mercoledì 11 giugno 2014

False schede carburante? Dichiarazione fraudolenta

Cass. Sez. III Pen., Sent. 6.5.2014, n. 18698

La Cassazione ha stabilito che integra il reato di dichiarazione fraudolenta la deduzione di costi inesistenti mediante l’utilizzo di schede carburante false, rilasciate senza un effettivo rifornimento di carburate e dunque senza un effettivo esborso per il contribuente.

Nel caso in esame, un imprenditore aveva utilizzato delle schede carburante false per ottenere una riduzione delle imposte dovute, deducendo costi mai sostenuti, facendo comparire rifornimenti di carburante anche nei giorni in cui il distributore indicato era chiuso.

Nella sentenza della corte del luogo, all’imputato era ascritto il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture. L’imputato ricorreva in cassazione per ottenere una diversa definizione della condotta criminosa contestata.

La Cassazione si è espressa sulla distinzione tra il reato di cui all’articolo 2 del Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto) e il successivo articolo 3 del medesimo decreto.

Il primo disciplina il reato di “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, che punisce con la reclusione da un anno e sei  mesi  a  sei  anni chiunque, al fine di evadere le imposte  sui  redditi  o  sul  valore aggiunto, avvalendosi di fatture o  altri  documenti  per  operazioni inesistenti, indica in una delle  dichiarazioni  annuali  relative  a dette imposte elementi passivi fittizi.

Il secondo articolo contiene la disciplina del reato di “Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici” che punisce, con la pena della reclusione nello stesso quadro edittale del reato ex articolo 2, una categoria più ristretta di contribuenti, in particolare coloro che sono tenuti a tenere scritture contabili, prevedendo anche un ambito di applicazione più limitato, essendo configurabile in caso di superamento di una determinata soglia di valore dell’imposta evasa e degli elementi attivi sottratti all’imposta.

I giudici di legittimità hanno escluso che nel caso di specie si potesse ascrivere all’imputato il reato di cui all’articolo 3, in quanto questo ha carattere solo residuale, come si comprende facilmente dalla lettera della norma, applicabile ad una categoria più ristretta di contribuenti, cioè coloro obbligati a tenere scritture contabili.

La Suprema Corte ha, dunque, concluso che la condotta criminosa del reo integra il reato di cui all’articolo 2 del Decreto Legislativo 74/2000, confermando la sentenza dei giudici di merito impugnata e rigettando il ricorso della parte ricorrente.


Lorenzo Pispero (da filodiritto.com del 4.6.2014)