martedì 22 aprile 2014

Assiste entrambi i coniugi? Dopo no uno contro l'altro

Cass. Civ., SS.UU., sent. 7.4.2014 n° 8057

Il difensore che abbia svolto attività di assistenza, anche soltanto formale, a favore di entrambi i coniugi nel procedimento di separazione è considerato difensore di entrambi i coniugi anche in assenza di una prova del conferimento formale dell'incarico. L'assistenza, anche solo formale, a favore di entrambi i coniugi nel corso del giudizio di separazione è sufficiente per far scattare il divieto sancito dall'art. 51, primo canone, del codice deontologico forense del 17 aprile 1997, divieto ora ripresto dall'art. 68, quarto comma, del codice deontologico forense attualmente vigente.

In questa sentenza le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono ritornate su un tema di particolare rilievo in ambito deontologico, ossia il divieto per il difensore dei coniugi nel procedimento di separazione consensuale di assistere uno dei coniugi in successivi procedimenti relativi ai medesimi rapporti familiari; divieto espressamente stabilito dall’art. 51, primo canone, del codice deontologico forense del 1997 (ora testualmente ripresto dall'art. 68, quarto comma, del nuovo codice deontologico forense). Nello specifico, le Sezioni Unite hanno affermato che tale divieto opera anche nel caso in cui l'avvocato abbia svolto attività di assistenza solo formale nei confronti di entrambi i coniugi (ad esempio, ricevendoli entrambi in studio e assistendoli in udienza); e ciò pure in mancanza di una prova effettiva del conferimento materiale dell’incarico da parte di uno dei due coniugi.



Sommario

    Il fatto

    La domanda

    La decisione delle Sezioni Unite

    La decisione in sintesi



Il fatto

La vicenda presa in esame dalle Sezioni Unite è piuttosto ricorrente nella pratica forense. Si tratta del caso assai diffuso in cui due coniugi, separatisi consensualmente con l’assistenza di un solo difensore (spesso avvocato di fiducia di uno dei coniugi), entrano in disaccordo successivamente alla separazione e uno dei due si rivolge all’avvocato che li aveva assistiti in fase di separazione per farsi tutelare.



La domanda

Il quesito esaminato prima dal Consiglio Nazionale Forense e poi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha ad oggetto essenzialmente la definizione della nozione di “assistenza congiunta” rilevante ai fini del divieto di cui all’art. 51 c.d.f. del 1997 (ora art. 68 nuovo c.d.f.). In particolare, il problema riguarda la configurabilità di tale attività di assistenza anche ove, pur mancando la prova del conferimento formale dell’incarico da parte di uno dei coniugi, il difensore abbia comunque svolto attività nell’interesse di entrambi i coniugi.



La decisione delle Sezioni Unite

In primo luogo, è doveroso precisare come la Corte di cassazione non abbia preso espressamente posizione sul punto. Il ricorso proposto dall’avvocato incolpato nei confronti della decisione emessa dal Consiglio Nazionale Forense a suo carico, infatti, è stato dichiarato inammissibile; in particolare, l’unico motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (nella versione risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) è stato ritenuto inammissibile in quanto tendente al riesame del merito della decisione. All'inammissibilità del ricorso è anche conseguita la condanna del ricorrente al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/2002, come inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228/2012.

Tuttavia, le Sezioni Unite, in via meramente incidentale, hanno comunque svolto alcune interessanti considerazioni in merito al divieto sancito dall’art. 51 c.d.f. Del 1997, nella sostanza aderendo all’interpretazione fornita dal Consiglio Nazionale Forense.

Già nel 2006 le Sezioni Unite erano intervenute in materia affermando espressamente che tale divieto prevede un obbligo assoluto di astensione, fondato sull'esigenza di garantire la massima tutela possibile agli alti interessi in gioco nella materia del diritto di famiglia, e che la disposizione contenuta nella predetta norma ha carattere speciale rispetto alla disciplina generale in tema di conflitto di interessi (contenuta nel comma primo dell'art. 37 del vecchio codice deontologico forense).

In particolare, le Sezioni Unite, avallando l'orientamento già emerso nella giurisprudenza disciplinare, avevano rilevato come, nel caso di controversie in materia di diritto di famiglia, la valutazione della sussistenza della situazione di conflitto sia operata direttamente dalla stessa norma; da ciò ovviamente consegue la limitazione del giudizio dell'interprete al mero accertamento del fatto costitutivo di quell'effetto, senza alcuna possibilità di indagine in ordine alla natura reale o meramente potenziale della situazione di conflitto di interessi.

In effetti, nel caso qui esaminato si discuteva proprio dell'esatta individuazione del fatto costitutivo del presupposto di applicazione della norma ossia della definizione della nozione di “assistenza congiunta”. Stando a quanto risulta dalla sentenza, nel caso di specie risultava che il difensore accusato della violazione dell'art. 51 del vecchio c.d.f. avesse sentito entrambi i coniugi nel proprio studio e avesse partecipato all'udienza presidenziale del procedimento di separazione consensuale; non risultava, invece, il conferimento formale dell'incarico professionale, quantomeno da parte del coniuge nei confronti del quale il medesimo avvocato aveva poi promosso un nuovo giudizio nell'interesse dell'altro coniuge.

Le Sezioni Unite hanno incidentalmente avallato la tesi espressa dal Consiglio Nazionale Forense, secondo cui il presupposto dell'assistenza congiunta risulta essere integrato dal semplice svolgimento di attività nell'interesse di entrambi i coniugi, quand'anche avvenuta a livello solamente formale (come appunto nel caso di audizione in studio di entrambi i coniugi e di partecipazione all'udienza presidenziale). La Suprema Corte, al pari del Consiglio Nazionale Forense, ha quindi ritenuto del tutto irrilevante la mancanza di un espresso conferimento di incarico professionale da parte di uno dei coniugi, così di fatto respingendo la tesi difensiva; nel corso del giudizio disciplinare l'avvocato incolpato pare aver sostenuto di aver assistito soltano un coniuge e che l'altro, pur avendo deciso di separarsi consensualmente, aveva scelto di non farsi seguire da alcun difensore.

La posizione assunta dal Consiglio Nazionale Forense e dalle Sezioni Unite è in linea di massima condivisibile, anche se con qualche riserva. Da un lato, la rigidità dell'orientamento espresso sembra motivata dal condivisibile intento di evitare facili “aggiramenti” del divieto previsto dal codice deontologico (e questo, leggendo tra le righe, sembra essere avvenuto nel caso esaminato nella sentenza annotata, in cui i giudici non paiono essere realmente convinti dell'assenza del conferimento dell'incarico). Dall'altro, la soluzione accolta risulta eccessivamente rigida; fino a quando il legislatore non chiarirà il problema, da sempre incerto, dell'assistenza tecnica nei procedimenti camerali in materia di separazione e divorzio, non pare potersi escludere in assoluto che un coniuge voglia difendersi da solo e che in tale veste tratti con il difensore dell'altro coniuge così da addivenire a una separazione consensuale.



La decisione in sintesi

Esito della domanda

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, come inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228/2012.



Precedenti giurisprudenziali:

Cass. civ., sez. un., sentenza 10 gennaio 2006, n. 134;

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 15 ottobre 2012, n. 149;

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 21 ottobre 2010, n. 90;

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 13 settembre 2005, n. 105;

Consiglio Nazionale Forense, parere 22 maggio 2013, n. 56.



Riferimenti normativi:

art. 51, primo canone, del codice deontologico forense del 1997 (ora testualmente ripresto dall'art. 68, quarto comma, del nuovo codice deontologico forense).


(Da Altalex del 18.4.2014. Nota di Paolo Comoglio tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)