venerdì 9 dicembre 2011

Sindaco usa carta credito del comune, è reato? Dipende…

Cass. Pen. sez. VI, sent. 11.10.2011 n° 36718

Nell’ambito del peculato, l’uso da parte del primo cittadino della carta di credito dell’ente locale non integra la fattispecie delittuosa nella ipotesi in cui egli provveda a fornire una idonea rendicontazione delle spese che comprovi la realizzazione di uno scopo pubblico e non, invece, la canalizzazione verso uno scopo privato.
Così i giudici della Suprema Corte di Cassazione, nella sezione quarta penale, hanno deciso con la sentenza 11 ottobre 2011, n. 36718, con l’annullamento della sentenza impugnata.
Il casus decisus
La questione oggetto di controversia trova origine nella condanna inflitta alla persona del sindaco di un comune, dal tribunale, per il delitto di peculato continuato, in riferimento ad una serie di pagamenti effettuati dallo stesso con la carta di credito intestata al Comune.
In sede di Appello la Corte confermava e ribadiva la responsabilità.
A questo punto la questione si spostava dinanzi l’attenzione della Suprema Corte di Cassazione alla quale il sindaco proponeva ricorso, contestando che la Corte aveva introdotto il requisito della “coeva allegazione” della documentazione giustificativa delle ragioni della spesa contestata.
I giudici di legittimità sono stati, quindi, chiamati ad un chiarimento sul fatto se la condotta posta in essere dal sindaco che usa la carta di credito dell’ente, e solo successivamente ne giustifichi l’uso per scopi pubblici (seppur in presenza di una delibera che obbligava ad una coeva allegazione della documentazione che giustificasse le ragioni della spesa) possa integrare il reato di peculato.
La Corte ha evidenziato che in tema di peculato (qualunque sia la procedura assegnata o anche scelta dalla istituzione al fine della spendita del denaro) ogni singola uscita deve, in ogni caso, essere collegata al fine pubblico.
Il reato in questione si integra nel momento in cui si dimostri che il pubblico ufficiale si sia appropriato del denaro del quale aveva la piena disponibilità per ragioni d’ufficio, con assenza della ragione giustificativa.
Il dovere del pubblico ufficiale di destinare il denaro a soddisfare finalità pubbliche è tutelato dall’articolo 314 c.p. che punisce l’appropriazione al di fuori di tali finalità, nonché dalla norma amministrativa la quale impone la giustificazione contabile della spesa.
Il reato si consuma violando il sopra menzionato dovere a prescindere dalla giustificazione (data oppure no).
Tanto premesso, secondo quanto precisato dalla Cassazione, i giudici di merito avrebbero dovuto (cosa non fatta) esaminare le ragioni addotte dal sindaco, allo scopo di verificare la corrispondenza della “pubblicità della spesa”.
Nella fattispecie concreta non importa che la giustificazione sia più o meno prossima alla spesa, bensì che la stessa vi sia e dimostri la realizzazione di uno scopo pubblico, e non invece la canalizzazione del denaro per scopi personali.

(Da Altalex del 23.11.2011. Nota di Manuela Rinaldi)