lunedì 9 giugno 2014

Nuovi parametri forensi: vincolanti per il giudice?



Trib. Alessandria, Magistrato di Sorveglianza, decr. 15.5.2014

Gli avvocati non hanno nemmeno fatto in tempo a tirare un sospiro di sollievo per l’approvazione dei nuovi parametri forensi (D.M. 55/2014) che hanno posto fine alla “grande carestia” provocata dal vituperato primo decreto parametri (D.M. 140/2012) che sono subito apparse all’orizzonte pericolose interpretazioni volte a limitarne l’apparentemente positiva portata applicativa.

Il suggestivo provvedimento del 15 maggio 2014 del tribunale di Alessandria (Ufficio di sorveglianza) sostiene infatti che anche dopo l’entrata in vigore del D.M. 55/2014 la discrezionalità dei giudici nel liquidare i compensi degli avvocati rimarrebbe immutata considerato che l’art. 1, comma 7, del D.M. 140/2012 sarebbe tuttora vigente.

Tale norma, non riprodotta nel nuovo regolamento parametri, è quella che prevede che:

“In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”.

Il ragionamento, applicabile al compenso liquidabile in favore degli avvocati per qualsiasi attività (non solo dunque quella penale presa in esame dal giudice il cui provvedimento si commenta), è, in sintesi, questo:

siccome nel decreto parametri del 2012 vi era una parte dedicata alle norme generali (Capo I - Disposizioni generali - art. 1) applicabile a tutti i compensi delle diverse categorie professionali da esso previste ed una parte specifica che stabiliva in concreto i compensi liquidabili in favore di ciascuna categoria, e siccome il D.M. 55/2014 ha semplicemente riformato solo questa seconda parte della normativa secondaria nel capo relativo ai compensi degli avvocati (Capo II - Disposizioni concernenti gli avvocati - artt. 2-14) in mancanza di un’espressa abrogazione delle stesse e/o dell’intero D.M. 140/2012 le disposizioni generali sarebbero ancora in vigore anche per gli avvocati.

Ciò in quanto il D.M. 55/2014 non avrebbe regolato l’intera materia disciplinata dal D.M. 140/2012 e pertanto quest’ultimo non potrebbe considerarsi integralmente abrogato ex art. 15, ultima parte, preleggi.

In pratica quanto previsto nel D.M. 55/2014 (e nelle tabelle ad esso allegate), “sovrapponendosi” (solamente) alle “Disposizioni concernenti gli avvocati” comprese nel Capo II (artt. 2-15) del D.M. 140/2012 e nelle tabelle ad esso allegate, avrebbe regolato nuovamente (ma esclusivamente) la specifica materia dei compensi per la professione forense e solo dunque le prime potrebbero considerarsi abrogate per effetto del nuovo regolamento sui parametri, non invece quelle generali costituite dal soprariportato articolo 1.

Le soglie numeriche indicate nel sopravvenuto D.M. 55/2014 e nella tabelle ad esso allegate sarebbero quindi ancora discrezionalmente derogabili dal giudice “sia nei minimi che nei massimi” e quindi egli potrebbe spingersi anche ben oltre gli aumenti o le diminuzioni percentuali rispettivamente dell’80% o del 50% previsti (artt. 4, 12, 19) sui valori medi di tabella.

Secondo tale tesi ciò sarebbe anche in linea con quanto previsto dall’art. 2, comma 1, D.L. 4 luglio 2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani) convertito dalla L. 4 agosto 2006 n. 248, che dispone:

“… in conformità al principio comunitario di libera concorrenza … al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti …” .

Si sostiene altresì che con riguardo alle liquidazioni dovute per il patrocinio a spese dello Stato la proposta interpretazione consentirebbe anche di rispettare quanto previsto dall’art. 1, comma 5, L. 31 dicembre 2012 n. 247, secondo il quale:

“dall'attuazione dei regolamenti di cui al comma 3 (tra i quali rientra ex art. 13, comma 6, anche quello riguardante i parametri forensi n.d.r.) non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

Il giudice, infatti, grazie alla sua discrezionalità potrebbe ridurre i compensi liquidabili ai difensori che abbiano svolto la propria attività in favore di soggetti ammessi alle provvidenze del patrocinio a spese dello Stato impedendo così il verificarsi di tali maggiori oneri.

Senza nemmeno la necessità di prendere posizione su tali ultime affermazioni di supporto, le conseguenze che dipenderebbero dall’opinione espressa nel provvedimento in commento potrebbero, forse, trovare altrove la loro giustificazione.

In primo luogo il D.M. 55/2014 prevede, infatti, a sua volta, un capo I dedicato alle disposizioni generali e riesce quindi difficile ritenere che l’omologo capo del D.M. 140/2012 non possa ritenersi implicitamente abrogato ex art. 15 ultima parte, preleggi.

In secondo luogo, come giustamente osservato da una sempre attenta giurisprudenza di merito:

“gli artt. 13 comma VI, e 1 comma III, l. 247/2012 configurano un sistema biennale di regolamentazione nella materia dei compensi forensi profilando un’ipotesi esplicita di successione normativa in cui i nuovi parametri sono abrogativi dei precedenti”

e il DM 140/12 deve:

“intendersi abrogato in quanto il DM 55/2014 regolamenta ex novo l’intera materia dei compensi forensi con una disciplina di nuovo conio (cd. abrogazione implicita) e, là dove non conferma disposizioni che erano presenti nel DM del 2012, mette mano ad una precisa scelta legislativa che prevale sulla precedente (abrogazione tacita)” (Trib. Milano, decreto 9 aprile 2014, in www.ilcaso.it, sez. giurisprudenza, 10321).

In terzo luogo, sono gli stessi articoli 4, comma 1, secondo periodo, 12, comma 1, terzo periodo e 19, comma 1, secondo periodo del D.M. 55/2014 che prevedono che i valori medi possano essere dal giudice, di regola, aumentati fino all’80%, o diminuiti fino al 50% (e addirittura fino al 100% e 70% per la fase istruttoria).

I commi 6-9 dell’art. 4 prevedono poi altri parametri che possono indirizzare la decisione del giudice.

La sua discrezionalità potrebbe pertanto essere comunque recuperata grazie a tali norme senza necessità di ricorrere ad una norma (art. 1, comma 7, D.M. 140/2012) che agli avvocati non dovrebbe più essere applicabile “perché la nuova legge (D.M. 55/2014 n.d.r.) regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore” (art. 15 Disposizioni sulla legge in generale).

La stessa relazione al D.M. 55/2014, in più parti, assegna poi a tale inciso o all’avverbio “orientativamente” (pure presente all’interno del regolamento) la funzione di ricordare “la natura meramente orientativa” e non vincolante delle prescrizioni che la contengano: “sicché il compenso potrà anche essere determinato in un importo che si colloca al di sotto di quella soglia ove “non sarebbe opportuno andare”.

In definitiva si potrebbe, insomma, ritenere che la definizione di “medi” data ai valori numerici indicati dalle tabelle allegate al D.M. 55/2014 non sia vincolante per il giudice, nel senso di limitarne la discrezionalità solo entro gli aumenti o le diminuzioni percentuali previste, e non possa quindi ritenersi aver fissato implicitamente un “minimo” normalmente pari al 50% (o al 30% per la fase istruttoria) o un massimo normalmente pari al 180% (o al 200% per la fase istruttoria) di tali valori medi (fatte salve le ulteriori variazioni eventualmente derivanti dai commi 7-10 dell’art. 4).

Non sarebbe allora un caso che il legislatore, proprio per ribadire la permanenza di una piena discrezionalità del giudice nel liquidare il compenso dell’avvocato, abbia ritenuto di ripetere per ben trentaquattro volte all’interno del D.M. 55/2014 il termine “di regola”.

Tuttavia, anche a voler seguire questa proposta interpretativa del nuovo decreto parametri (non proprio favorevole alla categoria forense) rimarrebbero sul tappeto due interrogativi:

    1) perché mai il legislatore avrebbe allora utilizzato l’aggettivo “medi” nell’indicare i valori numerici proposti nelle tabelle allegate al decreto? Si è forse voluto evidenziare, per un eccesso di zelo, che quell’importo costituisce solo la base di calcolo che può essere aumentata e diminuita e quindi si è ritenuto che, per consentire tali scostamenti, fosse opportuno fissare un valore mediano che rendesse palese anche da un punto di vista logico-visivo la sua necessaria “mobilità” verso l’alto o verso il basso? O si è inteso, piuttosto, implicitamente, fissare dei minimi e dei massimi invalicabili dal giudice nel liquidare il compenso all’avvocato?

    2) volendo riconoscere al giudice la discrezionalità di poter prescindere in toto dai valori tabellari in presenza di quali presupposti egli, nel liquidare il compenso all’avvocato, potrebbe spingersi oltre le percentuali di aumento o riduzione previste? Il fatto che il legislatore abbia indicato un certo numero di parametri generali nel primo, settimo, ottavo, nono e decimo comma dell’art. 4 e nel primo comma degli articoli 12 e 19 che legittimano gli aumenti o le diminuzioni deve far ritenere che per andare oltre tali soglie si dovrebbe comunque far ricorso ad altri criteri, diversi da tali parametri? O invece il giudice potrebbe anche attribuire particolare rilievo ad uno o alcuni solo tra essi per sforare le percentuali previste ex lege?

Ancorchè tali quesiti siano forse destinati a rimanere senza risposte certe rimarrebbe il conforto assicurato dal disposto dell’art. 111 Cost. in base al quale “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”.

Ed è noto che la violazione dell’obbligo di motivazione determini l’invalidità del provvedimento giurisdizionale e possa essere fatta valere attraverso il sistema delle impugnazioni.

L’obbligo della motivazione assolve infatti alla funzione d’assicurare in concreto il perseguimento di diversi principi costituzionali in tema di giurisdizione, quali il diritto di difesa, l’indipendenza del giudice e la sua soggezione alla legge, nonché il principio di legalità.

E siccome la parte del provvedimento giudiziale che si pronunci in tema di liquidazione delle spese riveste un ruolo fondamentale nell’assicurare la piena tutela ai diritti, posto che in base al principio generale del nostro ordinamento la necessità di ricorrere ad un giudizio per far valere i propri diritti non deve tornare a danno di chi ha ragione (ciò che urterebbe contro il principio che vuole i diritti integralmente tutelati e non con percentuali inferiori al 100%, trattandosi altrimenti di tutela parziale), ancorchè si tratti solo di una consolazione, non sarebbe una consolazione da poco.

Però, c’è un però.

Il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 e la sua legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27 abrogando le tariffe forensi all’art. 9, comma 2 ha previsto che:

“Ferma restando l'abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

Già approvando il D.M. 140/2012 la scelta del legislatore è stata nel senso di prevedere, eccezion fatta per l’attività stragiudiziale, delle tariffe per intere fasi costituite da valori numerici specifici (pur definiti impropriamente “parametri specifici”) modulabili tuttavia dal giudice alla luce, vuoi delle circostanze concrete, vuoi delle regole e dei criteri generali di cui agli articoli 1 e 4.

Tra questi ultimi probabilmente già l’art. 1, comma 7 non poteva considerarsi rispondente a quanto previsto dalla legge abrogativa delle tariffe posto che il rimettere alla discrezionalità del giudice la determinazione del compenso dell’avvocato non pare esattamente costituire un “parametro” che per sua natura dovrebbe essere verificabile e conoscibile in anticipo.

E non si può non ricordare come il decreto ministeriale sia fonte normativa regolamentare e quindi secondaria e sotto-ordinata a quella primaria costituita dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27.

Lo stesso “vizio” pare, invero, affliggere pure il nuovo decreto parametri.

Anche il vigente D.M. 55/2014, mutando in parte e condivisibilmente terminologia, ha riconosciuto la reale natura di meri valori numerici a quelli previsti dalle tabelle allegate (prevedendoli però finalmente anche per l’attività stragiudiziale), indicando invece poi dei distinti parametri generali in base ai quali poterli aumentare o diminuire percentualmente.

Pur non essendo stato riproposta la previsione dell’art. 1, comma 7, D.M. 140/2012 nel testo del nuovo D.M. 55/2014 è tuttavia scivolata per trentaquattro volte l’espressione “di regola” che riapre il problema della vincolatività dei nuovi parametri, soprattutto alla luce dell’interpretazione (benchè certamente priva di portata precettiva) datane dalla relazione ministeriale.

Un dato però mi pare certo.

Sia che si voglia riconoscere la natura di parametri ai valori numerici delle tabelle (cc. dd. ex parametri specifici) e anche a quelli rientranti negli abrogati cc. dd. criteri generali, o piuttosto solo ai parametri generali ora previsti dagli artt. 4, 12 e 19 non dovrebbero però sussistere dubbi che i parametri ai quali il giudice possa far ricorso dovessero e (certamente ora) debbano comunque essere predeterminati e non rimessi alla sua mera discrezionalità.

Ciò primariamente per un’elementare esigenza di certezza del diritto e quindi di legalità e trasparenza, senza comunque dimenticare che ciò prevedeva espressamente il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 e la sua legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27 nell’abrogare le tariffe forensi.

La stessa legge di riforma della professione forense (Legge 31 dicembre 2012, n. 247) poi, al suo articolo 13, comma 7, lo prevede oggi espressamente:

“I parametri sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali e l'unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi.”.

E ben si comprende come rimettere alla discrezionalità del giudice la determinazione dei compensi degli avvocati in assenza di (pur richiesti ex lege) precisi e prefissati parametri in base ai quali egli vi possa provvedere (magari anche in deroga alle percentuali di aumento o diminuzione dei valori indicati nelle tabelle del d.m. 55/14) non pare propriamente in linea con l'indicata esigenza di trasparenza, ma soprattutto con quanto previsto dalle sopraindicate fonti normative primarie.

E siccome, come già sopra sottolineato, la parte della liquidazione delle spese di lite costituisce una parte fondamentale nella risposta di giustizia che lo Stato deve assicurare ai cittadini l’esigenza di trasparenza va a braccetto con quella di legalità e di giustizia.

(Da Altalex del 5.6.2014. Nota di Andrea Bulgarelli)