domenica 31 ottobre 2010

Termine di costituzione per l'opponente e overruling

 
A parte un unico risalente precedente, rimasto assolutamente isolato (Cass. 10 gennaio 1955, n. 8), la giurisprudenza della Corte di Cassazione (su cui v. Corte Cost., ordinanza 22 luglio 2009, n. 230) è stata costante e granitica nell’affermare che i termini di costituzione dell’opponente si dimezzano ex lege solo se vengono ridotti i termini a comparire dell’opposto (volontariamente o involontariamente).
Con sentenza 9 settembre 2010, n. 19246, le Sezioni Unite hanno, come noto, voltato pagina. Ritengono le sezioni unite che ”esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad affermare che non solo i termini di costituzione dell'opponente e dell'opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all'opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l'opposizione sia sfata proposta, in quanto l'art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire siano ridotti a metà.
Nel caso, tuttavia, in cui l'opponente assegni un termine di comparizione pari o superiore a quello legale, resta salva la facoltà dell'opposto, costituitosi nel termine dimidiato, di chiedere l'anticipazione dell'udienza di comparizione ai sensi dell'art. 163 bis, comma 3”.
Con la decisione succitata le Sezioni Unite hanno innescato il fenomeno del cd. overruling: un cambiamento delle regole del gioco a partita già iniziata e dunque una somministrazione al giudice del potere-dovere di giudicare dell’atto introduttivo in base a forme e termini il cui rispetto non era richiesto al momento della proposizione della domanda. Non ogni mutamento di giurisprudenza integra il fenomeno dell’overruling che presuppone tre requisiti, restando fermo, in linea di principio, che la norma di legge non ha efficacia retroattiva, a differenza dell'interpretazione giurisprudenziale:
   1. deve trattasi di norme processuali (1);
   2. l'orientamento precedente della Corte di legittimità deve essere assolutamente costante e granitico nel sostenere la tesi opposta;
   3. la nuova interpretazione deve essere in malam partem.
    (1) E non sostanziali: cfr. sul punto Cass. S.U. n. 21095/2004 in materia di capitalizzazione, come segnala il collega Cesare Trapuzzano, acuto studioso del Diritto processuale Civile.
Solo quando concorrano le tre condizioni può prospettarsi l’overruling. L’overruling rischia di compromettere le fondamenta stessa del processo perché la lite rischia di essere decisa applicando una regola procedimentale non prevedibile al tempo della instaurazione della controversia. In effetti, le Sezioni Unite, nella sentenza del 9 settembre 2010, non hanno mai detto che il nuovo principio si applica alle controversie pendenti: è ai giudici di merito che viene rimessa la soluzione concreta dei problemi sollevati dall’overruling. Eventuali applicazioni ai giudizi pendenti della nuova regola nomofilattica sono da ascrivere all’operato del singolo giudice di merito e non delle Sezioni Unite. Ad ogni modo, i giudici di merito già intervenuti, in vario modo hanno escluso che il nuovo principio possa compromettere i procedimenti in corso.

Giuseppe Buffone (da Altalex del 29.10.2010)

sabato 30 ottobre 2010

L’Unione Camere Civili contro l’avvocato-dipendente

 
Anche l'Unione nazionale delle Camere civili si è espressa contro l'abolizione dell'incompatibilità tra la libera professione di Avvocato e il lavoro dipendente presso imprese private.

COMUNICATO STAMPA del 27.10.2010

La Giunta Esecutiva dell’Unione Nazionale delle Camere Civili
preso atto
che in data 21 ottobre 2010 il Senato ha approvato un emendamento all’art.17 del disegno di legge di riforma dell’Ordinamento della Professione Forense, con il parere favorevole del Governo, con il quale è stata abolita l’incompatibilità tra la libera professione di Avvocato e il lavoro dipendente presso imprese private
esprime
il proprio fermo ed incondizionato dissenso:
in ordine all’emendamento approvato che incide gravemente e compromette l’autonomia e l’indipendenza della professione forense stante l’assoluta mancanza di decisione autonoma e libera dell’avvocato-dipendente,
produce effetti negativi per l’Amministrazione della Giustizia che sarebbe sommersa da uno spropositato aumento del contenzioso
incide in maniera negativa sugli equilibri economico finanziari della Cassa di Previdenza Forense, ente privatizzato completamente autonomo, autofinanziato e autogestito dagli Avvocati,
invita
il Parlamento a riesaminare la norma in perfetta autonomia senza condizionamenti provenienti dal mondo dell’imprenditoria, garantendo il buon funzionamento della Giustizia e la sopravvivenza della libera Avvocatura.

Mediazione obbligatoria, un giudizio negativo

Estratto da un articolo del dott. Vito Meltonese
(da Overlex del 30.10.2010)

Ritengo di poter esprimere un giudizio negativo riguardo il procedimento della mediazione obbligatoria che, nel confronto con l’esperienza pratica, avrà come unico effetto quello di prolungare ulteriormente i tempi del contenzioso.
Infatti, non si comprende perché mai il Legislatore, in ottica deflativa, continui ad introdurre riforme sul piano sostanziale disseminando sempre più l’iter verso la soluzione stragiudiziale della controversia di tentativi di conciliazione, quasi come se il cittadino non avesse più la libertà di ottenere una riparazione giudiziale del torto subito ma dovesse necessariamente conciliare.
Pertanto, ritengo che il procedimento di mediazione obbligatoria è in evidente contrasto con l’art. 24 Cost. in quanto la parte deve essere libera sempre e comunque di agire in giudizio e lo Stato dovrebbe mettere a disposizione dei suoi cittadini strutture idonee ad ottenere giustizia in un arco temporale ragionevole.
Per questo, credo che non si dovrebbe più intervenire sul “piano sostanziale” della struttura del processo, passando ad interventi significativi sul “piano strutturale”, cioè incrementando il numero degli Uffici Giudiziari e soprattutto aumentando il numero dei Magistrati che compongono le piante organiche di tali Uffici.
A ciò si aggiunga che, la direttiva Comunitaria è stata recepita in senso distorto nel nostro ordinamento in quanto, il D. Lgs. n. 28/2010 ne tradisce lo spirito di favore verso la conciliazione poiché introduce dei meccanismi, come quello in materia di spese, che inducono la parte a vedere nella conciliazione, non uno strumento alternativo di risoluzione della disputa, ma un vero e proprio “obbligo” a fronte dell’alea e delle lungaggini del giudizio e del rischio di subire gravi sanzioni processuali.
Dott. Vito Meltonese

Il presidente del Cnf Alpa ha incontrato il ministro Alfano


Comunicato Stampa del 27.10.2010

Il presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa è stato ricevuto oggi dal ministro della giustizia, Angelino Alfano, al quale Alpa ha rappresentato i risultati della elezione odierna del nuovo ufficio di presidenza del Cnf nella composizione rinnovata per il triennio 2010-2013.
L’incontro è stata occasione per fare il punto sui dossier che stanno a cuore all’avvocatura. Il presidente del Cnf ha ribadito la richiesta di portare a termine l’iter di approvazione della riforma forense, richiesta alla quale il ministro ha corrisposto confermando il suo impegno a sollecitare il Senato ad accelerare i tempi della discussione del disegno di legge.
L’obiettivo sarebbe quello di approvare il testo entro metà novembre. Il guardasigilli si è dichiarato disponibile a valutare l’opportunità di procedere all’aggiornamento delle tariffe forensi, ferme al 2004 (il rinnovo dovrebbe essere biennale) ed a inserire una nuova voce tariffaria per premiare le conciliazioni promosse dagli avvocati.
Oggetto dell’incontro anche la questione, tecnica ma dai risvolti perniciosi, dei termini di costituzione nelle opposizioni ai decreti ingiuntivi dopo la sentenza delle sezioni unite della Cassazione, la cui applicazione sta falcidiando le opposizioni. “Il ministro”, ha riferito Alpa “si è riservato di valutare la presentazione di un disegno di legge ad hoc”.

Claudia Morelli - Responsabile Comunicazione e rapporti con i Media Cnf

In caso di sinistro anche l'utilizzatore del veicolo può chiedere i danni

 
Cassazione civ. sez. III, sent. 12.10.2010 n° 21011

Anche l'utilizzatore dell'automobile in leasing è legittimato attivamente a chiedere il risarcimento dei danni in caso di incidente stradale, sempre che dimostri la sussistenza del titolo in virtù del quale è tenuto a tenere indenne il proprietario e che l'obbligazione scaturente da quel titolo sia stata già adempiuta. E’ quanto ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza 12 ottobre 2010, n. 21011.
Come sostenuto dalla giurisprudenza dominante, richiamata dal giudice nomofilattico nella sentenza che si annota, “in tema di legittimazione alla domanda di danni, deve ritenersi che il diritto al risarcimento può spettare anche a colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa e, dal danneggiamento di questa, possa risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale, che egli abbia all'esercizio di quel potere. E' dunque tutelabile in sede risarcitoria anche la posizione di chi eserciti nei confronti dell'autovettura danneggiata in un sinistro stradale una situazione di possesso giuridicamente qualificabile come tale ai sensi dell'art. 1140 c.c.”.
Nella fattispecie, in applicazione di tale principio, viene cassata la decisione con cui i giudici territoriali avevano ritenuto che la legittimazione attiva a chiedere i danni da sinistro stradale, in caso di locazione finanziaria, spettasse unicamente alla società di leasing.
La legittimazione dell'utilizzatore era ancor più evidente dalla presenza di una lettera del concedente che autorizzava espressamente l’utilizzatore a richiedere il risarcimento del danno alla controparte ed alla compagnia di assicurazione.

(Da Altalex, 26.10.2010. Nota di Simone Marani)

venerdì 29 ottobre 2010

L’OUA impugna al Tar Lazio regolamento su mediaconciliazione


Giustizia civile, l'OUA impugna al Tar del Lazio
il regolamento attuativo sulla mediaconciliazione e gli atti connessi

COMUNICATO STAMPA del 29.10.2010

"Obbligatorietà e presenza necessaria dell'avvocato, i nodi irrisolti di un regolamento attuativo che rende manifesta la palese incostituzionalità del decreto legislativo". Così Maurizio de Tilla spiega le ragioni dell’impugnazione al Tar del Lazio del regolamento attuativo per la mediaconciliazione obbligatoria.
“Le ragioni della nostra ferma opposizione sono ampiamente note, purtroppo però le  richieste di modifica del decreto avanzate dall’Oua, recependo le osservazioni e le forti critiche di tutta l’avvocatura, sono rimaste senza ascolto. Il regolamento attuativo acuisce ulteriormente i nodi irrisolti e dimostra la scarsa attenzione politica dei nostri interlocutori. Tra gli ulteriori aspetti negativi la previsione di un regime transitorio per mettere a regime nuovi e vecchi conciliatori e l’apertura anche ai laureati triennali per esercitare questa funzione di grande delicatezza. La filosofia di fondo sembra essere: tutti conciliatori a scapito di qualunque requisito di selezione e qualità.
L’impugnazione è un atto necessario! L’OUA solleverà la questione di incostituzionalità della mediaconciliazione obbligatoria e della mancata previsione dell’assistenza legale con evidente violazione dell’art. 24 della Costituzione.
Allo stesso tempo cogliamo ancora una volta l’occasione per fare un plauso alla presentazione da parte del senatore Benedetti Valentini di un ddl che, invece, raccoglie le nostre preoccupazioni e modifica il decreto legislativo a tutela dei cittadini e per garantire un reale funzionamento dell’istituto della mediazione”.

Pagamento contravvenzione in misura ridotta, precluse pretese civilistiche

Cassazione civile sez. II, sent. 6.8.2010 n. 18457

"Il c.d. ‘pagamento in misura ridotta’ di cui all'art. 202 C.d.S., corrispondente al minimo della sanzione comminata dalla legge, da parte di chi ad esso sia tenuto in quanto autore della violazione o proprietario del veicolo, implica necessariamente l'accettazione della sanzione e, quindi, il riconoscimento, da parte dello stesso, della propria responsabilità e, conseguentemente, nel sistema delineato dal legislatore anche ai fini di deflazione dei processi, la rinuncia ad esercitare il proprio diritto alla tutela amministrativa o giurisdizionale, quest'ultima esperibile immediatamente anche avverso il suddetto verbale ai sensi dell'art. 204 bis C.d.S., qualora non sia stato effettuato il suddetto pagamento. L'intervenuta acquiescenza da parte del contravventore conseguente a tale sopravvenuto rituale pagamento preclude, inoltre, allo stesso l'esercizio di eventuali pretese civilistiche, quali la ‘condictio indebiti’ e ‘actio damni’ riconducibili all'avvenuta contestazione delle violazioni al C.d.S. per le quali si sia proceduto a siffatto pagamento con effetto estintivo della correlata pretesa sanzionatoria amministrativa (e pluribus, Cass. 19.3.07 n. 6382)".

CNF, Guido Alpa confermato presidente

Mercoledì 27 ottobre Guido Alpa è stato confermato presidente del Consiglio nazionale forense.
Il nuovo ufficio di presidenza è completato dai vicepresidenti Ubaldo Perfetti e Carlo Vermiglio, dal segretario Andrea Mascherin e dal tesoriere Lucio del Paggio.

Srl: valida notifica avviso accertamento fiscale al consulente

La Cassazione con sentenza n. 21942 del 27 ottobre 2010 ha ribadito che è valida la notifica di avviso di accertamento fiscale fatta al consulente della società nella sede operativa.
Una società a responsabilità limitata a seguito della notifica dell’avviso di accertamento nelle mani di un suo consulente ha presentato ricorso in Cassazione per eccepire l’invalidità della notifica per il fatto che il consulente, che ha ricevuto l’avviso, non era legato alla s.r.l. da un rapporto di lavoro stabile.
La richiesta della società era stata rigettata dal giudice di primo grado e successivamente dalla Corte d’Appello.
La Cassazione ha confermato quanto stabilito dai giudici di merito sottolineando che “ il trasferimento della sede legale, se non reso noto con pubblicazione, rende valida la notifica effettuata nel vecchio indirizzo” precisando che “il soggetto ivi presente - (nel vecchio indirizzo) - che riceve l’atto, è legittimato a farlo per il solo motivo di essere presente in sede, anche se non ha un rapporto di lavoro con la società destinataria”.

(Da Avvocati.it del 29.10.2010)

Esame avvocato, la valutazione negativa va motivata

 
Anche per l’esame di avvocato come per quello di notaio la valutazione negativa va sempre motivata.
E’ questo il principio con cui il TAR Catania, con sentenza 14 ottobre 2010, n. 4200 ha accolto il ricorso proposto dal ricorrente avverso il provvedimento di non ammissione alle prove orali dell’esame di abilitazione alla professione forense.
In particolare, per il TAR etneo l’art. 12, comma 5, del Decreto Legislativo di disciplina delle modalità di svolgimento delle prove orali del concorso notarile, secondo cui “La mancata approvazione è motivata. Nel caso di valutazione positiva il punteggio vale motivazione”, ancorché riferito al concorso di notaio, va considerato come espressione del principio di trasparenza dell’attività della pubblica Amministrazione sancito, a livello normativo, dall’art. 3 della Legge n. 241/1990 e, ancora prima, dall’art. 97, comma 1 della Costituzione, la cui valenza deve essere estesa a qualsiasi procedimento concorsuale e quindi anche a quella relativa agli esami di avvocato.
Di conseguenza, il TAR adito ha ordinato alla Commissione, in diversa composizione, di ricorreggere entro 30 gg gli elaborati del ricorrente.

(Da Altalex, 25.10.2010. Nota di Alfredo Matranga)

Licenziata dalla commissione Giustizia la riforma forense


Atteso per la prossima settimana l'ok dell'Aula.
Non si placano, intanto, le polemiche sull'avvocato lavoratore dipendente
di Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti 28.10.2010)

"Confido che la prossima settimana l'Aula del Senato possa finalmente approvare questa riforma attesa da circa settanta anni ed auspicata dagli oltre duecentomila Avvocati italiani". Così il presidente della commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli (Pdl), dopo che è  stato licenziato per l'Aula il disegno di legge di riforma della professione forense.
Polemiche sulla compatibilità tra la libera professione e lavoro subordinato dell’avvocato introdotta con un emendamento dall’Aula di Palazzo Madama.
“Consentire ad un lavoratore dipendente di esercitare la professione forense – ha dichiarato il Presidente dell’Aiga, Giuseppe Sileci – è un terribile attacco alla libertà e all'indipendenza dell'Avvocatura. L’avvocato, nell’interesse superiore della Giustizia, deve essere sempre libero di accettare, rifiutare o rinunciare agli incarichi professionali, di assumere in autonomia le strategie processuali ritenute più adeguate, di non subire condizionamenti esterni nello svolgimento del suo mandato. Tali prerogative, assolutamente irrinunciabili, sono incompatibili con ogni forma di lavoro subordinato.
Ancora una volta la politica – ha proseguito Sileci – si è piegata ai forti poteri economici, perché l’unica conseguenza dell’emendamento approvato sarà quella di imbavagliare il Libero Foro e di ridurre l’avvocatura al servizio della grande industria, delle banche e delle assicurazioni private. Tutto ciò comporta lo svilimento dei valori fondanti della professione forense, la negazione degli obblighi deontologici degli avvocati, un vero e proprio tradimento delle istanze di Giustizia dei cittadini.I Giovani Avvocati – ha concluso Sileci – non resteranno in silenzio dinanzi a questo scempio e adotteranno tutti gli strumenti di contrasto dinanzi a questa iniziativa legislativa”.

giovedì 28 ottobre 2010

Omicidio Pallini: la causa si può perdere, la testa no

La terribile notizia di un avvocato che viene freddato nel proprio studio a colpi di pistola non può lasciarci indifferenti. A maggior ragione se si tratta di un civilista, che generalmente ha a che fare con giudizi riguardanti diritti patrimoniali e risarcimenti danni, e con clienti che potrebbero perdere la causa, ma non per questo la testa.
Ieri pomeriggio, verso le ore 16, il collega Massimo Pallini, 49 anni lo scorso Agosto, è stato ucciso con quattro colpi di pistola dal 62enne Natalino Di Mambro, per motivi legati ad un’asta giudiziaria: l’assassino, costituitosi in serata, imputava all’avvocato l’aver perduto parte del suo patrimonio. Ha chiesto alle altre persone in sala d’aspetto di passare avanti per avere un’informazione veloce al Pallini, ed invece l’ha ammazzato.
Ha affermato Giuseppe Di Mascio, presidente dell'Ordine degli avvocati di Cassino: "Si tratta di un gesto inspiegabile che getta paura un po' su tutti gli avvocati di Cassino, ma anche d'Italia. Non è la prima volta che accade un episodio violento del genere nei confronti di un avvocato". A lui fa eco Giuseppe Sileci, presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati: “Ancora un altro avvocato è stato barbaramente ucciso. Siamo vicini ai familiari della vittima, ma ci sentiamo anche noi stessi vittime indirette di un mondo, in cui la tutela dei diritti ci fa sentire sempre più in prima linea".
Nessuno potrà restituire Massimo alla moglie ed al figlioletto. Ma l’episodio, che sembrerebbe superfluo stigmatizzare, impone una riflessione su una vicenda che sta cominciando a ripetersi in maniera preoccupante.
Anche l’AGA desidera esprimere il proprio cordoglio ai familiari dell’avvocato Pallini ed ai colleghi di Cassino.

mercoledì 27 ottobre 2010

Il paradosso della rilevanza dei praticanti legali per l’Irap

 
Nota a Cass. Sez. Tributaria, Sent. 20.10.2010, n. 21563
Dott.ssa Licia Gulotta

Con la recentissima sentenza n. 21563 depositata lo scorso 20 ottobre, la Corte di cassazione, sezione Tributaria, ha stabilito che sia soggetto ad Irap l’avvocato che, nell’esercizio della sua attività professionale, si avvalga della collaborazione di un praticante, ancorchè “part-time”.
Secondo l’ormai consolidato orientamento espresso dalla Suprema Corte (v. ex multis sent. 3672/2007)  il presupposto impositivo dell’Irap, costituito dalla sussistenza di un’autonoma organizzazione in capo al professionista, deve ritenersi soddisfatto quando il contribuente sia responsabile della propria struttura organizzativa, impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, ovvero si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
Sotto quest’ultimo aspetto, i giudici di legittimità, con la richiamata sentenza n. 21563/2010 hanno ritenuto che la circostanza che l’avvocato si sia avvalso di un lavoratore dipendente, ancorchè ci si riferisca ad “una sola apprendista part time”, sia indice di quell’autonoma organizzazione individuata quale premessa ai fini impositivi.
Sul punto, va preliminarmente osservato che il ragionamento della Suprema Corte appare, in effetti, incensurabile. La presenza, infatti, di un collaboratore non occasionale che presti la propria opera a supporto del contribuente costituisce certamente un elemento aggiuntivo rispetto all’opera personale dell’avvocato, e come tale è indice di una - seppur ridotta - organizzazione professionale eccedente il “minimo indispensabile” individuato quale requisito ai fini Irap.
Tuttavia, così come appare indubbio che un praticante avvocato inserito nella struttura organizzativa del professionista e da questi regolarmente retribuito possa essere in tutto e per tutto assimilato ai fini impositivi ad un lavoratore dipendente, lascia invece altrettanto perplessi che tale equiparazione possa avvenire anche nei confronti di quella grande maggioranza di tirocinanti che sono soliti prestare la propria collaborazione in difetto di qualsivoglia riconoscimento, sia sotto il profilo dell’inserimento  nell’organizzazione del dominus, sia, soprattutto, sotto l’aspetto economico.
Se, infatti, prima della sentenza esaminata, la presenza di dipendenti regolarmente assunti con un contratto di lavoro subordinato soddisfava indubbiamente quel requisito organizzativo sopra individuato dalla giurisprudenza ai fini Irap, la collaborazione di un tirocinante, di fatto, poteva non essere ritenuta tale.
Con la sentenza in esame, la Suprema Corte, al di là, forse, dei propri intenti, ha posto le basi per la costruzione di un valido punto di partenza affinchè i praticanti avvocati che prestino in maniera stabile e continuativa la propria opera nei confronti del dominus possano essere effettivamente assimilati, quantomeno sotto il profilo contributivo, a lavoratori dipendenti.
Lo spunto offerto dalla sentenza emessa ai fini tributari, consente, infatti, di compiere una breve riflessione sul paradosso relativo alla presenza, all’interno delle organizzazioni professionali degli avvocati, di numerosi praticanti privi di un seppur minimo riconoscimento contrattuale ed economico ma che, di fatto, svolgono mansioni in tutto e per tutto equiparabili ad un lavoratore dipendente.
In Italia infatti, la legge professionale (v. art. 17  del Regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578) prescrive l’obbligatorietà dello svolgimento di due anni di pratica forense, in relazione alla quale molti regolamenti attuativi della medesima normativa prevedono, trascorso un iniziale periodo di prova, il riconoscimento di un equo compenso a favore del tirocinante.
Nella prassi, tuttavia, si registra che non sempre al praticante viene riconosciuta una gratificazione economica a fronte della collaborazione prestata e, anche nelle ipotesi in cui questa venga corrisposta all’apprendista, difficilmente risulta equiparabile ad un salario, senza contare l’assoluta assenza di previsioni contributive e previdenziali, con la conseguenza che oggi, molto spesso, il praticante è, di fatto, un volontario.
Senza voler cadere in uno sterile processo alle intenzioni, occorre, infatti, osservare che, sulla base di tali presupposti, risulta difficile credere che un avvocato non trovi più vantaggioso il ricorso alla collaborazione di un praticante avvocato anziché di un impiegato, ciò non solo sotto il profilo del minor esborso retributivo, bensì anche dal punto di vista contributivo e, come si è visto, fiscale.
La recente pronuncia della Suprema Corte, sebbene abbia accennato la questione esclusivamente sotto il profilo impositivo, ha toccato un argomento molto sentito dalla nuova generazioni di aspiranti avvocati, a favore dei quali si auspica che nell’annunciato progetto di riforma dell’ordinamento forense - tra il previsto irrigidimento delle modalità di accesso alla professione e la creazione dell’ “avvocato specializzato”  - trovi spazio anche la situazione relativa al riconoscimento contrattuale dei praticanti avvocati, considerato che, allo stato attuale, senza il loro apporto molti studi legali avrebbero problemi ben più gravi del contestato pagamento dell’odiata Irap.

(Da Filodiritto del 26.10.2010)

Impianti di telefonia mobile: il Comune non può vietarne l’installazione


Con sentenza n. 7588 del 20 ottobre 2010, il Consiglio di Stato ha stabilito che gli impianti di telefonia mobile possono essere collocati anche fuori dai siti prestabiliti dal comune, se servono a garantire l’intera copertura per l’irradiazione del segnale.
Un comune della provincia di Padova si è rivolto al Consiglio di Stato dopo che il Tar aveva annullato il suo rifiuto di autorizzazione alla costruzione di un ripetitore di telefonia cellulare.
I giudici amministrativi di primo grado avevano stabilito che “la selezione di aree nel cui ambito localizzare gli impianti di telefonia mobile non assume carattere tassativo e non preclude - proprio in relazione alla peculiarità degli impianti di telefoni cellulare ed all'esigenza sul piano tecnico, per la bassa intensità del segnale irradiato, di una loro capillare ed organica distribuzione sul territorio - la possibilità di installazione anche al di fuori dei siti a ciò appositamente individuati”.
Nel caso in questione l’ente locale avrebbe dovuto considerare anche l’esigenza di garantire ai cittadini un'adeguata copertura del servizio  e non limitarsi alla mera ricognizione del piano regolatore.
Il Collegio amministrativo sostenendo le tesi del Tar Veneto ha quindi confermato  l’illegittimità del divieto generalizzato di costruire impianti al di fuori dalle aree individuate dal piano regolatore.

(Da Avvocati.it del 27.20.2010)

Cass. 9.9.2010 e Trib. Marsala, remissione in termini

Tribunale Marsala, ordinanza 20.10.2010

Il principio di irretroattività del diritto vivente (c.d. overruling), tipico degli ordinamenti di Common Law, postula il carattere costitutivo e vincolante delle pronunzia delle Corti Superiori (c.d. principio dello “stare decisis verticale”), invero non operante nel nostro ordinamento, ove ogni giudice è libero di interpretare secondo la propria discrezionalità la disposizione di legge, anche discostandosi (pur motivatamente) dalle posizioni della Suprema Corte.
Pertanto la violazione dei termini di costituzione da parte dell’opponente (per come detto dalle Sezioni Unite, sentenza 09.09.2010 n° 19246) non potrà mai stimarsi valida sulla scorta del principio tempus regit actum, il quale assume quale unico parametro di riferimento il diritto positivo codificato e non anche quello vivente.
Lo strumento necessario per far salve le ragioni di giustizia sostanziale che sottendono ai riferiti principi di marca costituzionale ed internazionale devono essere ricercati altrove: possono essere identificati nell’istituto ex art.153 c.p.c. , il quale consente di rimettere in termini la parte che abbia incolpevolmente violato un termine perentorio.

(Fonte: Massimario.it - 35/2010)

L’OUA: “Questa mediaconciliazione danneggia i cittadini e non riduce il contenzioso”

Comunicato Stampa OUA del 26.10.2010

«E’ stato varato un sistema di mediaconciliazione per la risoluzione delle controversie giudiziari nel civile che colpisce il diritto ad un ‘servizio-giustizia’ efficiente e celere: i cittadini, se non si interviene con adeguate modifiche, subiranno con certezza gravissimi pregiudizi in aspetti importanti della vita di tutti i giorni. Il decreto legislativo, oltretutto, come autorevolmente sostenuto da molti giuristi, è pale-semente incostituzionale. È, quindi, particolarmente importante la presentazione da parte del Senatore Domenico Benedetti Valentini di un disegno di legge che interviene proprio sui nodi denunciati dall’Oua».
Così Maurizio de Tilla, presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, ribadisce le critiche al sistema di mediaconciliazione obbligatoria e accoglie, con favore, la presentazione di un ddl che recepisce buona parte delle proposte avanzate dall’Oua per correggere il decreto legislativo, tenendo anche conto delle indicazioni degli organismi europei: «Si sono ignorati i contenuti della Direttiva Europea in materia – aggiunge il presidente Oua – e la mediaconciliazione obbligatoria contravviene a principi elementari di diritto perché determinerà: un più difficile accesso alla giurisdizione da parte del cittadino; un ulteriore dilatamento dei tempi (almeno un anno) per la presentazione della richiesta di giustizia al giudice; un aumento degli oneri e una lievitazione dei costi, tutti a carico del cittadino. Non solo: perché costituirà un ulteriore strumento dilatorio per la parte inadempiente che non ha alcuna volontà di conciliare la lite; perché appare, sul piano sistematico, in totale disarmonia con aspetti processuali e tecnici con l’effetto perverso di un probabile corto circuito per innumerevoli domande».
«Non si prevede l’assistenza necessaria dell’avvocato – continua - ma non solo: si pone il legale in una situazione di sfiducia e di sospetto prescrivendo una obbligatoria dichiarazione scritta del cliente sull’avvenuta informativa; si fissa la mediaconciliazione obbligatoria per più dell’ottanta per cento dei processi, che rimarranno, di conseguenza, paralizzati almeno per un anno, con ulteriore discredito della giustizia e, quindi, dell’avvocatura; non si individua nel mediatore un soggetto dotato di preparazione giuridica; infine si affida a questa imprecisata figura professionale il potere di formulare un progetto di accordo che, se non viene accettato, può produrre effetti penalizzanti per la difesa giudiziaria del cittadino».
In questo quadro l’OUA accoglie con favore il disegno di legge n. 2329 di iniziativa del senatore Benedetti Valentini comunicato alla presidenza del Senato il 15 settembre 2010 che contiene modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28. Ecco i nodi sui quali vengono a cadere le previste modifiche normative:
a) norme più stringenti per garantire la terzietà, indipendenza e imparzialità dei mediatori e degli organismi di mediazione;
b) facoltatività del ricorso alla mediazione pregiudiziale, con abbandono della formula dell’obbligatorietà (condizione di procedibilità).
c) previsione di eventualità della formulazione della proposta conciliativa e norme più «garantiste» riguardo alla situazione conseguente al mancato verificarsi dell’accordo;
d) necessaria individuazione, con criteri territoriali «classici», degli organismi di mediazione da adire.
e) previsione della necessità dell’assistenza di un avvocato, sia nella presentazione dell’istanza di mediazione, sia in tutto il corso della fase.
f) norme di coordinamento, funzionale e temporale, per i casi in cui l’opportunità della media-zione si profili a causa già pendente oppure si imponga per dettato contrattuale o statutario, casi nei quali opera la «condizione di procedibilità»;
g) norme più rigorose in materia di riservatezza e divieto di deposizione su tutto ciò di cui si è avuta conoscenza in occasione della mediazione;
h) norme più convincenti in fatto di formulazione delle proposte conciliative, conseguenze della mancata partecipazione dei soggetti coinvolti, rilievo delle proposte formulate e accettate o disattese ai fini e per gli effetti delle spese processuali;
i) esplicita previsione della responsabilità solidale dell’organismo con il singolo mediatore per i danni derivanti dal mancato rispetto degli obblighi;
l) ragionevole dilazione del momento di entrata in vigore della nuova normativa.
Il presidente dell’Oua su alcuni dei punti in questione ha voluto ribadire l’importanza dell’intervento correttivo previsto nel progetto di legge Benedetti Valentini. Per esempio sull’abbandono della formula dell’obbligatorietà.
«Tale fondamentale mutamento – spiega - conforme del resto al parere che era stato espresso dalla Commissione giustizia del Senato, rende l’istituto più compatibile con il dettato costituzionale e con la lettera e lo spirito della stessa legge di delega. È parere pressoché unanime degli operatori del diritto che, restando alla formula dell’obbligatoria condizione di procedibilità, non solo non verrebbero conseguiti gli scopi di fluidificazione e decongestionamento, ma si darebbe luogo ad un vero e proprio ‘quarto grado’ di giudizio, senza tacere degli oneri aggiuntivi che finirebbero per gravare su chi ha necessità di adire la giustizia e della formidabile struttura parallela che si andrebbe a dover allestire sul territorio con problemi pratici devastanti e costi rilevantissimi che, ancora una volta, a valle della «filiera» farebbero capo agli utenti. La verità è che il buon destino della ‘mediazione’ è legato al diffondersi di una cultura conciliativa, di una mentalità pratica e risolutiva che, particolarmente nell’immensa area del contenzioso civile e commerciale, può ben condurre alla scelta spontanea del componimento precontenzioso non di tutte, ma di una buona parte della controversie. L’imposizione per legge di una siffatta fase comporta invece, com’è facile prevedere, effetti perversi e probabilmente controproducenti».
Importante anche la necessaria individuazione, con criteri territoriali ‘classici’, degli organismi di mediazione.
«Conosciamo le obiezioni al riguardo – ammonisce il presidente Oua - ma prevalgono le preoccupazioni per la indispensabile tutela della «parte più debole». E` facilmente immaginabile cosa rischia di accadere, specie in presenza di mediazione concepita obbligatoria, nelle controversie tra privati e grandi gruppi economici, estensori generalmente di contratti-tipo praticamente ineludibili e non seriamente negoziabili nelle clausole, anche onerose! Peraltro abbiamo previsto la possibilità che le parti concordino di derogare alle regole territo-riali e si rivolgano a qualsiasi altro organismo, purché ciò avvenga con pattuizione di epoca successiva all’insorgere della controversia».
Infine la previsione della necessità dell’assistenza di un avvocato, sia nella presentazione dell’istanza di mediazione, sia in tutto il corso della fase.
«Il dibattito sul punto – conclude de Tilla  - ha permesso a tutti di rendersi conto che la logica e le conseguenze del procedimento mediatorio sono delicatissime e rendono imprescindibile l’assistenza tecnico-giuridica. Ciò, in ogni caso. Quando poi si dovesse restare al sistema presentemente decretato, vale a dire alla ‘condizione di procedibilità’ e alle conseguenze della fase mediatoria su quella del giudizio attualmente disegnate, sull’indispensabilità dell’avvocato è perfino superfluo discutere, in termini pratici, funzionali e costituzionali. Aggiungasi che non è minimamente accettabile una sorta di ‘sfiducia’ strisciante nei confronti del ruolo conciliativo dell’avvocato, posto che da gran tempo qualsiasi avvocato, financo di principiante professionalità, esperisce ogni tentativo di tutela extra e pregiudiziale del cliente prima di passare al contenzioso giudiziario; consapevole che questa è la strada migliore per propiziare interessi e ragioni della parte, ma tutto sommato (e contrariamente a molte, obsolete convinzioni volgari) anche le proprie aspettative professionali».

martedì 26 ottobre 2010

Inammissibile il ricorso contro i provvedimenti adottati nell’interesse del minore

 
La Cassazione con sentenza n. 21718 ha dichiarato inammissibile il ricorso di una madre contro l’ammonizione disposta nei suoi confronti dal giudice della separazione.
Nel caso in questione, una madre affidataria del figlio minore, aveva trasferito la sua residenza e quella del bambino in un diverso comune ed il padre aveva chiesto al giudice di ammonirla ai sensi dell’articolo 709 ter del codice di procedura civile. Tale richiesta respinta dal giudice di primo grado è stata poi accolta dalla Corte d’Appello, che oltre ad ammonire la donna sanciva anche l’affido condiviso del minore.
La decisione della Corte è stata confermata dalla Suprema Corte, i giudici di merito hanno infatti ricordato che l’articolo 709 ter del c.p.c., introdotto dalla legge n. 54 del 2006, ha fornito al giudice un nuovo strumento per risolvere i conflitti tra genitori sui “figli contesi”.
I giudici hanno poi dichiarato che “tali provvedimenti non sono suscettibili di impugnazione in questa sede, in quanto meramente sanzionatori e privi del carattere della decisorietà”.

(Da Avvocati.it del 26.10.2010)

lunedì 25 ottobre 2010

Danno da incidente nel tragitto casa-lavoro, contrasto della Cassazione

Confusione in tema di indennizzo per infortunio in itinere. La giurisprudenza di legittimità, infatti, con due sentenze depositate a distanza di pochi giorni l'una dall'altra, è pervenuta a soluzioni opposte, rendendo più difficoltoso il riconoscimento dell'indennità.
Se il luogo del sinistro si trova ben al dì fuori, rispetto all'itinerario che il soggetto avrebbe dovuto seguire per recarsi sul luogo di lavoro, l'incidente non va indennizzato. Secondo la prima sentenza della Corte di Cassazione, sentenza 21 settembre 2010, n. 19937 infatti, il danneggiato perderebbe tale diritto perché non ha seguito il percorso più breve.
Dopo soli tre giorni di distanza la Suprema Corte muta indirizzo. Infatti, con la sentenza 24 settembre 2010, n. 20221 viene riconosciuta la copertura assicurativa all'infortunato anche se la strada percorsa non è stata la più breve, ma la più comoda e conveniente.
Nella prima decisione, il giudice nomofilattico ha accolto la tesi dei giudici territoriali secondo i quali l'infortunio non è indennizzabile se luogo del sinistro si trova «fuori rotta» rispetto all'itinerario che il danneggiato avrebbe dovuto intraprendere per raggiungere la sede di lavoro.
Di segno opposto la sentenza 24 settembre 2010, n. 20221. Precisano gli ermellini che con il termine “rischio effettivo”, capace di escludere la c.d. “occasione di lavoro”, si deve intendere una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa o ad essa riconducibile, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e a motivazioni del tutto personali, al di fuori dell’attività lavorativa e prescindendo da essa, idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività esercitata.
Sulla base di tale premessa, il giudice nomofilattico afferma come i giudici di merito avrebbero dovuto procedere ad una verifica della sussistenza del criterio della “normalità” della percorrenza dell’itinerario per raggiungere il posto di lavoro, con la conseguenza che anche la strada più comoda e conveniente, anche se non la più breve, utilizzata a tali scopi, ben può consentire l’indennizzo del lavoratore che, durante tale percorso, abbia subito un infortunio a seguito di incidente stradale.

(Da Altalex, 25.10.2010. Nota di Simone Marani)

domenica 24 ottobre 2010

Sileci: ridurre i tempi per gli avvocati è vessatorio


Il presidente dell’Aiga contro la recente sentenza degli ermellini

A proposito della recente sentenza n. 19246 del 9 settembre 2010, con cui le sezioni unite della Cassazione hanno introdotto un automatismo nella riduzione dei termini per la costituzione delle parti nei decreti ingiuntivi (col consequenziale rischio di numerose dichiarazioni di improcedibilità), il presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati, Giuseppe Sileci, parla di “introduzione di una norma vessatoria”.
«Si continuano a ridurre drasticamente i tempi degli avvocati, lasciando sempre lunghi quelli del deposito delle sentenze - lamenta giustamente Sileci - non c'è nessuna utilità nel dimezzare i termini per l'iscrizione al ruolo. Senza contare – aggiunge il presidente dell'Aiga con evidente senso pratico e polso della situazione - che il ‘taglio’ è stato fatto a prescindere dal peso che ha sulla tempistica il cattivo funzionamento degli uffici che molto spesso non restituiscono l'atto in tempo».

sabato 23 ottobre 2010

CIAVOLA ILLUMINANTE STAMANE, IL 20/11 PROSSIMO EVENTO

Eravamo circa in 170, stamattina, al Tribunale di Giarre, ad ascoltare la preziosa lezione sulla prova testimoniale nel processo civile tenuta dall'Avv. Antoni Ciavola, direttore della Scuola di formazione forense di Catania, e da noi non a caso ribattezzato Professor Occultis, in considerazione della solidità culturale e genialità espositiva con cui riesce a coinvolgere quanti hanno la ventura di ascoltarlo. 
Ricordiamo a soci e colleghi che il prossimo evento formativo organizzato dall'AGA si terrà Sabato 20 Novembre, sul tema: "I riti alternativi tra diritto e pratica". Relatore un altro collega che fa piacere ascoltare: l'Avv. Alfio Finocchiaro.

venerdì 22 ottobre 2010

Svaligiano casa Facebook, denuncia

 Palermo, la Procura apre un'indagine

Si era costruita la sua casetta su Facebook arredandola con l'idromassaggio e le conchiglie, il divano di marca e il tavolo da biliardo. E se l'è ritrovata vuota. Così Paola Letizia, 44 anni, di Palermo, ha sporto denuncia dopo che un ladro virtuale le ha letteralmente svaligiato la casa e la Procura di Palermo ha aperto un'indagine reale contro l'hacker che si è introdotto nell'abitazione per portarsi via tutti gli arredi.
La donna, che lavora al Pubblico registro automobilistico del capoluogo siciliano, si era sistemata la sua casa con uno dei giochi Facebook più praticati, "Pet society". Il suo appartamento Paola se l'era attrezzato con un'attenta ricerca nei negozi online, scegliendo accuratamente in lunghi ed elaborati shopping-tour nell'universo virtuale della Rete. E, dopo aver costruito il suo "capolavoro", se l'è ritrovato completamente distrutto in un batter d'occhio. Naturale che si sia sentita defraudata, senza il suo acquario, la parete attrezzata, gli specchi, i quadri sui muri, i tappeti e le tende.
Ecco dunque la denuncia, seguita dall'avvio dell'indagine. Adesso la polizia postale, come raccontano alcuni quotidiani, è la caccia del pirata che si è introdotto nell'account di posta elettronica della donna e le ha svaligiato'la casa virtuale. Se anche l'abitazione esiste solo sul social network, la protagonista la considera un'autentica proprietà. Erano sette stanze arredate in stile moderno con un gatto, anch'esso virtuale, che lei aveva chiamato Blue Cat, e che è rimasto solo nella grande casa vuota. Il ladro virtuale infatti ha lasciato alla padrona soltanto il micio.
Il pm Marco Verzera aveva chiesto l'archiviazione del caso, ma i legali si sono opposti e il gip Fernando Sestito ha imposto la continuazione delle indagini per "introduzione abusiva e aggravata" nella corrispondenza elettronica e nelle attività ad essa collegate: un reato punito con l'articolo 615 e che prevede una pena da uno a cinque anni. All'impiegata hanno rubato la password e violato l'account di posta elettronica, passaggio obbligato per andare alla casetta di Pet Society. Insomma, si tratta di un vero e proprio furto, perché l'hacker ha lavorato per ore per raggiungere il suo scopo, proprio come fanno i topi d'appartamento. "Per arredare la casa bisogna frequentare negozi virtuali - spiega Paola Letizia - di arredamento, abbigliamento, per articoli da regalo". Insomma, un lungo lavoro di ricerca andato perso. Che adesso Paola Letizia vuole vedere, in qualche modo, risarcito.

(Si ringrazia Service One per la segnalazione)

Inps: dal 25/10 bando per 400 avvocati per pratica forense


Un nuovo tassello si aggiunge alla riforma dell'Avvocatura dell'Inps.
Da lunedì 25 ottobre parte il nuovo bando per acquisire la disponibilita' di circa 400 candidati, per l'ammissione alla pratica forense presso le Avvocature territoriali dell'Inps, con le stesse modalità adottate per l'Avvocatura dello Stato.
Le domande - si legge in una nota - potranno essere presentate dagli interessati esclusivamente in via telematica, tramite il sito dell'Istituto (www.inps.it) dalle ore 9 del 25 ottobre alle ore 24 del 22 novembre 2010.
La via telematica è l'unica consentita per l'inoltro della richiesta; non sono ammesse modalità alternative: non verranno prese in considerazione le domande che perverranno tramite posta e non saranno accettate quelle consegnate a mano presso le strutture territoriali dell'Inps.
Per accedere al servizio on line gli interessati dovranno essere muniti di Pin o della carta nazionale dei servizi (Cns).
Tramite la procedura on line l'interessato potrà scaricare copia protocollata della domanda, attestante la ricezione della stessa da parte dell'Inps. Tale copia sarà disponibile entro le 24 ore successive alla presentazione della domanda.
Per garantire il massimo della partecipazione l'Istituto assicurerà un celere rilascio del Pin, sia nella modalità on line, sia presso le sedi.
Le Direzioni regionali dell'Inps predisporranno gli avvisi locali di competenza entro il 21 ottobre 2010, assicurando la pubblicazione del bando presso le sedi territoriali dell'Istituto e mediante invio ai consigli degli ordini degli avvocati territorialmente competenti, i quali provvederanno all'affissione nelle rispettive sedi e all'inoltro dell'informazione ai loro iscritti. In ogni avviso locale saranno indicati i posti disponibili.
La fase istruttoria regionale proseguirà con la verifica, formale e sostanziale, dei requisiti da possedere alla data di scadenza di presentazione delle domande (22 novembre 2010): 1) essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione Europea; 2) avere conseguito la laurea in giurisprudenza in Italia o all'estero purchè riconosciuta equipollente; 3) essere iscritto nel registro speciale dei praticanti presso il Consiglio dell'Ordine da non più di 12 mesi.
Una Commissione, appositamente costituita presso ciascuna sede regionale, verificata l'ammissibilità delle domande, valuterà l'idoneità dei candidati, sulla base dei criteri riportati nel bando e formerà la lista. A parità di punteggio sarà data preferenza alla minore età anagrafica.
Le liste definitive saranno pubblicate sul sito istituzionale dell'Istituto, con provvedimento del Direttore generale.

(Da Asca – Agenzia stampa quotidiana nazionale del 18.10.2010 - red-glr/cam/rob)

Alpa (Cnf): “Contrari all’iscrizione all’albo di lavoratori dipendenti”

Consiglio Nazionale Forense - Comunicato del 21.10.2010

“Apprendiamo con sorpresa che l’aula del senato oggi ha approvato un emendamento dell’opposizione, con parere favorevole del governo, che elimina la incompatibilità tra l’iscrizione all’albo forense e il rapporto di lavoro subordinato di natura privatistica”, commenta Guido Alpa, presidente del Consiglio nazionale forense.
“La nuova previsione travolge alcuni dei principi cardine della professione di avvocato quali quelli dell’autonomia e dell’indipendenza del professionista, peraltro ribaditi con forza dall’articolo 1 del disegno di legge. Nello specifico, la lettera c) e d) prevedono che l’ordinamento forense è teso a garantire “l’indipendenza e l’autonomia degli avvocati, indispensabili condizioni dell’effettività della difesa e della tutela dei diritti e “tutela l’affidamento della collettività e della clientela, prescrivendo l’obbligo della correttezza dei comportamenti e favorendo la qualità e l’efficacia della prestazione professionale”, ricorda Alpa.
“Non solo. La stessa previsione contrasta palesemente con lo spirito di una normativa improntata a garantire la qualità della prestazione professionale a esclusivo vantaggio dei cittadini. Non si vede infatti come un avvocato che svolga la propria attività nei ritagli di tempo lasciati disponibili dal suo lavoro dipendente, possa garantire adeguata e qualificata assistenza al proprio cliente”.

Claudia Morelli - Responsabile Comunicazione e rapporti con i Media

Riforma forense, reintrodotti minimi tariffari e divieto di patto quota lite

 
Passi avanti al Senato del ddl di riforma della professione forense. Oggi (ieri, ndr AGA) palazzo Madama  ha approvato i primi 15 articoli ma  il provvedimento torna per una settimana all'esame della commissione Giustizia del Senato, per 'approfondimenti e sfoltimento dei lavori', con l'intesa di una ripresa dei lavori in Aula il 2 di novembre per il voto finale entro venerdì 5 o anche prima. È questa la decisione della conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama che ha sancito la mediazione raggiunta dal presidente Schifani tra le richieste dell'opposizione (ritorno in commissione) e le istanze della maggioranza (rapida approvazione della riforma).  L'Assemblea ha anzitutto approvato, in un testo emendato, l'articolo 12 in tema di conferimento dell'incarico e tariffe professionali. In particolare si prevede la vincolatività e l'inderogabilità dei minimi tariffari e il divieto del patto di quota-lite, mentre i massimi tariffari possono essere derogati con accordo redatto per iscritto a pena di nullità. Successivamente, l'Assemblea ha accantonato l'articolo 13 che attiene alle modalità di perfezionamento del mandato professionale e reca la disciplina delle sostituzioni e delle collaborazioni. Viene sancita la natura personale dello svolgimento dell'attività professionale e quindi la responsabilità individuale dell'avvocato anche se componente di un'associazione o società e anche qualora l'avvocato si faccia sostituire o coadiuvare. Si precisa inoltre che la collaborazione tra avvocati, seppur continuativa, non può dare luogo a rapporto di lavoro subordinato. Approvato quindi, in un testo emendato, l'articolo 14 avente per oggetto gli albi, gli elenchi e i registri che devono essere istituiti presso ciascun consiglio dell'ordine, che vengono posti a disposizione del pubblico anche tramite pubblicazione sul sito internet dell'ordine e che sono trasmessi annualmente al Consiglio nazionale forense ai fini della redazione del nuovo elenco nazionale degli avvocati. È stato quindi accantonato l'articolo 15 che introduce tra i requisiti per l'iscrizione nell'elenco dei difensori d'ufficio quello di far parte dell'elenco degli avvocati specialisti in diritto penale. Avviato infine l'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 16 che reca la disciplina delle iscrizioni e delle cancellazioni all'albo degli avvocati e al registro dei praticanti. La cancellazione avviene anche quando viene accertata la mancanza del requisito dell'esercizio continuativo della professione, nonché, per gli avvocati dipendenti di enti pubblici, quando sia cessata l'appartenenza all'ufficio legale dell'ente. E proprio sull’articolo 16  il coonfronto si è infiammato laddove le opposizioni hanno chiesto, con interventi della senatrice del Pd Anna Finocchiaro, e dei senatori dell'Udc, Achille Serra, e dell'IdV, Luigi Li Gotti, che venissero espressamente previsti il rifiuto di iscrizione o la cancellazione dall'albo di tutti i soggetti destinatari di una condanna passata in giudicato per reati di mafia. Il senatore di Futuro e Libertà, Giuseppe Valditara, ha proposto di integrare, riformulandola, la lettera f). Il relatore del provvedimento, il senatore del PdL Giuseppe Valentino, ha suggerito allora di accantonare gli emendamenti sul punto. Richiesta accolta da Valditara. L'Assemblea ha anzitutto ripreso l'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 16 che reca la disciplina delle iscrizioni e delle cancellazioni all'albo degli avvocati e al registro dei praticanti. La cancellazione avviene anche quando viene accertata la mancanza del requisito dell'esercizio continuativo della professione, nonché, per gli avvocati dipendenti di enti pubblici, quando sia cessata l'appartenenza all'ufficio legale dell'ente. Dopo la votazione di numerosi emendamenti, alcuni dei quali approvati, l'articolo è stato accantonato per approfondire altri emendamenti anch'essi accantonati. Si è quindi passati ad esaminare gli emendamenti riferiti all'articolo 17 che disciplina le incompatibilità. In particolare, con riferimento alle attività di impresa, risulta incompatibile, oltre al socio illimitatamente responsabile, all'amministratore di società di persone aventi come finalità l'esercizio di attività d'impresa commerciale e all'amministratore o consigliere delegato di società di capitali, anche il presidente di consiglio di amministrazione con effettivi poteri individuali di gestione. Soddisfazione per la reintroduzione dei minimi tariffari e del divieto di patto di quota lite, Maurizio de Tilla, presidente Oua. “Il ripristino delle tariffe minime e del divieto del patto di quota lite, rimette l’Italia in linea con l’Europa. Dopo i ripetuti richiami delle istituzioni comunitarie, viene, finalmente eliminata una stortura introdotta dal legislatore nel 2006: l’avvocato non è un imprenditore, né un mercante, ma un presidio di legalità a tutela dei diritti dei cittadini – ha detto de Tilla -  significa riprestare la qualità, della selezione e del merito e della dignità dell’avvocato. Il ddl si deve approvare celermente – ha continuato - così come indicato unitariamente da tutta l’avvocatura, e la riforma forense deve continuare ad avere quei requisiti di merito, qualità, selezione e modernità che l’Oua ha più volte messo in evidenza, non ultimo, proponendo 7 punti programmatici che, per fare solo qualche esempio, vanno dalla costituzionalizzazione dell’avvocatura al numero programmato all’università, dalla revisione del meccanismo dei patrocinatori in Cassazione alla riforma della magistratura laica, passando per una più adeguata definizione delle specializzazioni». Rispetto a quest’ultima questione de Tilla ha voluto precisare: “L’Oua è favorevole al sistema delle specializzazioni, ma, anche recependo le molte critiche di numerosi consigli degli ordini, ha proposto l’eliminazione del regime transitorio. È impensabile, infatti, come previsto dal regime transitorio, specializzare, per anzianità, un numero enorme di avvocati (più di 90 mila nelle più rosee stime). Si cadrebbe nello stesso errore dell’elenco dei cassazionisti. Tutti avvocati, tutti cassazionisti. Ed ora, tutti specialisti. Ad ogni modo – ha concluso - crediamo che l’auspicio di tutti sia quello di una rapida approvazione della riforma forense, attesa da anni, nonostante fosse unanimemente considerata una priorità per il Paese. Avanti così!”. Apprezzamento anche da parte del Cnf. “Apprezziamo la scelta del senato di ripristinare i minimi tariffari. Abbiamo sempre sostenuto che i minimi inderogabili sono a garanzia della qualità della prestazione professionale e del principio di uguaglianza – ha detto Guido Alpa, presidente del Consiglio nazionale forense - l’Europa, con la sentenze della Corte di Giustizia, ha sempre ritenuto legittimo il sistema italiano dei minimi inderogabili legandolo alla tutela di un interesse pubblico. E da ultimo, la Corte di Cassazione (Sez. lav. 20269/2010) ha confermato che il quadro comunitario non osta ad un sistema di tariffe minime, anzi lo giustifica pienamente per ragioni di interesse pubblico quali la corretta amministrazione della giustizia e la tutela del consumatore e ha detto chiaramente che, in via generale ed astratta, un sistema di tariffe minime tutela l'interesse a evitare una concorrenza al ribasso a discapito della qualità della prestazione”.
(Da Mondoprofessionisti 183 del 21.10.2010)

SABATO 23 OTTOBRE EVENTO FORMATIVO A GIARRE


Ricordiamo ai Signori Colleghi che domani, Sabato 23 Ottobre, con inizio alle ore 9 e sino alle 12, nell’androne del palazzo di Giustizia di Giarre avrà luogo l’evento formativo organizzato dall’AGA, approvato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania con delibera del 12.10.2010, sul tema: “La prova testimoniale nel processo civile. Aspetti pratici”; relatore l’Avv. Antonino Ciavola. La partecipazione dà diritto a n. 3 crediti formativi.

giovedì 21 ottobre 2010

L'Avv. Fabio Florio rieletto nel CNF


L’Avv. Fabio Florio è stato rieletto, nei giorni scorsi, componente del CNF in rappresentanza del distretto di Corte d’Appello di Catania.
Sul Bollettino ufficiale del Ministero della Giustizia n. 19 del 15.10.2010 è stato pubblicato il comunicato relativo al risultato delle elezioni dei componenti del Consiglio Nazionale Forense.
L’apposita Commissione d’accertamento, riunitasi il 4.10.2010 presso il Ministero della Giustizia, esaminati i verbali trasmessi dai Consigli degli Ordini e verificata l'osservanza delle norme di legge, ha proclamato eletti i vari avvocati che rappresentano ciascun distretto di Corte d’Appello.
All’amico Fabio le nostre più affettuose congratulazioni.

mercoledì 20 ottobre 2010

Sinistro stradale, danno da perdita di chance, onere della prova

Cassazione civile, sez. III, sent. 28.9.2010 n° 20351

Qualora a seguito di un sinistro stradale, il danneggiato lamenti e richieda la liquidazione del danno da perdita di chance, ovvero da perdita della futura capacità di guadagno, deve a  tal fine fornire la prova dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.
In senso conforme: Cass. Civ., 11.5.2010, n. 11353; Cass. Civ., 19.2.2009, n. 4052.

(Fonte: Massimario.it - 34/2010)

martedì 19 ottobre 2010

Pro e contro l’arbitrato, il giarrese Isidoro Trovato sul Corsera

L'arbitrato e la guerra tra consulenti e avvocati
di Isidoro Trovato (Dal Corriere della Sera del 19.10.2010)

Le regole - Come cambia l'arbitrato
Il capitolo dedicato all'arbitrato all'interno del collegato lavoro non era nato sotto i migliori auspici ma adesso è a un soffio dall'approvazione. La prima stesura aveva provocato le ire della Cgil: l'idea che le imprese potessero proporre un contratto di assunzione che, in caso di licenziamento, evitasse il ricorso al giudice, era considerato un tentativo di aggirare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Questo e altri rilievi avevano spinto il presidente della Repubblica a rinviare il testo al Parlamento. Nelle prossime ore però dovremmo essere all'atto finale di una riforma che non ha ancora messo del tutto da parte le polemiche. Ma qual è l'obiettivo principale dichiarato dal governo? Far calare il numero delle controversie di lavoro che finiscono in tribunale e quindi snellire e accelerare la macchina della giustizia. Il problema è che, stando al nuovo testo, l'unico sistema per essere sicuri di evitare il tribunale e potersi affidare a un arbitro terzo è il ricorso all'uso delle clausole compromissorie. In pratica, prima di un'assunzione definitiva (ma dopo il periodo di prova) i datori di lavoro potrebbero proporre una clausola compromissoria con cui i dipendenti si impegnano ad affidarsi a un arbitro in caso di controversie. Rimangono esclusi però i casi di contrasti legati ai licenziamenti.
I tempi - Le controversie saranno più veloci
Chi saluta con favore l'arbitrato sono i consulenti del lavoro che così vengono riconosciuti come possibili arbitri di controversie occupazionali. «Per noi si tratta di un passo epocale - afferma Marina Calderone, presidente dei consulenti del lavoro - anzitutto perché viene definitivamente riconosciuta la terzietà del nostro ruolo: prima potevamo solo assistere una delle parti, oggi possiamo essere arbitri all'interno di un organismo pubblico». Eppure sono in tanti, avvocati primi fra tutti, a sostenere che l'arbitrato non farà calare le controversie occupazionali, perché la conciliazione già esisteva e aveva scarso impatto. «Il numero delle cause pendenti calerà - dice Calderone - fino a oggi la conciliazione non ha funzionato perché era vissuta come un passaggio obbligato prima del giudizio. Da domani diventerà un'opportunità per risolvere una controversia in modo rapido, efficace e garantito».
I contrari - Chi dice no alle conciliazioni
Rimane vasto però lo schieramento degli irriducibili avversari dell'arbitrato e molti di loro continuano a sbandierare il concreto rischio che tutto vada a schiantarsi con un problema di incostituzionalità. «L'arbitrato mette a rischio il rispetto dell'articolo 3 della Costituzione - conferma Emanuele Spata, membro del direttivo dell'Associazione nazionale forense - qui si rischia di favorire, anziché eliminare, condizioni di disuguaglianza tra datore di lavoro e lavoratore. La verità è che questa riforma finirà per confermare tutele a chi le ha già e toglierle a chi ne aveva poche. Infatti è vero che la clausola compromissoria non è utilizzabile per i licenziamenti, ma solo per i rapporti garantiti dall'articolo 18. Per i dipendenti di aziende con meno di 15 addetti le tutele sono molto deboli. Inoltre ci sarà una grave limitazione a impugnare i licenziamenti se il lavoratore non ricorre al giudice entro sei mesi, cosa che penalizzerà precari, cococo e contratti a progetto». 
Insomma, la riforma è in porto ma anche lì non sarà al sicuro da tempeste.

Cinque ordini forensi contro le specializzazioni


Avvocati a fette in guerra di trincea
di Franco Stefanoni - Da Il Mondo del 15.10.2010


Cinque ordini locali di avvocati hanno già deliberato o si preparano a deliberare contro il regolamento che ha introdotto le specializzazioni forensi. Sono quelli di Napoli, Roma, Palermo, Firenze e Bari. I cinque ordini chiedono la sospensione della nuova regola voluta dal Consiglio nazionale forense (Cnf) che prevede il via, a partire dal giugno 2011, alla figura degli avvocati specialisti: come in diritto di famiglia, diritto sportivo, amministrativo o penale. L'obiettivo è alzare il livello di qualità degli avvocati e razionalizzare un sistema che con i suoi 230 mila iscritti causa non pochi problemi: meno lavoro e conseguente aumento (forzato) del tasso di litigiosità pur di sostenere il reddito. Secondo Bankitalia, le nuove cause legali avviate rispetto alla popolazione italiana risultano oltre il triplo di quelle registrate in Germania e il doppio di quelle della Francia o della Spagna. La categoria, però, è in subbuglio. Se da un lato in molti credevano nella necessità di alzare la qualità delle prestazioni dei professionisti, anche con corsi di formazione ed esami che autorizzano a dichiararsi specialisti in qualcosa, dall'altro non è piaciuto come si è mosso il Cnf. Il massimo vertice forense, anche innervosito dal nulla di fatto della riforma dell'ordinamento impantanata da mesi in Senato (da metà ottobre riprenderà il cammino), ha infatti preferito il blitz autonomo. In particolare, a non essere gradite, sono state le norme transitorie. Il punto più contestato è la specializzazione concessa d'ufficio, senza corsi né esami, agli iscritti all'albo da almeno 20 anni. L'Associazione nazionale forense (Anf) ha fatto sapere che «il regolamento è inopportuno e inadeguato». La prospettiva è avere 90 mila specialisti, molti dei quali esentati da verifiche di qualità. Una cosa che non va giù nemmeno a Maurizio de Tilla , a capo dell'Organismo unitario dell'avvocatura (Oua): «Si rischia la sbracatura, dove tutti sono specialisti, una marmellata». L'Associazione italiana giovani avvocati (Aiga), per voce del presidente Giuseppe Sileci , è più possibilista: «Spero ancora che il Cnf accetti di parlare con noi e riveda la questione, come ha fatto già in passato». L'allusione è alla modifica di una prima versione del regolamento del Cnf dove era consentito anche a chi aveva solo dieci anni d'iscrizione all'albo la possibilità di evitare il corso di formazione (ma non l'esame). Secondo Sileci, «il fatto che il regolamento non sia entrato in vigore subito è un buon segnale». Ma non tutti vanno contro il Cnf, criticato inoltre per concentrare su di sé la gestione delle future specializzazioni (anche se sono coinvolti associazioni e ordini locali). I primi a tifare in suo favore sono quelli dell'Unione camere penali italiane (Ucpi), storicamente supporter delle patenti ad hoc per i penalisti («Se fa male un dente si va dal dentista, non dal cardiologo, e deve valere anche per gli avvocati»). Il neo presidente Valerio Spigarelli ammette: «Siamo soddisfatti, perché i penalisti saranno più forti e preparati a garanzia di clienti e giudici. Bisognerà vedere quanti accetteranno di fare corsi ed esami». Anche se aggiunge: «Capisco che altre associazioni si lamentino, in quanto più generaliste, ma più di questo il Cnf non poteva fare».

Rischia l'estorsione chi fa firmare, pena il licenziamento, buste paga maggiorate

 Cassazione penale, sez. II, sentenza 11.10.2010 n° 36276

Se “ritocca” la busta paga del lavoratore, ne risponde il consulente del lavoro; risponde, infatti, del reato di estorsione il professionista che, in accordo col datore di lavoro, sotto minaccia di licenziamento, costringe il prestatore di lavoro a firmare una busta paga con corrispettivi superiori a quelli percepiti.
Così hanno sancito i giudici della II sezione penale della Suprema Corte, nella sentenza 11 ottobre 2010, n. 36276 i quali hanno, infatti, riconosciuto (confermando la condanna) il reato di estorsione a carico del consulente che aveva utilizzato lo “strumento” della minaccia di licenziamento, al fine di obbligare il lavoratore a firmare una busta paga contenente importi complessivi superiori a quelli che effettivamente erano stati corrisposti, “non potendo la concessione dell’attenuante ex art. 114 c.p. escludere una sua reale partecipazione al delitto”.
Secondo quanto precisato dai giudici nella sentenza de qua anche una “larvata” minaccia può bastare per il concorso di colpa.
I fatti oggetto di causa si imperniavano, infatti, sulle reiterate minacce di licenziamento dirette ad una dipendente al fine, come detto in precedenza, di farle firmare delle buste paga con importi differenti da quelli effettivamente percepiti, con “presumibili” finalità e benefici fiscali illeciti a vantaggio del datore di lavoro.
Sia il datore di lavoro che il consulente erano stati condannati in primo grado, con una provvisionale a favore della dipendente; la Corte di Appello aveva, poi, confermato la responsabilità anche del consulente del lavoro, riconoscendo, però, allo stesso le circostanze attenuanti in materia di concorso di colpa ex art. 114 c.p..
La questione si spostava dinanzi l’attenzione della Suprema Corte alla quale il professionista aveva presentato ricorso, sostenendo, tra le altre cose, l’incompatibilità logica del concorso nel reato con il riconoscimento delle circostanze attenuanti, tenendo, altresì, in considerazione il ruolo marginale assunto dallo stesso professionista.
Di diverso avviso i giudici di legittimità, che, al contrario, hanno riconosciuto che le circostanze attenuanti non fossero affatto incompatibili con l’attribuzione del concorso nel reato, ma che, anzi, la presupponessero.
Da qui la conseguenza, secondo quanto precisato nella sentenza in oggetto, che il ruolo del consulente del lavoro nella estorsione “possa pienamente giustificare, solidalmente col datore di lavoro, il risarcimento dei danni morali, esistenziali e patrimoniali subiti dalla dipendente”.

(Da Altalex, 19.10.2010 - Nota di Manuela Rinaldi)