Corte
Cost. Sent. 27.6.2012 n. 166
Salve
le norme sulle incompatibilità della professione di avvocato (legge n.
339/2003) che non consentono più l’esercizio della professione forense ai
dipendenti pubblici part-time con orario fino al 50% di quello a tempo pieno.
Lo
ha deciso il giudice delle leggi nella sentenza in rassegna con la quale
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e
2, L. 25
novembre 2003, n. 339 (Norme in materia di incompatibilità dell’esercizio della
professione di avvocato), sollevate, sia in relazione agli articoli 3, 4, 35 e
41 della Costituzione, sia in riferimento al parametro della ragionevolezza
intrinseca di cui all’art. 3, secondo comma, Cost., dalle SS.UU. civili della
Corte di Cassazione.
La Consulta ricorda che la legge censurata – diversamente da
quanto precedentemente previsto dall’art. 1, commi 56 e 56-bis, della legge n.
662 del 1996 – non consente più l’esercizio della professione forense ai
dipendenti pubblici part-time con orario fino al 50% di quello a tempo pieno e
per coloro i quali, già pubblici dipendenti (part-time), avevano ottenuto
l’iscrizione dopo la data di entrata in vigore della legge n. 662 del 1996,
l’art. 2 della legge censurata pone la seguente disciplina transitoria:
a)
opzione per il mantenimento del
rapporto d’impiego, da comunicare al consiglio dell’ordine d’iscrizione entro
trentasei mesi, pena la cancellazione dall’albo, con diritto alla
reintegrazione nel rapporto di lavoro a tempo pieno;
b)
opzione, entro lo stesso termine, per la cessazione del rapporto d’impiego e
conseguente mantenimento dell’iscrizione all’albo degli avvocati, salva la
conservazione per un ulteriore quinquennio del diritto alla riammissione in
servizio a tempo pieno entro tre mesi dalla richiesta.
La Corte rimettente denunciava il vulnus a suo dire inferto
dalla legge censurata al legittimo affidamento, riposto dai soggetti che già si
trovavano nello stato di avvocati part-time, nella possibilità di proseguire
nel tempo nel mantenimento di detto stato, sospettando che l’assetto degli
interessi in questione sia stato realizzato dalla normativa in esame
sacrificando situazioni soggettive ormai consumatesi.
In
tal modo, l’affidamento fondato sulla situazione normativa preesistente sarebbe
stato a suo avviso arbitrariamente frustrato, con violazione del principio di
ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., nonché, in ragione degli interessi
nella specie coinvolti, degli artt. 4, 35 e 41 Cost., relativi alle garanzie
del lavoro e della libertà d’iniziativa economica.
Antonino Casesa (da
diritto.it del 12.7.2012)