (in Gazz. Uff., 5 dicembre, n. 281), convertito in legge 22 gennaio 1934, n. 36 (in Gazz. Uff., 30 gennaio 1934, n. 24), stabilisce che «Nessuno può assumere il titolo, né esercitare le funzioni di avvocato se non è iscritto nell'albo professionale. Conservano tuttavia il titolo quegli avvocati che, dopo averne acquistato il diritto, sono stati cancellati dall'albo per una causa che non sia di indegnità. La violazione della disposizione del primo comma di questo articolo, quando non costituisca più grave reato, è punita, nel caso di usurpazione del titolo di avvocato, a norma dell'art. 498 del codice penale, e, nel caso di esercizio abusivo delle funzioni, a norma dell'articolo 348 dello stesso codice».

L’abusivo esercizio di una professione è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516. Lo commette chiunque eserciti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, e non l’abbia ottenuta. Per poter esercitare determinate professioni, come visto, la legge richiede la necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi. E’ lo Stato che, ovviamente, vigila sull’accertamento dei requisiti per le iscrizioni in tali albi o elenchi e sulla loro tenuta. Se si svolge, per quanto qui di interesse, la professione di avvocato senza aver prima superato i previsti esami di Stato ed essersi iscritti negli albi dei rispettivi Ordini di appartenenza, si commette il reato di abusivo esercizio di una professione. E’ sufficiente la consapevole mancanza del titolo che abilita all’esercizio della professione. Il reato c’è anche quando la prestazione professionale sia stata resa del tutto gratuitamente e/o anche con il consenso del destinatario. Il reato può essere commesso da chiunque. E’ punito anche chi, pur avendo conseguito l’abilitazione all’esercizio di una determinata professione, agevoli l’esercizio abusivo da parte di qualcun altro.

Con simili comportamenti, infatti, si fornisce un contributo determinante alla commissione del reato da parte di un diverso soggetto. Perché sia configurato il delitto di esercizio abusivo di una professione, non è necessario il compimento di una serie di atti, ma è sufficiente il compimento di un’unica, sola ed isolata prestazione che sia riservata ad una professione per la quale l'ordinamento richiede una speciale abilitazione. Peraltro, l’errore sulla legge che prevede l’iscrizione ad un albo o il conseguimento di un’abilitazione per poter esercitare determinate professioni non cancella il reato né giustifica il comportamento.

Tanto premesso, nel caso in esame la sentenza impugnata confermava la condanna di un avvocato per il reato continuato previsto dall'art. 348 c.p., per avere, benché colpito dalla sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione di avvocato, esercitato abusivamente detta professione per otto mesi.

La Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha disatteso la tesi prospettata dall’imputato, ribadendo che la sentenza del C.N.F. che applica una sanzione disciplinare è esecutiva dal giorno della notifica all'interessato e non già dalla notifica di un successivo provvedimento - non previsto da alcuna norma - del Consiglio dell'Ordine di appartenenza.

In precedenza, nel senso che il reato è integrato anche nell'ipotesi in cui l'agente, iscritto nel relativo albo, abbia compiuto attività professionale in costanza di sottoposizione a provvedimento di sospensione adottato dai competenti organi amministrativi (v., Cass. pen., Sez. 6, n. 20439 del 15/02/2007 - dep. 24/05/2007, P., in CED Cass., n. 236419, relativa a fattispecie in tema di esercizio della professione forense; nello stesso senso, v. Cass. pen., Sez. 6, n. 33095 del 04/07/2003 - dep. 05/08/2003, P.G. in proc. L., in CED Cass., n. 226528, che ha ritenuto integrato il reato nel caso di un avvocato sospeso dall’albo che si era limitato a presentare un'istanza al pubblico ministero volta a sollecitare detto ufficio a richiedere l'archiviazione nell'interesse di un imputato).


Esito del ricorso

Dichiara inammissibile, Corte d’appello di Trieste.


Precedenti giurisprudenziali

Cass. pen., Sez. VI, sentenza 24 maggio 2007, n. 20439.


Riferimenti normativi

Art. 348, codice penale.


(Da Altalex del 1° aprile 2014. Nota di Alessio Scarcella tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)