Cassazione penale, sez. II, sentenza 11.10.2010 n° 36276
Se “ritocca” la busta paga del lavoratore, ne risponde il consulente del lavoro; risponde, infatti, del reato di estorsione il professionista che, in accordo col datore di lavoro, sotto minaccia di licenziamento, costringe il prestatore di lavoro a firmare una busta paga con corrispettivi superiori a quelli percepiti.
Così hanno sancito i giudici della II sezione penale della Suprema Corte, nella sentenza 11 ottobre 2010, n. 36276 i quali hanno, infatti, riconosciuto (confermando la condanna) il reato di estorsione a carico del consulente che aveva utilizzato lo “strumento” della minaccia di licenziamento, al fine di obbligare il lavoratore a firmare una busta paga contenente importi complessivi superiori a quelli che effettivamente erano stati corrisposti, “non potendo la concessione dell’attenuante ex art. 114 c.p. escludere una sua reale partecipazione al delitto”.
Secondo quanto precisato dai giudici nella sentenza de qua anche una “larvata” minaccia può bastare per il concorso di colpa.
I fatti oggetto di causa si imperniavano, infatti, sulle reiterate minacce di licenziamento dirette ad una dipendente al fine, come detto in precedenza, di farle firmare delle buste paga con importi differenti da quelli effettivamente percepiti, con “presumibili” finalità e benefici fiscali illeciti a vantaggio del datore di lavoro.
Sia il datore di lavoro che il consulente erano stati condannati in primo grado, con una provvisionale a favore della dipendente; la Corte di Appello aveva, poi, confermato la responsabilità anche del consulente del lavoro, riconoscendo, però, allo stesso le circostanze attenuanti in materia di concorso di colpa ex art. 114 c.p..
La questione si spostava dinanzi l’attenzione della Suprema Corte alla quale il professionista aveva presentato ricorso, sostenendo, tra le altre cose, l’incompatibilità logica del concorso nel reato con il riconoscimento delle circostanze attenuanti, tenendo, altresì, in considerazione il ruolo marginale assunto dallo stesso professionista.
Di diverso avviso i giudici di legittimità, che, al contrario, hanno riconosciuto che le circostanze attenuanti non fossero affatto incompatibili con l’attribuzione del concorso nel reato, ma che, anzi, la presupponessero.
Da qui la conseguenza, secondo quanto precisato nella sentenza in oggetto, che il ruolo del consulente del lavoro nella estorsione “possa pienamente giustificare, solidalmente col datore di lavoro, il risarcimento dei danni morali, esistenziali e patrimoniali subiti dalla dipendente”.
(Da Altalex, 19.10.2010 - Nota di Manuela Rinaldi)