martedì 3 giugno 2014

No mediazione? Rischio condanna ex art. 96 cpc

Trib. Firenze, sez. III civ., sent. 17.3.2014

Va accolta la richiesta di condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. qualora si ravvisi l’elemento soggettivo della mala fede in capo alla parte che, anziché recepire l’invito della controparte che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del problema, abbia preferito adire il Tribunale. La condanna ex art. 96 c.p.c. può essere infatti legata al comportamento tenuto non solo nella fase prettamente processuale, ma anche in quella della mediazione e, in particolare, al fatto che la parte non si presenti (senza giustificarsi) in mediazione e che abbia poi agito in giudizio pur nella consapevolezza dell’infondatezza delle tesi sostenute. Inoltre, qualora le parti non abbiano partecipato personalmente alla procedura di mediazione ed i difensori delegati alla loro rappresentanza abbiano manifestato al mediatore la mera volontà dei deleganti di non procedere, il tentativo di mediazione non risulta ritualmente condotto a termine.

I legami tra mediazione e processo civile appaiono sempre più stringenti.

Tra i vari ambiti nei quali ciò emerge con maggiore evidenza vi è quello relativo alla c.d. responsabilità processuale aggravata, con particolare riferimento al disposto di cui all'art. 96, comma 3 c.p.c.

In particolare, una pronuncia di merito del dicembre 2013[1], ha statuito che va accolta la richiesta di condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. qualora si ravvisi l’elemento soggettivo della mala fede in capo ad una delle parti la quale, “anziché recepire l’invito della controparte che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del problema, abbia preferito adire il Tribunale”.

Ciò in quanto – precisa la pronuncia in parola – detto comportamento si pone in un’ottica conflittuale decisamente lontana dalla nuova prospettiva nella quale, anche alla luce della recente reintroduzione con il c.d. decreto del fare della mediazione obbligatoria[2], appare muoversi il legislatore negli ultimi tempi.

Il giudice precisa altresì al riguardo che tale nuova prospettiva attribuisce al difensore un ruolo centrale, prima ancora che nel giudizio, nell’attività di mediazione delle controversie; prospettiva che tende sempre di più ad individuare nel ricorso al Tribunale l’“extrema ratio per la soluzione della quasi totalità delle controversie civili”.

Nel caso di specie, i ricorrenti proponevano ricorso per accertamento tecnico preventivo ai sensi dell'art. 696 c.p.c. al fine di accertare le cause generanti le macchie di muffa e di umidità presenti nell’appartamento da essi condotto in locazione; la resistente, tuttavia, eccepiva la mancanza dei presupposti per disporre l’accertamento tecnico preventivo, evidenziando che non vi era nessuna necessità di effettuare tale accertamento nella prospettiva di un giudizio in quanto:

    la locatrice aveva manifestato piena disponibilità ad accertare le cause delle pretese infiltrazione e ad eliminarle;

    tale disponibilità, tuttavia, era stata vanificata dal comportamento poco collaborativo dei ricorrenti.

Il giudice ritiene i rilievi svolti dalla resistente sostanzialmente condivisibili e, pertanto, rigetto la domanda.

Ciò posto, la condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. in capo ai ricorrenti viene motivata proprio in quanto la controversia dedotta in giudizio si sarebbe potuta agevolmente risolvere senza ricorrere all’autorità giudiziaria se, semplicemente, il ricorrente avesse raccolto l’invito della resistente a far visionare l’immobile locato. Si ravvisa, difatti, in capo ai ricorrenti – illustra il giudice – l’elemento soggettivo della mala fede, in considerazione della “evidenziata e documentata disponibilità manifestata dalla resistente per risolvere il problema delle lamentate infiltrazioni del tutto ignorata prima della proposizione del ricorso” (ed in ordine alla quale, peraltro – prosegue il giudice – è stato omesso ogni riferimento nel ricorso)[3].

Una successiva pronuncia di merito[4] condanna poi un’assicurazione ex art. 96 c.p.c. alla luce del comportamento da questa tenuto, sia nella fase della mediazione che nella fase prettamente processuale. Questa – osserva il giudice – da un lato, non si era presentata, e senza giustificarsi, nella fase mediatoria; dall’altro, aveva resistito alla domanda attorea “pur nella consapevolezza dell’infondatezza delle tesi sostenute e nel difetto della normale diligenza con cui era stata istruita la pratica assicurativa” (il giudice evidenzia peraltro al riguardo la mera opinabilità del diritto fatto valere e la consapevolezza, da parte della stessa assicurazione, della mancanza di documentazione medica)[5].

Peraltro, osserva il giudice, l’attrice aveva anche provato a rivolgersi ad un Ente di mediazione per trovare una soluzione della vertenza, ma, non essendosi presentata l’assicurazione senza addurre motivazioni, la mediazione si è chiusa con la mera accettazione della proposta del mediatore (nella specie per euro 9.750,00), anche questa rimasta inevasa (da ciò consegue quindi che le spese affrontate dall’attore per il procedimento di mediazione devono essere rimborsate dall’assicurazione non presentatasi).

In argomento assume quindi primario rilievo anche la tematica della partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione.

In particolare, una recente pronuncia di merito resa in materia di mediazione c.d. obbligatoria (art. 5, comma 1-bis d.lgs. n. 28/2010)[6] ha affermato che qualora le parti non abbiano partecipato personalmente alla procedura risultando rappresentate dai propri difensori i quali, all’uopo delegati, abbiano manifestato al mediatore la mera volontà dei deleganti di non procedere all’esperimento della procedura di mediazione, il tentativo di mediazione, pur ritualmente iniziato, non risulta altrettanto ritualmente condotto a termine; da ciò consegue che le parti devono essere rimesse dinanzi al mediatore affinché prosegua e si esaurisca l’esperimento della procedura di mediazione.

Nella specie, relativa ad una controversia bancaria[7], le parti non avevano partecipato personalmente alla procedura, risultando esse rappresentate dai propri difensori.

Al riguardo, il giudice osserva che:

    l’art. 8, d.lgs. n. 28/2010 fa esplicito riferimento alla circostanza che “al primo incontro e agli incontri successivi fino al termine della procedura le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”;

    il che implica “la volontà di favorire la comparizione personale della parte quale indefettibile e autonomo centro di imputazione e valutazione di interessi”;

    pertanto, l’ipotesi che le parti vengano sostituite da un rappresentante sostanziale (ovviamente munito dei necessari poteri), sono limitate a solo casi eccezionali;

    di conseguenza, “mentre certamente soddisfa il dettato legislativo l’ipotesi di delega organica del legale rappresentante di società, al contrario il mero transeunte impedimento a presenziare della persona fisica dovrebbe invece comportare piuttosto un rinvio del primo incontro”.

Ciò posto, nella specie i difensori delle parti, all’uopo delegati, manifestavano al mediatore la mera volontà dei deleganti di non procedere all’esperimento della procedura di mediazione; sul punto il giudice illustra che:

    le procedure di mediazione ex art. 5, comma 1-bis (ex lege) e comma 2 (su disposizione del giudice) d.lgs. n. 28/2010, sono da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio (essendo addirittura previsti a pena di improcedibilità dell’azione);

    difatti, ex art. 8, comma 1 d.lgs. n. 28/2010, il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione: ciò vuol dire che le parti devono esprimersi “sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della medesima” e non, invece, sulla loro volontà di procedere alla mediazione;

    diversamente argomentando, “si tratterebbe, nella sostanza, non di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa alla mera volontà delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflativa”.

Alla luce di quanto esposto, il giudice (respingendo nella specie l’istanza di sospensione del decreto opposto nei confronti di tutti gli opponenti e rinviando la causa ad una successiva udienza) dispone quindi che le parti proseguano il procedimento di mediazione iniziato e non concluso (con onere di impulso a carico della parte opposta[8]), da un lato rendendo noto che il mancato esperimento dell’effettivo tentativo è sanzionato a pena di improcedibilità della domanda per la parte opposta/attivante e ai sensi dell’art. 8, comma 4-bis d.lgs. n. 28/2010 per la parte opponente/attivata e, dall’altro, invitando le parti a comunicare l’esito della mediazione (con nota da depositare in Cancelleria almeno 10 gg prima dell’udienza, che dovrà contenere informazioni in merito: all’eventuale mancata partecipazione delle parti personalmente senza giustificato motivo; agli eventuali impedimenti di natura pregiudiziale o preliminare che abbiano impedito l’effettivo avvio del procedimento di mediazione; al regolamento delle spese processuali; ai motivi del rifiuto dell’eventuale proposta di conciliazione formulata dal mediatore).


(Da Altalex del 28.5.2014. Nota di Giulio Spina)

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[1] Trib. Santa Maria Capua Vetere, sentenza 23 dicembre 2013.
[2] Si veda al riguardo il d.lgs. n. 28 del 2010 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, così come novellato dal d.l. n. 69/2009 convertito, con modificazioni, in legge n. 98/2009.
[3] In particolare, il giudice osserva che effettivamente sin dalle prime segnalazioni da parte dei conduttori, vi è stata piena disponibilità della locatrice a risolvere il problema delle presunte infiltrazioni:
    fax indirizzato al difensore dei ricorrenti nel quale si evidenziava come la resistente avesse cercato vanamente più volte di contattare uno dei conduttori al fine di fissare un appuntamento per consentire di visionare l’immobile da un proprio operaio di fiducia;
    successiva lettera che rappresentava come, nonostante numerosi tentativi di contattare il conduttore, non fosse stato possibile accedere all’immobile con conseguente rischio di aggravamento delle condizioni dello stesso;
    ripetute (e documentate) richieste della locatrice di fissare un appuntamento per verificare lo stato dei luoghi rimaste esito.
Peraltro, precisa il Giudice, da un lato, non può ritenersi sussistente una situazione di pregiudizio irreparabile tale da giustificare il ricorso alla tutela cautelare (diversamente, “gli odierni ricorrenti avrebbero dimostrato maggiore disponibilità e solerzia nel rispondere agli inviti della locatrice”), dall’altro lato, “anche a voler ritenere che nel caso di specie si sia creata una situazione di pregiudizio irreparabile, a causare tale situazione è stato, in definitiva, proprio il comportamento scarsamente collaborativo dei ricorrenti” (che, “anziché consentire l’accesso all’immobile da essi condotto, hanno preferito agire in giudizio, con conseguente aggravamento di tempi e costi per la soluzione del problema da essi lamentato”). Peraltro, ancor più evidente è la mancanza di periculum in mora in quanto “il fenomeno infiltrativo si manifestava già a pochi mesi dalla stipula del contratto di locazione (avvenuta nel 2008)”.
Inoltre – aggiunge ancora il giudice – emblematica del comportamento posto in essere dai ricorrenti, contrario ai doveri di buona fede contrattuale, è la “circostanza che il ricorso per accertamento tecnico preventivo è stato depositato il giorno immediatamente successivo alla trasmissione del fax con il quale la resistente specificamente diffidava i ricorrenti, a mezzo del proprio legale, a prendere contatti al fine di poter risolvere il problema dell’accesso all’immobile, stante la persistente irreperibilità degli stessi”.
[4] Trib. Roma n. 4140/2014.
[5] Nella specie, il giudice osserva che:
    il rifiuto da parte dell’Assicurazione di non onorare il contratto perfezionatosi con l’arrivo della proposta transattiva sottoscritta e con il dato IBAN non trova giustificazione;
    pretestuosa appare la scusa avanzata dalla stessa che non si era accorta che l’infortunato non era il contraente ma la moglie (il significato della scusa dello scambio di persona non è comprensibile, in quanto che la polizza “Persona OK” è una polizza cumulativa con cui viene complessivamente assicurato un nucleo famigliare per una certa somma, quindi anche l’altro contraente, come l’infortunata, erano titolari di un terzo dei singoli massimali essendo il nucleo famigliare composto da tre persone);
    non è stata esperita una visita collegiale né richiesta una CTU in corso di causa da parte dell’amministrazione, essendo stata depositata in giudizio la sola perizia di parte attorea (redatta dal medico legale incaricato).
[6] Trib. Firenze, 17 marzo 2014.
[7] Opposizione a decreto ingiuntivo le cui eccezioni sollevate dagli opponenti erano relative anche all’illegittimo e immotivato esercizio del recesso della Banca ingiungente, alla violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, nonché all’erronea indicazione dell’ammontare di interessi anche anatocistici.
[8] Sul punto il giudice ricorda che nell’ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo – come da costante giurisprudenza della Suprema Corte – è da ritenersi la parte opposta quale parte attrice in senso sostanziale con l’esercizio in giudizio dell’azione monitoria, di cui la fase di opposizione rappresenta mera prosecuzione eventuale.


Divorzio breve, in arrivo riforma

A quarant'anni dal referendum sul divorzio, approvata la riforma dello stesso con l'introduzione del cd. "divorzio breve". Una riforma come questa, che va a modificare un istituto cardine del nostro ordinamento nazionale, ovvero la famiglia, perno attorno al quale ruota tutta la struttura del codice civile, non poteva non essere esito di una concertazione bipartisan con 381 voti a favore, 30 contrari, 14 astenuti.
Stante il testo approvato, le novità introdotte da Montecitorio possono essere così riassunte:
1) Eliminazione del periodo di separazione di tre anni prima di poter chiedere il divorzio.
2) Il termine per chiedere il divorzio decorre dalla notifica del ricorso ed è pari a 12 mesi in caso di separazione giudiziale e 6 mesi in caso di consensuale.
3) Il cd "divorzio breve" sarà applicabile, come ogni reformatio in melius, anche per i procedimenti in corso.
4) La comunione dei beni si scioglie quando il giudice autorizza i coniugi a vivere separati o al momento di sottoscrivere la separazione consensuale.

(Da ilsole24orre.com del 29.5.2014)