giovedì 31 marzo 2011

Mediazione e revisione dell’ordinamento forense: viviamo un clima di ostilità

L’avvocatura è “preoccupata” per la mediazione, per la quale il Cnf chiede “un intervento legislativo urgente che riporti la disciplina e il sistema complessivo nell’alveo delle garanzie costituzionali”, per il progetto di esaurimento dei procedimenti civili pendenti, per la situazione conseguente alla crisi economica e per il clima di “aperta ostilità che oggi più che mai la circonda”. Una situazione che impone alla sue istituzioni rappresentative  di “moltiplicare l’impegno nella difesa dei diritti degli avvocati”. Ed anche a questo impegno che corrisponde la scelta di celebrare il 2011 come Anno dell’avvocatura, in concomitanza con il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, con una serie di iniziative che prendono l’avvio con la inaugurazione di tre mostre per riflettere sull’impegno dell’avvocatura nella società.   Il presidente Guido Alpa esprime con franchezza lo stato d’animo che l’avvocatura sta vivendo in questo momento, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario forense, che si è tenuta oggi a Roma nella sede amministrativa del Consiglio nazionale forense davanti ai rappresentanti del ministero della giustizia e alle cariche istituzionali. “In queste settimane si sono registrati fermenti di contestazione e di critica in molte sedi a causa della entrata in vigore della disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione, ma le preoccupazioni dell’Avvocatura non sono concentrate solo su questo segmento della complessiva riforma della giustizia : riguardano anche il progetto di esaurimento dei procedimenti civili  pendenti e  sono alimentate dalla situazione in cui versano le professioni intellettuali nella persistente fase di crisi economica che si è abbattuta sul   Paese, nel ritardo segnato dall’iter di approvazione della riforma della professione forense, nel futuro incerto dei giovani avvocati, nei maggiori oneri resisi necessari per salvaguardare il trattamento pensionistico, nel clima di aperta ostilità  che circonda, oggi più che mai, l’ Avvocatura”, ha aperto così la sua relazione, che poi si è snodata nelle varie “dimensioni” in cui vive l’avvocatura.  Sul fronte etico-deontologico del rapporto con i clienti, il presidente Alpa ha lanciato un allarme: “l’inconsulto abbandono del regime tariffario e la permissività introdotta dall’abrogazione del divieto di patto di quota lite hanno purtroppo agevolato la commissione di illeciti e reso più difficile il compito degli Ordini di vigilare sul comportamento degli iscritti”.
Riforma forense. Alpa non vuol sentir parlare di corporativismo della categoria, “dimenticando che il numero degli iscritti agli Ordini è di per sé garanzia di concorrenza: l’individualismo proprio di chi difende i diritti impedisce di considerare l’Avvocatura come un’armata compatta di 230.000 unità. Ma il ruolo svolto da ciascuno dei suoi componenti costituisce motivo di preoccupazione e di ostilità da parte di istituzioni, di potentati economici, di altre categorie professionali: nel corso della audizione dinanzi alla Commissione legislativa della Camera dei Deputati  ho avuto modo di segnalare l’insistenza con cui si esprimono le critiche o le iniziative ostative (esplicite o sotterranee) di cui è fatta  oggetto  la nostra categoria specialmente in questo momento; si è criticata la richiesta di ripristino delle tariffe, peraltro nuovamente legittimate ieri dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (C-565/08), e del divieto del patto di quota lite adducendo che la nostra attività è affine alla produzione di beni e servizi, dimenticando che i diritti costituzionalmente garantiti non sono negoziabili, che la loro difesa tecnica richiede un lungo iter formativo e di esperienza pratica, che nessuno, che abbia pure appreso nozioni di diritto, può sostituirsi a coloro che hanno conseguito la laurea in Giurisprudenza, abbiano frequentato le scuole, abbiano effettuato il tirocinio, abbiano superato l’esame di Stato, abbiano conseguito e mantenuto l’iscrizione all’albo forense. Del pari, si è asserito che la pretesa di veder riconosciuta la riserva in materia di consulenza legale è contraria alla disciplina comunitaria, ignorando sia le regole fissate proprio in sede comunitaria dalle direttive sullo svolgimento della professione forense e sullo stabilimento degli avvocati, sia i principi fatti salvi dalle risoluzioni del Parlamento europeo e dalla Corte di Giustizia”. Il presidente dunque difende la riforma della professione forense approdata ora, dopo il voto al senato, alla commissione giustizia della camera e ne chiede “l approvazione sollecita” nonostante essa non abbia accolto “tutte le richieste dell’avvocatura” e in qualche passaggio “è stata mutilata. Ai giovani, ai quali si vuole garantire se non un futuro certo almeno un futuro guidato da regole adeguate, si vorrebbe assicurare una formazione universitaria appropriata, ma selettiva, una pratica effettiva, un avvio professionale soddisfacente. Il progetto approvato dal Senato non costituisce un testo ottimale ma avvia un processo di qualificazione che non può attendere migliori formulazioni, stanti la situazione attuale e le attese ormai ineludibili che si sono accumulate nel corso degli anni”.
Mediazione e altre riforme. “Ribadiamo la necessità di un intervento legislativo urgente che riporti la disciplina e il sistema complessivo nell’alveo delle garanzie costituzionali”, scandisce Alpa. Le incostituzionalità sono nell’obbligatorietà della composizione della lite, nella mancata previsione dell’assistenza dell’avvocato, nei costi aggiuntivi che si impongono  a chi vuole accedere alla giustizia, negli ostacoli che si frappongono al cittadino che voglia adire il giudice naturale,  nelle sanzioni a cui sono sottoposte le parti e gli avvocati nelle circostanze previste, nella insufficiente qualificazione dei conciliatori, nella sostanziale preventiva allocazione delle cause ad operatori privati.
“Si è preferito coinvolgere competenze diverse da quelle legali, organismi di natura privata, personale avventizio  non qualificato, soprattutto ignaro degli aspetti giuridici delle controversie da comporre, sulla base di una nozione errata di conciliazione. Perché così come è stato concepito il sistema si è dato ingresso ad una fase pre-processuale, che del processo ha tutti gli aspetti e che nel processo ordinario susseguente alla mancata definizione  porta il suo peso”, evidenzia Alpa che attacca: “E’ facile dire che temiamo la mediazione perché temiamo che essa riduca i nostri redditi, è facile dire che l’alto numero degli avvocati è causa del contenzioso, è facile dire che oggi si può evitare il coinvolgimento degli avvocati, perché le cause sono troppo lunghe e i costi legali troppo alti. E’ un teorema prospettato in modo subdolo e corporativo: la durata delle cause ha ben altre ragioni, la competitività non si misura sui costi legali, le tariffe sono una garanzia, la necessità di conoscere professionalmente il diritto e di avvalersi di professionisti costituiscono  il fondamento della difesa dei diritti  e della legalità delle operazioni economiche”.
Sul progetto di recupero dell’arretrato “ribadiamo le stesse critiche espresse a proposito del precedente ausiliario del giudice: non è con l’ingresso di alcune centinaia di redattori di sentenze che si può risolvere il problema, né con la motivazione sintetica, né con il tirocinio dei giovani presso gli uffici giudiziari, e tanto meno con  la imposizione di ulteriori balzelli. Non sono le modifiche ai testi normativi né i palliativi ad essere risolutori: al Congresso abbiamo presentato le proposte dell’Avvocatura incentrate sull’ ampliamento dell’organico, sulla riforma dei giudici onorari, sul reperimento di ingenti risorse finanziarie, sul completamento del sistema processuale informatico, sulla riorganizzazione degli uffici. Abbiamo sempre offerto collaborazione al Governo e al Parlamento per risolvere insieme questi problemi, e  l’Avvocatura vuol assumersi la sua parte”.
La difesa della libertà e autonomia. “Intendiamo favorire ogni intervento che sia destinato a riequilibrare il rapporto tra accusa e difesa e a rafforzare il ruolo del difensore nel processo”, dice Alpa che evidenzia come “l’attività forense è diventata più complessa nel corso degli ultimi decenni, e solo oggi ne avvertiamo tutto il peso: la complessità delle fonti ci impegna a ricondurre ogni questione ad una trama di regole tra loro non perfettamente coordinate, la pluralità di competenze ci richiede di fare scelte rischiose del giudice da adire, l’incertezza del dettato legislativo ci suggerisce di ricercare i significati più ragionevoli ma molto  spesso opinabili, la non frequente univocità degli indirizzi giurisprudenziali ci riserva talvolta soluzioni imprevedibili. E ciò che si può rilevare nel diritto interno si riflette anche nel diritto comunitario. Dobbiamo combattere per usare senza errori gli strumenti del mestiere, ma oggi dobbiamo combattere per assicurare l’accesso alla giustizia, per assicurare l’equilibrio dei poteri, per garantire il principio di eguaglianza e per mantenere intatta la nostra libertà. Libertà che si fonda sulla fiducia nel rapporto con il cliente, sul segreto professionale, sulla competenza e sul rispetto da parte di ogni istituzione”. Ma, avverte Alpa. “non c’è libertà là dove la funzione tipica dell’avvocato sia esercitabile da chi non ha la sua formazione culturale, non ha conseguito il titolo legale, non ha l’esperienza propria degli uomini di legge, non è in grado di decifrare la corretta situazione giuridica in cui versa l’assistito. E non c’è autonomia là dove la categoria non sia in grado di autodisciplinarsi: il potere regolamentare, esercitato dal Consiglio  in una con gli Ordini forensi e con la consultazione delle Associazioni forensi, è quindi garanzia di libertà: non può essere per intero assorbito dalle competenze del legislatore, né demandato  ad atti amministrativi. 
Le statistiche. Come di consueto, la relazione annuale fa il punto anche sui dati relativi all’attività giurisdizionale del Consiglio e agli esami forensi.
Quanto alla prima: i procedimenti sopraggiunti nell’anno sono stati 334, con un incremento rispetto all’anno passato (291); quelli relativi a sanzioni deontologiche sono stati 286. Le decisioni pubblicate  nel 2010 sono state 215, 92 le sanzioni confermate (nel dettaglio: 15 avvertimento; 26 censura; 46 sospensione esercizio professionale; 9 cancellazione dagli albi; 2 radiazione dagli albi).
Esami forensi. Nella sessione 2010 i presenti agli iscritti sono stati 33mila40. Nella sessione 2009, su 34mila481 presenti agli scritti sono stati ammessi agli orali  13mila485 aspiranti avvocati.

(Da Mondoprofessionisti del 31.3.2011)

OUA: camere di conciliazione di società di capitali “fantasma”

COMUNICATO STAMPA OUA del 31.3.2011

MAURIZIO DE TILLA: “CON LA GIUSTIZIA CIVILE STIAMO ASSISTENDO 
A UNA PRIVATIZZAZIONE ALL’ITALIANA. 
CON LA SCUSA DELLA LUNGHEZZA DEI PROCESSI, 
SI È TROVATO IL PRETESTO PER FARE DI QUESTO SERVIZIO UN BUSINESS

La media-conciliazione obbligatoria è stato oggetto del programma di Rai 3, Agorà in onda ieri.
Alla trasmissione ha partecipato Maurizio de Tilla, presidente Oua insieme al Presidente dei Dottori Commercialisti, Claudio Siciliotti, e ai parlamentari Lanfranco Tenaglia e Lucio Malan.
«La media-conciliazione obbligatoria è innanzitutto un business, una privatizzazione all’italiana senza seri criteri di terzietà e indipendenza e con rischi di infiltrazioni poco trasparenti, sulle quali chiediamo che indaghi la magistratura. Alcune società sono fantasma. Cioè non esistono le sedi indicate nel registro del Ministero della Giustizia. È bene ricordare che su 630 organismi di conciliazione ben 415 fanno capo a sedi di società di capitali. Nelle mani di chi si sta mettendo il diritto alla giustizia dei cittadini?».

mercoledì 30 marzo 2011

Carceri, stop bimbi in cella è legge

Dopo ok Senato, detenute con figli piccoli in altre strutture

Il Senato approva con 178 voti a favore a favore e 93 astensioni il ddl che consente alle detenute incinta o con figli fino a sei anni di non stare chiuse in cella con i loro figli, a meno di particolari esigenze cautelari di 'eccezionale rilevanza' e di andare in strutture apposite come gli istituti a custodia attenuata, gli Icam. Hanno votato a favore tutti i gruppi tranne il Pd che si è astenuto. Il provvedimento, già approvato alla Camera e non modificato al Senato, è legge.

(Da ansa.it del 30.3.2011)

Il CNF: “La mediazione non tutela l’accesso alla giustizia e i diritti dei cittadini”

“Sono anni che in Europa si discute di Adr e in realtà anche in Italia tante leggi di settore hanno previsto il ricorso alla mediazione. Riteniamo tuttavia che il sistema introdotto in via generale con il decreto legislativo 28/2010 non tuteli adeguatamente l’accesso alla giustizia ed esponga i cittadini al rischio di vedersi decurtati i propri diritti. Abbiamo dubbi sulla sua costituzionalità”.
Non solo. Alpa sottolinea come l’impostazione finora seguita ha avuto come scopo la riduzione dei costi: “e tuttavia i diritti non sempre si possono commisurare in termini economici”. Ancora una volta il presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa, ribadisce la posizione del Cnf sulla mediazione, entrata in vigore il 21 marzo scorso, in occasione della conferenza stampa di oggi dedicata alla proclamazione del 2011 Anno dell’avvocatura. “Il sistema è in contrasto con la Costituzione”, spiega Alpa rispondendo alle domande dei giornalisti.
“La conciliazione obbligatoria, introducendo una fase pre-processuale, distoglie dal giudice naturale e impone dei costi non solo strettamente economici”. Un esempio: non aver previsto la competenza territoriale degli organismi di conciliazione. “La legge non ha neanche tenuto conto degli aspetti giuridici delle controversie in mediazione. Abbiamo lamentato l’assenza di assistenza obbligatoria da parte dell’avvocato non per rivendicazioni corporative ma preoccupati del fatto che il cittadino potrebbe trovarsi davanti ad un mediatore che non valuta gli aspetti giuridici della questione, suggerendo un accordo che si può trasformare in una vera e propria decurtazione del diritto”.
Sulla seconda questione all’attenzione della cronaca di oggi, l’emendamento alla legge comunitaria sulla responsabilità dei giudici, Alpa ha dichiarato: “Il Consiglio non ha ancora avuto modo di esprimersi. Certo è che chi esercita la giurisdizione deve essere libero ed autonomo nel rispetto della legge. Dovremo valutare in che modo il principio disceso da una sentenza della Corte Ue, che ha dichiarato che sono contrarie al trattato norme che limitano la responsabilità del magistrato escludendo per tale via la responsabilità dello Stato in caso di violazione manifesta del diritto, sia conforme alla Costituzione e possa comportare una limitazione della libertà del giudice nell’applicare la legge”. E’ già successo, ricorda Alpa, che il Consiglio di Stato abbia escluso la responsabilità della Pa nel caso di applicazione di una legge di per sé oscura.

Claudia Morelli (responsabile Comunicazione e rapporti con i Media CNF)

Tariffe Avvocati: la Corte Europea dà ragione all’Italia

La Corte europea di giustizia del Lussemburgo ha dato ragione all'Italia sulle tariffe massime obbligatorie degli avvocati, respingendo il ricorso della Commissione.  Bruxelles, dal 2005, aveva inviato all'Italia una serie di lettere di diffida prima sui compensi per le attività stragiudiziali degli avvocati, poi sui tariffari giudiziali. Nel mirino della Commissione era finito anche il decreto Bersani del 2006 che aveva abrogato tutte le disposizioni che prevedono l'obbligatorietà delle tariffe fisse o minime ma aveva mantenuto quelle massime in nome della protezione dei consumatori.  Con un parere motivato 2008, l'eurogoverno aveva evidenziato come le tariffe forensi massime obbligatorie fossero in contrasto con le regole Ue.  Ma ad avviso dei giudici Ue ''la disciplina italiana sugli onorari presenta una flessibilità che sembra permettere il corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione'', e la Commissione ''non ha dimostrato che le norme italiane sulle tariffe massime degli avvocati ostacolano l'accesso dei legali di altri Stati membri nel mercato italiano''.   “La decisione Ue – ha sottolineato il presidente del Cnf, Guido Alpa - conferma quanto dall’avvocatura e dal Cnf sempre sostenuto, da ultimo nella audizione dinanzi alla commissione giustizia della Camera sulla riforma dell’ordinamento forense.  In quella sede, il Cnf aveva sottolineato che  sia la giurisprudenza comunitaria che quella della Cassazione hanno sempre ritenuto la piena compatibilità delle tariffe forensi con il diritto comunitario della concorrenza, motivandola con ragioni di interesse pubblico come la tutela dei consumatori e la buona amministrazione della giustizia e la tutela dell’interesse di evitare una concorrenza al ribasso a discapito della qualità della prestazione. La sentenza – conclude Apla - fuga una volta di più i pretestuosi argomenti spesso avanzati contro le tariffe e contro la necessità di una rapida approvazione della riforma forense, ora alla camera”.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 29.3.2011)

Rimessione in termini per consentire mediaconciliazione


Prato, evitata improcedibilità e nuova udienza dopo quattro mesi

O prima si tenta la mediazione o il processo non si farà. Lo prevede un decreto che il tribunale di Prato depositerà domani (oggi, ndAGANews) riguardo una causa civile presentata dal proprietario di una casa contro l'inquilino, per il mancato pagamento degli affitti. Si tratta di una delle prime decisioni del genere dopo l'entrata in vigore della mediaconciliazione.
"C'erano i presupposti per la mediazione - spiega il presidente del tribunale, Francesco Antonio Genovese - per tentare di trovare un accordo fra le parti, evitando il processo. Invece, è stato fatto subito ricorso in tribunale. Domani il giudice prima fisserà un termine di 15 giorni per permettere alla parte di ricorrere alla mediazione e poi fisserà una nuova udienza in tribunale, fra quattro mesi. A quel punto, se non sarà stata seguita la strada della mediazione, al giudice non resterà che dichiarare l'improcedibilità, cioè la morte del processo".
In quel caso, nessuno deciderà sulla causa e il proprietario di casa non avrà modo di vedere accolta la richiesta del pagamento degli affitti (circa 4mila euro). Il processo si svolgerà invece regolarmente se sarà stata percorsa la strada della mediazione, ma senza successo.
Il giudice titolare del procedimento, Marco Cecchi, spiega che quella pratese non è un sentenza pilota, "però - sottolinea - è la prima interpretazione di una parte della legge che può dar adito a qualche dubbio".

(Estratto da notizie Ansa del 29.3.2011)

martedì 29 marzo 2011

In caso di black out elettrico l’Enel non è responsabile

Cassazione civ. Sez. III, ordinanza 18.1.2011 n. 1090

Nel caso in cui l’ENEL si affidi ad un gestore della rete per la trasmissione (consistente nel trasporto e nella trasformazione sulla rete interconnessa ad alta tensione) ed il dispacciamento (consistente nell’attività diretta ad impartire disposizioni per l’utilizzazione e nell’esercizio coordinato degli impianti di produzione, della rete di trasmissione e dei servizi ausiliari) dell’energia elettrica, non può essere ritenuta responsabile del danno non patrimoniale subito dal proprio utente. Lo ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1090 del 18 gennaio 2011.
La vicenda vedeva un utente convenire in giudizio la società distributrice di energia elettrica, chiedendo il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti a seguito dell’interruzione e della mancata tempestiva riattivazione della fornitura di energia elettrica da parte dell’ENEL.
Secondo l’orientamento consolidato in giurisprudenza di legittimità, il danno non patrimoniale è risarcibile nel caso in cui vi sia un fatto costituente reato, nel caso di lesione di valori tutelati costituzionalmente e in casi tipici individuati dalla legge. In relazione a quest’ultima ipotesi occorre precisare che la lesione deve presentare i connotati della serietà e della gravità, avuto riguardo alla soglia sociale di tollerabilità, posto che il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 della nostra Carta fondamentale, impone al cittadino di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale, inevitabilmente scaturenti dalla convivenza, al fine di evitare la risarcibilità del danno futile (c.d. danno bagatellare).
La Suprema Corte rileva come nella specie, il Gestore non avesse fornito energia alla cabina primaria dell’Enel, da distribuire poi agli utenti, con la conseguenza che quest’ultima si trovava nell’impossibilità incolpevole di adempiere alla propria prestazione.
Utilizzando le parole del giudice nomofilattico “la s.p.a. GRTN non può, quindi, considerarsi ausiliaria della convenuta ex art. 1228 c.c., poiché è un soggetto autonomo ed indipendente da questa e da qualsiasi altro soggetto operante nel settore elettrico, ed è posto in posizione di supremazia rispetto a tali soggetti, e di monopolista nella gestione della rete di trasmissione, controllando tutti i flussi di energia da chiunque immessa e prelevata sulla rete, senza alcun potere direttivo o di controllo dell’Enel Distribuzione nei confronti di GRTN”.

(Da Altalex del 29.3.2011. Nota di Simone Marani)

DPS ENTRO IL 31 MARZO

Ricordiamo ai signori Colleghi che dopodomani, giovedì 31 Marzo, scadrà il termine per redigere, aggiornare e/o modificare il documento programmatico sulla sicurezza (DPS) relativo allo studio legale, previsto dal D.Lgs. 196/2003 in materia di protezione di dati personali.

lunedì 28 marzo 2011

L’OUA: “Alfano non dialoga più con gli avvocati”

GIUSTIZIA, DE TILLA, OUA: "IL MINISTRO ALFANO ORMAI NON DIALOGA PIÙ
CON AVVOCATI E MAGISTRATI, MA SOLO CON COMMERCIALISTI E IMPRESE"

L’OUA DENUNCIA PREOCCUPANTI CONFLITTI DI INTERESSE 
NELLE ORGANIZZAZIONI PRIVATE DI CONCILIAZIONE
DUE TERZI SONO SOCIETA’ DI CAPITALI REGISTRATE NELL’ALBO DEL MINISTERO

L’Organismo di rappresentanza politica dell’avvocatura, Oua, ha proclamato nei giorni scorsi altre quattro giornate di sciopero (14-15 aprile, 26 maggio, 23 giugno) e indetto una manifestazione a Roma per il prossimo 14 aprile. Oggi, il presidente dell’Oua, Maurizio de Tilla, partecipando alla trasmissione Uno Mattina, su Rai 1, ha ribadito le ragioni della protesta contro la privatizzazione e la rottamazione della giustizia civile.
Successivamente in relazione alla partecipazione del ministro Alfano al convegno organizzato a Torino dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, l’avv. de Tilla ha dichiarato quanto segue.
«Sarebbe logico un cambio di nome al Ministero di giustizia – ha spiegato - per rendere più coerenti e comprensibili alcune scelte fatte dal Ministro Alfano sulla giustizia civile, ma anche per così poter bene inquadrare il serrato dialogo del Guardasigilli con alcuni settori economici e professionali del nostro Paese (imprese e commercialisti) e specularmente all’assenza di confronto con chi opera quotidianamente nei tribunali: avvocati, magistrati, giudici onorari.
Infatti, ormai, il ministro della Giustizia va spesso dai commercialisti e dagli industriali per illustrare i suoi progetti sulla futura fisionomia della macchina giudiziaria. Insolito, no? Forse perché gli avvocati hanno definito questi provvedimenti di “ privatizzazione “ e “rottamazione” della giustizia.
Il Ministro, poi, tace su un fatto preoccupante: su 630 organismi di conciliazione ben 415 fanno capo a sedi di società di capitali. Da tale dato emerge chiaramente un progetto di “svendita” della giustizia alle società private, con l’insorgenza di non pochi dubbi su possibili speculazioni, conflitti di interesse, dipendenze, condizionamenti e affari privati.
«Nell’assise dei commercialisti – aggiunge il presidente dell’Oua - il Ministro della Giustizia ha testualmente dichiarato: “Vorrei che mi si spiegasse il modo per cui, mentre si investivano più soldi nel sistema giustizia, l’arretrato cresceva e ora invece cala”. La risposta probabile è la seguente: o il Ministro non legge bene i dati o i cittadini rinunciano a far valere le proprie ragioni. Ed infatti, la giustizia funziona oggi come prima. E non si registrano interventi incisivi.
«La media-conciliazione obbligatoria e le prospettate modifiche processuali – conclude de Tilla - delle quali il Ministro non vuole discutere con l’OUA e gli altri organismi rappresentativi del mondo della giustizia, costituisce un intervento inidoneo e di poca utilità, fatto a piedi giunti, con violazione dei diritti dei cittadini e dei valori della Costituzione. È evidente che visto il continuo rifiuto del dialogo da parte di Alfano, non ci resta che far valere con ulteriori giorni di astensione la fondata protesta dell’avvocatura. Per questa ragione il 14 e 15 aprile e poi il 26 maggio e il 23 giugno ci asterremo dalle udienze e il 14 faremo una grande manifestazione pubblica a Roma con la presenza di numerosi parlamentari di tutte le formazioni politiche».

(Comunicato stampa da oua.it del 28.3.2011)

Buca stradale: al pedone distratto risarcimento parziale

Tribunale Milano, sez. X civile, sentenza 4.1.2011

Se il pedone attraversa fuori dalle strisce e cade in una buca ha diritto solamente ad un parziale risarcimento del danno subito.
Il comportamento colposo dello stesso, infatti, interrompe il nesso causale.
Così ha precisato il Tribunale di Milano con la sentenza 4 gennaio 2011 accogliendo il ricorso di un cittadino caduto, appunto, in una buca posta sulla carreggiata.
Nello specifico il Tribunale ha deciso che il pedone ha diritto solamente ad un risarcimento parziale in quanto è da ritenersi corresponsabile del danno poiché “prestare attenzione per non essere investito non gli consente di rendersi conto del cattivo stato di manutenzione della strada”.
Secondo quanto stabilito nella decisione che qui si commenta in tema di responsabilità da cose in custodia (ex articolo 2051 codice civile) è sufficiente per la interruzione del sopra citato nesso causale tra cosa ed evento dannoso, anche il mero comportamento colposo del danneggiato, ascrivibile al mancato uso della diligenza ordinaria.
Nella sentenza in oggetto, il Tribunale richiama sull’argomento la sentenza della Cassazione del 2006, n. 15386, in base alla quale, in tema di responsabilità per cose in custodia, si precisa che trattasi di “responsabilità oggettiva che trova il suo fondamento nella mera relazione intercorrente tra la cosa e colui che esercita l'effettivo potere su di essa: in altri termini, il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio che grava sul custode per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da fortuito, (cfr. anche Cass. n. 2563/07 e Cass. 25243/06; nello stesso senso cfr. Cass. 2430/04, Cass. n. 2075/02, Cass. n. 584/01).
Precedente giurisprudenza, sempre del Tribunale di Milano, in tema di responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, ha precisato che al pedone che attraversi la strada fuori dalle strisce pedonali, senza concedere la dovuta precedenza al veicolo sopraggiungente e mal valutando la distanza che da questi lo separava, deve essere riconosciuto un concorso di colpa nella misura di un terzo (sul punto cfr. Trib. Milano, sez. V civ., 9 agosto 2006, n. 9386).

(Da Altalex dell’1 marzo 2011. Nota di Manuela Rinaldi)

Diritti delle donne, conferenza domani al Comune

Su iniziativa della Fidapa di Giarre-Riposto, presieduta dalla prof. Carmela Raciti, domani martedì 29 marzo, alle ore 17,30, la sala di rappresentanza del Palazzo di Città di Giarre ospiterà una conferenza sul tema: "Dignità della persona, verità naturale e diritti delle donne". Relatore sarà l'Avv. Sidro Barbagallo.

domenica 27 marzo 2011

Responsabilità professionale del medico

Cassazione penale, Sez. IV,  sentenza 7.3.2011, n. 8844

Nella individuazione della responsabilità professionale del medico, bisogna contemperare:
-la valutazione del rischio patologico (originato dalla patologia accusata dall'ammalato)
-con  il rischio teraupetico (originato dall'intervento teraupetico svolto dal medico).
A sua volta, il rischio teraupetico viene distinto in errore teraupetico di carattere esecutivo (per es. chirurgico) ed errore di carattere valutativo (errore diagnostico di individuazione della sintomatologia, ovvero erronea sottovalutazione dell'effetto di interazione tra farmaci o interventi comunque invasivi).
In particolare, si è sottolineato che la rilevanza penale dell'errore valutativo deve ritenersi subordinata alla condizione che esso sia manifestazione di un evidente atteggiamento soggettivo del medico di superficialità, di avventatezza, imperizia nei confronti delle necessità teraupetiche del paziente. Cioè, viene messa in rilievo l'esigenza di realizzare e recuperare un'adeguata "soggettività della colpa medica", nel senso di effettiva possibilità di manifestare uno specifico giudizio di rimprovero in ordine alla condotta, omissiva o commissiva, del sanitario, configurante la c.d. "colpevolezza della colpa".

 (Da overlex.com)

sabato 26 marzo 2011

Dal 4 all’8 Aprile giudici onorari in sciopero

 I magistrati di pace ed onorari costretti allo sciopero
         
L’Associazione nazionale giudici di pace ha proclamato un’astensione dalle udienze dal 4 all’8 aprile. Chiamiamo a raccolta l’intera magistratura onoraria che affronta i nostri stessi disagi. In particolare ci asterremo unitamente alla Federmot ed ai Magistrati onorari uniti.
In breve le ragioni della protesta.
I giudici di pace non godono di alcuna tutela previdenziale ed assistenziale, sono in buona sostanza lavoratori “in nero” dello Stato e la loro permanenza nelle funzioni dipende da un atto discrezionale dell’esecutivo, che attualmente si estrinseca in una proroga anche trimestrale.  L’attuale status dei magistrati di pace è in palese contrasto con la Carta costituzionale, le direttive comunitarie in materia di trattamenti riservati ai giudici onorari, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la Carta di Strasburgo e con la raccomandazione del 17 novembre 2010 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa CM/Rec (2010) 12.
L’ex presidente della Camera Casini ha indicato tra i punti essenziali della riforma della giustizia lo status dei magistrati di pace, sostenendo la necessità di superare il sistema delle proroghe. Il Presidente della Commissione giustizia del Senato Berselli ha presentato una proposta di legge che prevede la continuità delle funzioni ed una copertura previdenziale. L’azione di sensibilizzazione diuturna ed incessante dell’Associazione ha portato alla presentazione in Senato di sette emendamenti bipartisan al decreto milleproroghe che prevedevano la continuità delle funzioni, autorevolmente sostenuti dal Presidente Berselli, dai senatori Benedetti Valentini, Centaro, Boscetto, Gramazio (PDL) e D’Alia, Pistorio, Oliva (UDC), ma il governo si è opposto all’approvazione.
Nel settembre 2008 il ministro Alfano sostenne la necessità di superare l’attuale situazione di precarietà ed il 26 maggio scorso assunse l’impegno di garantire ai magistrati la continuità nell’esercizio delle funzioni, mediante la rinnovabilità dei mandati sino al compimento dei 70 anni di età ed una copertura previdenziale, ipotizzando una partecipazione forfetaria del ministero al pagamento dei contributi.
Lo stesso Presidente del Consiglio Berlusconi aveva più volte espresso in Parlamento il plauso per l’attività svolta dai giudici di pace ed onorari, sostenendo la necessità di una loro valorizzazione.
Manifestammo apprezzamento per le determinazioni dell’esecutivo, del resto le stesse apparvero in linea con la proposta di legge presentata nella scorsa legislatura dall’attuale Guardasigilli, ma le attese sono andate deluse. Nel recente decreto “milleproroghe” siamo arrivati alla proroga trimestrale delle funzioni.    
Tale sistema di riconferma è inaccettabile, in quanto lede gravemente la dignità, l’autonomia e l’indipendenza del giudice di pace, magistrato appartenente all’ordine giudiziario, la cui funzione è espressamente prevista nella Carta costituzionale all’art. 116. Il sistema delle proroghe si fonda su un decreto legge: può un magistrato giudicante con funzioni proprie e non delegate dipendere da un provvedimento meramente discrezionale dell’esecutivo?
E’ del tutto evidente che solo attraverso la continuità del mandato è possibile assicurare la necessaria autonomia ed indipendenza del giudice, come è già avvenuto per i magistrati tributari e per i magistrati onorari minorili
Inoltre il governo ha disatteso vari ordini del giorno, ad esempio l’odg A.C. 3778-A del 20 novembre 2010 con cui la Camera impegnava l’esecutivo ad avviare in modo concreto una riforma organica che assicuri la stabilizzazione dei magistrati di pace, in linea con le direttive comunitarie in materia di trattamenti riservati ai giudici onorari, con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e la Carta di Strasburgo e di recente l’odg A.C. 4086-A, avente il medesimo contenuto (in basso riportato integralmente).
Il governo ha riproposto la figura dell’ausiliario del giudice, che introduce nel nostro ordinamento una sorta di “giudice della quarta età” che a regime non risolve il problema della lentezza dei giudizi (come ha dimostrato l’esperienza dei goa) e che si profila onerosissima per le casse dello Stato. Con una somma inferiore a quella prevista si potrebbe garantire ai magistrati di pace la doverosa copertura previdenziale.
È mancata la consultazione della magistratura di pace associata sul tema del riordino delle piante organiche, che produrrà l’effetto di minare la futura riforma e destabilizzerà in maniera irreparabile l’istituzione.
Last but not least è inaccettabile il mancato adeguamento dell’indennità secondo gli indici ISTAT, come previsto dalla legge istitutiva 374/91, ma mai avvenuto dal 1999 ad oggi.
L’Associazione durante i giorni dell’astensione sarà presente negli uffici con i propri dirigenti allo scopo di spiegare ai cittadini le ragioni della protesta e dei disagi che mai avremmo voluto loro arrecare.

                      Vincenzo Crasto
Presidente Associazione Nazionale Giudici di Pace

(Da ilgiudicedipace.it del 16.3.2011)

GERACI: RISPETTARE I MINORI, COME DEONTOLOGIA INSEGNA

Si è concluso a mezzogiorno, al palazzo di Giustizia di Giarre, il terzo evento formativo organizzato dall’Associazione Giarrese Avvocati per l’anno 2011.
Alla presenza di quasi duecento colleghi, il Segretario del Consiglio dell’Ordine etneo Avv. Diego Geraci ha parlato di “Tutela del minore: difesa ed aspetti deontologici”.
Prima ancora di affrontare l’argomento, l’Avv. Geraci, incalzato dalle domande di numerosi colleghi, si è soffermato sulla attualissima questione della mediaconciliazione, ribadendo l’adesione dell’Ordine Forense di Catania all’astensione indetta e riproposta (cfr. Aga News di ieri) dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana per protestare contro l’incostituzionalità e l’obbligatorietà di quest’istituto nonchè, quanto meno, contro la mancata previsione dell’assistenza degli avvocati.
Quindi, l’illustre relatore ha affrontato vari casi in cui l’avvocato è chiamato a difendere il minore: davanti al tribunale dei minori, come curatore ad acta o ad processum quando è imputato, nei casi di separazione e divorzio, in fattispecie ereditarie ed altro: l’Avv. Geraci ha ribadito che l’azione del legale, pur senza venir meno ai doveri verso l’assistito, deve tuttavia avere come obiettivo primario il rispetto del minore, che non va mai tralasciato nell’approntare le proprie difese, come deontologia impone.
L’incontro ha registrato pure la gradita presenza del giudice Marcella Celesti.
Il presidente dell’AGA Pippo Fiumanò ha annunciato che il prossimo evento formativo si terrà Sabato 30 Aprile, argomento lo “stalking”.

venerdì 25 marzo 2011

ALTRI 4 GIORNI DI ASTENSIONE DA APRILE CONTRO MEDIACONCILIAZIONE

Altre quattro giornate di sciopero degli Avvocati contro la mediazione obbligatoria e per dire no alla 'rottamazione della giustizia civile’.
A proclamare la prosecuzione della protesta, che ha già visto i legali incrociare le braccia dal 16 al 22 marzo scorsi, è ancora l'Organismo unitario dell'avvocatura.
I difensori si asterranno dalle udienze il 14 e il 15 aprile, il 26 maggio e il 23 giugno.
Nel primo giorno della protesta ci sarà una manifestazione a Roma e il 15 iniziative in diverse città. E sino a giugno si terranno assemblee in tutti i tribunali italiani.
Gli Avvocati annunciano inoltre che solleveranno in tutti i procedimenti interessati dall'obbligatorietà della mediazione la questione di incostituzionalità.
"La media-conciliazione obbligatoria è solo un grande business, una privatizzazione e rottamazione della giustizia civile. La metà delle camere di conciliazione sono Srl e Spa: dove è l'indipendenza e la terzietà di questi organismi?  - osserva il presidente dell'Oua Maurizio De Tilla, che aggiunge - non è accettabile che i diritti dei cittadini vengano affidati a mediatori con 50 ore di formazione e senza alcuna reale preparazione giuridica'.
Dagli Avvocati arriva perciò un 'forte sostegno' ai ddl (Benedetti Valentini e Della Monica) calendarizzati al Senato per modificare questo istituto.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 25.3.2011)

Ingiunzioni, il termine dimezzato per opporsi torna alle Sezioni unite: "È contro il giusto processo"

Il collegio rimettente: «Valga solo se l'opponente
 si avvale della riduzione e nelle cause post-revirement»

«Non si cambiano le regole del gioco a partita già iniziata». Approda alle Sezioni unite civili la questione del revirement imposto alla materia del decreto ingiuntivo dallo stesso massimo consesso nomofilattico (sentenza 19246/10), secondo cui il secondo comma dell'articolo 645 Cpc va interpretato nel senso che il termine per la costituzione dell'opponente si deve ritenere dimezzato in ogni caso, a prescindere dalla circostanza che l'opponente si sia avvalso o meno della facoltà di ridurre il termine di comparizione. È la terza sezione civile a dubitare dell'interpretazione giurisprudenziale in un'ordinanza che chiede l'intervento del collegio esteso emessa nei giorni scorsi: «È contro il giusto processo», scrivono i giudici rimettenti.
Via d'uscita
Secondo la terza sezione civile la nuova interpretazione dell'articolo 645 Cpc, comma 2 - che fra l'altro non emerge in alcun modo dal dato testuale - non è compatibile con i principi affermati dall'articolo 111 della Costituzione: aggrava l'assimetria in tema di diritto di difesa per l'opponente, che nel giudizio di opposizione riveste in sostanza il ruolo di convenuto, che risulta troppo penalizzato dalla riduzione automatica a cinque giorni del termine di costituzione, a prescindere da ogni consapevole scelta di parte. I giudici rimettenti, tuttavia, offrono la loro soluzione: ritengono che la riduzione alla metà dei termini di costituzione dell'opposto debba ritenersi operante («tutt'al più») nei soli casi in cui l'opponente effettivamente si avvalga del diritto di ridurre alla metà i termini di comparizione.
Legittimo affidamento
Si pone poi il problema di decidere a quali cause applicare il cambio di rotta imposto dalla sentenza 19246/10. Per il collegio che si rivolge alle Sezioni unite l'interpretazione contestata non dovrebbe poter essere applicata ai processi svoltisi in data anteriore, quando era consolidata una diversa interpretazione. Netta la conclusione dei magistrati della terza sezione: il principio per cui il giusto processo deve essere regolato dalla legge presuppone che il privato abbia il diritto di sapere con certezza quali siano le regole in vigore nel momento in cui agisce, siano esse legali o giurisprudenziali. «E se la legge non provvede in materia - concludono - è il caso che la giurisprudenza si faccia carico anche di questo problema».

Dario Ferrara (da cassazione.net)

Espropriazione immobiliare: nel liquidare le spese al creditore bisogna indicare le singole voci

Illegittima l'ordinanza che non precisa le spettanze per esborsi, diritti, onorari e accessori

Quando il giudice definisce il processo esecutivo deve liquidare le spese in favore del creditore con un'ordinanza che indichi specificamente le spettanze per esborsi, diritti, onorari e accessori. Senza la ripartizione puntuale il provvedimento è illegittimo perché non consente alcun riscontro al debitore e al giudice dell'impugnazione. È quanto emerge da una sentenza del 24 marzo 2011, emessa dalla terza sezione civile della Cassazione.
Applicazione puntuale
La Suprema corte, nella specie, decide nel merito dichiarando la nullità dell'ordinanza del giudice limitatamente alla parte in cui liquida, senza specificazione dei singoli importi per diritti e onorari, alla luce della tariffa forense applicabile, le spese e le competenze del creditore. E fra gli accessori di legge deve essere compresa anche l'Iva, dato che è quella la sua natura. La spiegazione va ricercata nel modello secondo cui si liquidano le spese processuali: in questo caso, il giudice che pronuncia la condanna della parte soccombente al rimborso delle spese e degli onorari, in favore della controparte, deve liquidarne l'ammontare separatamente; risulta quindi illegittima la mera
indicazione dell'importo complessivo e della mancata separata specificazione degli onorari e delle spese, in quanto non consente il controllo sulla correttezza della liquidazione, anche in ordine al rispetto delle relative tabelle. Analogamente, se il giudice dell'esecuzione non precisa le singole voci, toglie al debitore e al giudice dell'impugnazione ogni possibilità di sindacare la correttezza della liquidazione in applicazione puntuale della tariffa forense via via pertinente.

Dario Ferrara (da cassazione.net)

Dà in prestito a figlio e nuora la casa di sua proprietà per oltre 20 anni

Il comodato è a vita. Respinto il ricorso del suocero

Difficile per i genitori recuperare la casa prestata per molti anni alla famiglia del figlio. Infatti, in questo caso, il comodato si presume a vita.
È quanto si evince dalla una sentenza depositata oggi dalla Corte di cassazione con la quale è stato respinto il ricorso del proprietario di un immobile. L'uomo aveva prestato al figlio e alla nuora la casa dall'80 al 2000. Poi l'aveva chiesta indietro (nel frattempo si era tenuto l'usufrutto intestando ai due la nuda proprietà).
Contro il rifiuto della coppia lui si era rivolto al Tribunale e aveva vinto. Poi le cose erano andate diversamente in Corte d'Appello. Infatti i giudici avevano ribaltato il verdetto presumendo che un prestito così lungo celasse in realtà un comodato a vita.
La Suprema corte ha confermato il verdetto richiamando u noto principio delle Sezioni unite (sentenza 13603/2004) secondo cui "in ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la forma e il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, ma determinauna concentrazione in capo alla persona dell'assegnatario, di detto titolo di godiment, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso previsto dal contratto, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno, ai sensi dell'art. 1809 c.c.".

Debora Alberici (da cassazione.net)

giovedì 24 marzo 2011

Mediazione obbligatoria, OUA annuncia nuova protesta

Da lunedì scorso è entrata in vigore la mediazione obbligatoria per le cause civili e commerciali. In concreto, chi volesse intraprendere una causa, rientrante nelle fattispecie di cui sopra, dovrà prima ricercare un accordo obbligatorio, presso un mediatore, che dovrà esitare un giudizio entro un massimo di quattro mesi. Obiettivo della nuova normativa è di sfoltire la pesante macchina della giustizia civile, garantendo una rapidità nei giudizi. Gli avvocati non l’hanno presa per nulla bene, hanno indetto una settimana di astensioni dalle udienze. E  nella prossima assemblea fissata per domani l’Oua esaminerà la possibilità di indire altre giornate di astensione e ulteriori manifestazioni pubbliche a Roma, Milano, Napoli, Venezia e in altre città del Paese ritenendo che questa legge sulla mediazione obbligatoria ponga problemi e criticità, tali da metterne in discussione la stessa esistenza.  Anche il Consiglio nazionale forense è contro la mediaconciliazione”. In una nota di lunedì diffusa dal Cnf si legge infatti testualmente “che la disciplina sulla media-conciliazione, in quanto obbligatoria, è incostituzionale e che il sistema, così come concepito, non assicura un’adeguata soluzione delle controversie”.  In particolare le rappresentanze dell’avvocatura chiedono che la mediazione non sia obbligatoria e che comunque sia prevista l’assistenza di un avvocato. Annunciati due disegni di legge al Senato per modificare la procedura che dovrebbe essere non più obbligatoria e prevedere l’assistenza di un legale.

(Estratto da articolo di Luigi Berliri su Mondoprofessionisti del 24.3.2011)

SABATO 26 CORSO AGA IN TRIBUNALE

Per quei (si spera) pochi distratti che ancora non lo sapessero (annunciato da locandine, e-mail, quotidiani, tv locali e più volte da AGA News), ricordiamo che Sabato 26 Marzo sarà gradito ospite dell'AGA, al palazzo di Giustizia di Giarre, il Segretario del Consiglio dell'Ordine Avv. Diego Geraci, che, dalle 9 alle 12, relazionerà sul tema:
"TUTELA DEL MINORE: DIFESA ED ASPETTI DEONTOLOGICI".
La partecipazione all'evento, gratuita per i soci AGA, dà diritto a n. 3 crediti formativi.

Avvocato: i limiti al dovere di collaborazione con il Consiglio dell’Ordine

 Cass. Civ. SS.UU., sentenza 28.2.2011 n. 4773

L’art. 24 del Codice Deontologico Forense impone all’avvocato il dovere di collaborazione con il Consiglio dell’Ordine di appartenenza o con altro che ne faccia richiesta, al fine del perseguimento delle finalità istituzionali, in ossequio al dovere di verità.
L’apporto collaborativo del professionista, secondo il tenore letterale dell’art. 24, consiste nel dovere di riferire fatti a sua conoscenza relativi all’ambito della vita forense ed a quello più generale dell’amministrazione della giustizia, laddove si renda necessario attuare iniziative o interventi collegiali.
La tutela delle finalità istituzionali dei Consigli dell’Ordine impone quindi all’avvocato, parte attiva nelle dinamiche istituzionali del sistema, un generale obbligo di collaborazione consistente nel dovere di esporre agli organi richiedenti tutte quelle circostanze in sua conoscenza utili alla attuazione delle finalità istituzionali stesse.
La norma, nel modulare poi le conseguenze disciplinari scaturenti dall’inottemperanza al descritto dovere di collaborazione, prevede misure diverse a seconda che la condotta consistente nel mancato apporto collaborativo del professionista, rimasto inerte alle istanze del Consiglio dell’Ordine richiedente, si verifichi nell’ambito di un procedimento disciplinare attivato nei suoi confronti o, diversamente, nell’ambito di un procedimento iniziato nei confronti di un altro iscritto.
Difatti il primo capoverso dell’art. 24, disciplinante le implicazioni della mancata reazione dell’iscritto agli addebiti mossi nei suoi confronti, dispone: “Nell’ambito di un procedimento disciplinare, la mancata risposta dell’iscritto agli addebiti comunicatigli e la mancata presentazione di osservazioni e difese non costituisce autonomo illecito disciplinare, pur potendo tali comportamenti essere valutati dall’organo giudicante nella formazione del proprio libero convincimento”.
Il dato letterale della norma è chiaro nel non ricollegare autonome conseguenze disciplinari alla mancata reazione difensiva del professionista nell’ambito di un procedimento disciplinare già attivato nei suoi confronti, salva la possibilità di valutazione di tale contegno da parte dell’organo giudicante nella formazione del proprio convincimento.
Di diverso tenore il secondo capoverso dell’art. 24, che, al contrario, configura l’illecito disciplinare nell’ipotesi in cui il l’avvocato non fornisca al Consigli dell’Ordine richiedente “chiarimenti, notizie o adempimenti in relazione ad un esposto presentato da una parte o da un collega tendente ad ottenere notizie o adempimenti nell’interesse dello stesso reclamante”.
Tale ultima disposizione sembra riguardare un contegno omissivo consistente nel mancato apporto collaborativo del professionista nell’ambito di un procedimento - attivato da una parte o da un altro iscritto - non avente ad oggetto la sua eventuale responsabilità disciplinare.
La questione posta al vaglio della Corte di Cassazione
La Suprema Corte viene investita della questione relativa all’ambito soggettivo ed oggettivo di operatività del secondo capoverso dell’art. 24 del Codice deontologico, laddove esso, come anzidetto, configura un illecito disciplinare derivante dalla mancata collaborazione del professionista in relazione ad un esposto prospettante addebiti disciplinari presentato da una parte o da un collega.
Gli ermellini si pronunciano sulla configurabilità del descritto illecito disciplinare nell’ipotesi particolare in cui il fatto del mancato apporto collaborativo del professionista, consistente nel non fornire chiarimenti, notizie o adempimenti, si riferisca ad un esposto presentato nei confronti di lui stesso e sia attinente a fatti in cui sia ravvisabile un illecito disciplinare.
La posizione del Consiglio Nazionale Forense
Il Consiglio dell’Ordine ritiene che l’ambito oggettivo di applicazione del secondo capoverso dell’art. 24 corrisponda ad una fase preliminare del procedimento disciplinare, nella quale l’avvocato, a nulla rilevando che l’esposto sia mosso nei suoi stessi confronti, ha “l’obbligo (oltre al diritto) di chiarire il suo comportamento nei confronti dei reclamante, e dall’altro ha il dovere di fornire al Consiglio, investito con l’esposto del dovere di valutare la sussistenza delle condizioni per aprire un procedimento, elementi che consentano ad esso il pieno e corretto esercizio delle sue funzioni istituzionali che tutelano prioritariamente un interesse pubblico”. L’ambito soggettivo di applicazione della norma ricomprenderebbe quindi anche l’avvocato rimasto inerte nell’ipotesi di addebiti mossi nei suoi stessi confronti, con conseguente configurabilità a suo carico dell’illecito disciplinare ivi previsto.
La tesi della Suprema Corte
La Corte di Cassazione confuta le argomentazioni del Consiglio Nazionale Forense, enunciando il seguente principio di diritto: “Non costituisce l’illecito disciplinare sanzionato dal secondo capoverso dell’art. 24 del codice deontologico forense la mancata risposta dell’avvocato alla richiesta del Consiglio dell’ordine di chiarimenti, notizie o adempimenti in relazione a un esposto presentato, per fatti disciplinarmente rilevanti, nei confronti dello stesso iscritto”.
Invero, secondo l’opinione dei giudici di Piazza Cavour, ai sensi dell’art. 47 del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37 non sussiste alcuna fase predibattimentale del procedimento disciplinare, dovendosi ritenere inclusi nell’ambito dei “procedimenti disciplinari che siano stati iniziati” il momento della raccolta delle “opportune informazioni”, dei “documenti... necessari” e delle “deduzioni che... pervengano dall’incolpato e dal pubblico ministero”.
Non costituendo la istruzione predibattimentale una fase precedente ed esterna al procedimento disciplinare, laddove in essa vengano prospettate responsabilità disciplinari in capo ad un iscritto, deve ritenersi operante “la regola, basilare del diritto processuale in ogni campo, del nemo tenetur contra se edere, che è espressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito e prevale quindi sull’esigenza del “pieno e corretto esercizio delle... funzioni istituzionali” dei Consigli degli ordini degli avvocati.
Deve quindi ritenersi che il secondo capoverso dell’art. 24 del Codice Deontologico Forense va interpretato - come il suo tenore testuale consente – “nel senso che sanziona la mancata risposta dell’avvocato alla richiesta del Consiglio dell’ordine relativa a un esposto presentato nei confronti di un altro iscritto” e non nei suoi stessi confronti.

(Da Altalex del 9.3.2011. Nota di Filippo Di Camillo – cfr. AGANews del 3.3.2011)

mercoledì 23 marzo 2011

Nulla la “fideiussione del donante”


La sentenza n. 228/11 del Tribunale di Mantova scardina il meccanismo della “fideiussione del donante”, stratagemma ampiamente adottato dalle banche italiane per porre nel nulla i diritti dei legittimari nei confronti di immobili donati.
A rischio la posizione delle banche che abbiano concesso mutui ipotecari su immobili con provenienze donative dopo la sentenza n. 228/11 del Tribunale di Mantova che ha dichiarato nullo, perché in frode alla legge, il meccanismo della “fideiussione del donante”, uno stratagemma ampiamente utilizzato dalle banche per consentire alle stesse di erogare mutui garantiti da ipoteche su immobili con provenienze donative.
Che cos’è e come funziona
Poiché non è consentito ai legittimari rinunciare alle proprie pretese ereditarie fintanto che il donante è in vita, le banche avevano adottato una prassi autotutelante – la c.d. “fideiussione del donante” - per cui, attraverso una garanzia personale (la fideiussione), fatta prestare da chi aveva donato l'immobile e destinata ad essere ereditata dagli stessi legittimari, si creava una sconvenienza economica in capo a questi ultimi a far valere i propri diritti successori. Qualora lo avessero fatto, avrebbero dovuto risarcire la banca dello stesso importo ottenuto a seguito dell'attivazione di tali diritti successori.
Attenzione ai contratti in essere
La sentenza scardina il meccanismo adottato dalle banche italiane per porre nel nulla i diritti dei legittimari nei confronti di immobili donati. Tutti i mutui fondiari in essere e aventi ad oggetto immobili con provenienze donative rischiano ora di essere travolti dal principio.

(Da avvocati.it del 23.3.2011)

Il 30 inaugurazione dell’anno giudiziario forense

Alla presenza delle massime cariche istituzionali dello Stato, mercoledì prossimo, 30 Marzo, alle ore 16, nella sede amministrativa del Consiglio nazionale forense a Roma in via del Governo vecchio 3, si svolgerà la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario forense. Dopo la relazione del presidente del CNF Guido Alpa, interverrà il ministro della giustizia Angelino Alfano.

Dolo eventuale nell'incidente stradale

Corte di Cassazione – Sez. I Penale, Sent. 15.3.2011. n.10411

"La delicata linea di confine tra il "dolo eventuale" e la "colpa cosciente" o "con previsione" e l'esigenza di non svuotare di significato la dimensione psicologica dell'imputazione soggettiva connessa alla specificità del caso concreto, impongono al giudice di attribuire rilievo centrale al momento dell'accertamento e di effettuare con approccio critico un'acuta, penetrante indagine in ordine al fatto unitariamente inteso, alle sue probabilità di verificarsi, alla percezione soggettiva della probabilità, ai segni della percezione del rischio, ai dati obiettivi capaci di fornire una dimensione riconoscibile dei reali processi interiori e della loro proiezione finalistica. Si tratta di un'indagine di particolare complessità, dovendo si inferire atteggiamenti interni, processi psicologici attraverso un procedimento di verifica dell'id quod plerumque accidit alla luce delle circostanze esteriori che normalmente costituiscono l'espressione o sono, comunque, collegate agli stati psichici".
Lo ha stabilito la Cassazione che ha rinviato per un nuovo giudizio alla Corte d'assise d'appello di Roma, pronunciandosi in tema di configurabilità dell'omicidio volontario e non colposo conseguente ad incidente stradale.
Secondo la Cassazione, infatti: "AI fine di stabilire se nel caso in esame ricossero gli estremi del dolo eventuale o della colpa aggravata dalla previsione dell'evento, il giudice d'appello avrebbe dovuto esaminare i seguenti elementi, ponendo in correlazione logica fra loro: le modalità e la durata dell'inseguimento; il lasso di tempo intercorso tra l'inizio dello stesso e la sua trasformazione in mero controllo a distanza del furgone rubato; le complessive modalità della fuga e la sua protrazione pur dopo che la Polizia aveva adottato una differente tipologia di vigilanza; le caratteristiche tecniche del mezzo rubato in rapporto a quanto in esso contenuto; la conseguente energia cinetica in relazione alla velocità serbata; le caratteristiche degli incroci impegnati con luce semaforica rossa prima del raggiungimento di quello tra via Nomentana e viale Regina Margherita e le relative possibilità di avvistamento di altri veicoli; la conformazione dei luoghi in cui avvenne l'impatto con la "Citroen" condotta da I I l'assenza di tracce di frenata o di elementi obiettivamente indicativi di tentativi di deviazione in rapporto al punto d'impatto con il mezzo su cui viaggiavano i tre giovani e alle caratteristiche dell'incrocio tra viale Regina Margherita e via Nomentana; il comportamento serbato dall'imputato dopo la violenta collisione".
Quanto alla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente, vale la pena di ripercorrere i passaggi salienti della decisione della Cassazione.
- L'esatta ricostruzione degli elementi distintivi tra dolo e colpa cosciente presuppone la definizione dei rapporti tra l'elemento della rappresentazione e quello della volontà nel quadro della struttura del dolo, che rappresenta il criterio ordinario dell'imputazione soggettiva. La volontà esprime la tensione dell'individuo verso il conseguimento di un risultato non in termini di mero desiderio - dimensione questa che attiene alla sfera della motivazione - quanto piuttosto di concreta attivazione in vista del raggiungimento di un determinato scopo. Qualsiasi condotta umana, eccezion fatta per i comportamenti del tutto irrazionali, mira ad un risultato e solo il riferimento ad esso consente di individuare la volontà dell'agente, che deve investire direttamente o indirettamente (nei termini che saranno precisati al paragrafo successivo) anche l'intero fatto di reato colto nella sua unità di significato, nel dinamismo tra i suoi elementi e nella proiezione teleologica in direzione dell'offesa. In adesione ad una recente elaborazione teorica è possibile affermare che, poiché il comportamento doloso orienta finalisticamente i fattori della realtà nella prospettiva del mezzo verso uno scopo, esso attrae nell'ambito della volontà l'intero processo che determina il risultato perseguito. Per conseguenza la finalizzazione della condotta incide sulla sfera della volizione e la svela.
- L'elemento rappresentativo attiene, a sua volta, al complessivo quadro di conoscenza degli elementi essenziali del fatto nel cui ambito la deliberazione è maturata. Esso costituisce il substrato razionale in virtù del quale la decisione di agire si pone in correlazione con il fatto inteso nella sua unitarietà, così giustificando il riconoscimento di una scelta realmente consapevole, idonea a fondare la più grave forma di colpevolezza. La volontà presuppone, perciò, la consapevolezza di ciò che si vuole. Il dolo è, quindi, rappresentazione e volontà del fatto tipico. La rappresentazione, che ha ad oggetto tutti gli elementi essenziali del fatto, assume - come osservato con efficace sintesi da un'autorevole dottrina -natura psichica di conoscenza, quando concerne gli elementi preesistenti e concomitanti al comportamento, di coscienza, quando è riferita alla condotta, di previsione, quando riguarda elementi futuri, qual è essenzialmente l'evento del reato. Nell'agire doloso, il soggetto agente orienta deliberatamente il proprio comportamento verso la realizzazione del fatto di reato che costituisce un disvalore per l'ordinamento giuridico, modella la propria condotta in modo da imprimerle l'idoneità alla realizzazione del fatto tipico che può considerarsi voluto proprio perché il soggetto ha deciso di agire in modo tale da determinarlo. La rappresentazione e la volizione debbono avere ad oggetto tutti gli elementi costitutivi della fattispecie tipica - condotta, evento e nesso di causalità materiale -, e non il solo evento causalmente dipendente dalla condotta, come è confermato dalla disciplina dell'errore sul fatto costituente reato contenuta nel primo comma dell'art. 47 c.p., secondo cui siffatto errore, facendo venir meno il dolo sotto il profilo della indispensabile consapevolezza degli elementi essenziali della fattispecie, esclude la responsabilità dolosa e la punibilità dell'agente.
- Nei reati a forma vincolata oggetto del dolo deve essere la condotta specificamente descritta nella norma incriminatrice, mentre nei reati a forma libera, quali sono i reati di cui ai capi a), b), l'imputazione a titolo di dolo del fatto nel suo insieme postula che la volontà sia effettiva sino all'ultimo atto.
- La giurisprudenza di legittimità individua il fondamento del dolo indiretto o eventuale nella rappresentazione e nell'accettazione, da parte dell'agente, della concreta possibilità, intesa in termini di elevata probabilità, di realizzazione dell'evento accessorio allo scopo perseguito in via primaria. Il soggetto pone in essere un'azione accettando il rischio del verificarsi dell'evento, che nella rappresentazione psichica non è direttamente voluto, ma appare probabile. In altri termini, l'agente, pur non avendo avuto di mira quel determinato accadimento, ha tuttavia agito anche a costo che questo si realizzasse, sicché lo stesso non può non considerarsi riferibile alla determinazione volitiva (Sez. Un. 12 ottobre 1993, n. 748; Sez. Un. 15 dicembre 1992, Cutruzzolà, in Cass. pen., 1993, 1095; Sez. Un. 12 ottobre 1993, n. 748; Sez. Un. 14 febbraio 1996, n. 3571; Sez. I, 12 novembre 1997, n. 6358; Sez. I, Il febbraio 1998, n. 8052; Sez. I, 20 novembre 1998, n. 13544; Sez. V, 17 gennaio 2005, n. 6168; Sez. VI, 26 ottobre 2006, n. 1367; Sez. I, 24 maggio 2007, n. 27620; Sez. I, 29 gennaio 2008, n. 12954). Si versa, invece, nella forma di colpa definita "cosciente", aggravata dall'avere agito nonostante la previsione dell'evento (art. 61 n. 3 cod. pen.), qualora l'agente, nel porre in essere la condotta nonostante la rappresentazione dell'evento, ne abbia escluso la possibilità di realizzazione, non volendo né accettando il rischio che quel risultato si verifichi, nella convinzione, o nella ragionevole speranza, di poterlo evitare per abilità personale o per intervento di altri fattori.
- Dall'interpretazione letterale dell'art. 61, comma 1, n. 3 cod. pen., che fa esplicito riferimento alla realizzazione di un'azione pur in presenza di un fattore ostativo della stessa, si evince che la previsione deve sussistere al momento della condotta e non deve essere stata sostituita da una non previsione o controprevisione, come quella implicita nella rimozione del dubbio. Quest'ultimo non esclude l'esistenza del dolo, ma non è sufficiente ad integrarlo.
Una qualche accettazione del rischio sussiste tutte le volte in cui si deliberi di agire, pur senza avere conseguito la sicurezza soggettiva che l'evento previsto non si verificherà. Il semplice accantonamento del dubbio, quale stratagemma mentale cui l'agente può consapevolmente ricorrere per vincere le remore ad agire, non esclude di per sé l'accettazione del rischio, ma comporta piuttosto la necessità di stabilire se la rimozione stessa abbia un'obiettiva base di serietà e se il soggetto abbja maturato in buona fede la convinzione che l'evento non si sarebbe verificato. In tale articolato contesto, come sottolineano i più recenti approdi interpretativi dottrinali e giurisprudenziali, poiché la rappresentazione dell'intero fatto tipico come probabile o possibjle è presente sia nel dolo eventuale che nella colpa cosciente, il criterio distintivo deve essere ricercato sul piano della volizione. Mentre, infatti, nel dolo eventuale occorre che la realizazione del fatto sia stata "accettata" psicologicamente dal soggetto, nel senso che egli avrebbe agito anche se avesse avuto la certezza del verificarsi del fatto, nella colpa con previsione la rappresentazione come certa del determinarsi del fatto avrebbe trattenuto l'agente. Nel dolo eventuale il rischio deve essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale l'agente subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro. L'autore del reato, che si prospetta chiaramente il fine da raggiungere e coglie la correlazione che può sussistere tra il soddisfacimento dell'interesse perseguito e il sacrificio di un bene diverso, effettua in via preventiva una valutazione comparata tra tutti gli interessi in gioco -il suo e quelli altrui -e attribuisce prevalenza ad uno di essi. L'obiettivo intenzionalmente perseguito per il soddisfacimento di tale interesse preminente attrae l'evento col laterale, che viene dall'agente posto coscientemente in relazione con il conseguimento dello scopo perseguito. Non è, quindi, sufficiente la previsione della concreta possibilità di verificazione dell'evento lesivo, ma è indispensabile l'accettazjone, sia pure in forma eventuale, del danno che costituisce il prezzo (eventuale) da pagare per il conseguimento di un determinato risultato (Sez. VI, 26 ottobre 2006, n. 1367; Sez. I, 29 gennaio 2008, n. 12954; Sez. V, 17 settembre 2008, n. 44712).

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