Mille
sedi giudiziarie in meno, sul territorio nazionale, sembrano ormai cosa fatta,
a meno di ripensamenti clamorosi, stop fragorosi o ripescaggi miracolosi. Una
revisione epocale partita, e forse giunta in porto, sicuramente con il piede
sbagliato visto che il Ministero, alla fine, sembra aver optato per la linea
dura disponendo, nella bozza di decreto redatta, la morte, oltre alla
stragrande maggioranza degli uffici del Giudice di Pace, di tutte le 220
Sezioni Distaccate di Tribunale e di 37 Tribunali con relative Procure, il
tutto con criteri lineari (salvo poi applicare la cosiddetta “regola del tre”
che salva alcune sedi minori) che sono risultati decisamente opinabili e non
collegati alla realtà dei territori e delle esigenze.
Questa
revisione, sulle ragioni della quale e sulla bontà o meno della stessa potremo
discutere per mesi su fronti contrapposti, comporterà comunque importanti
risvolti anche in sede previdenziale, ciò considerato che la stessa va a
coinvolgere direttamente la qualità, l’organizzazione, i costi, il mercato del
lavoro di migliaia di avvocati, siano essi iscritti ai Fori direttamente
coinvolti siano essi indirettamente toccati per le inevitabili implicazioni
sulle sedi accorpanti.
Si
valuti, ad esempio, la circostanza di quale sia la qualità e quantità della
risposta, alla domanda di giustizia, che si avrà nelle sedi in via di chiusura
durante il periodo di riorganizzazione fissato in 18 mesi. Tra pochi mesi,
infatti, le cause inizieranno ad essere rinviate dai singoli Giudici davanti
alla sede accorpante, pur rimanendo ai loro ruoli assegnate e pur rimanendo i
fascicoli presso la sede in chiusura. Quante sentenze potranno essere emesse in
questo periodo? Quante cause vedranno un lento scivolamento verso una nuova
assegnazione? Le sedi che dovranno accoglierle molto probabilmente dovranno
passare per una redistribuzione dei carichi, anche nell’ottica della tanto
auspicata specializzazione già operante di fatto nelle sedi maggiori e non in
quelle minori, ciò con conseguenti rinvii delle trattazioni e sconvolgimento
dei calendari d’udienza.
Vi
è poi un altro fondamentale quesito privo di risposta dato dallo spostamento
coattivo del personale che comporterà una logica redistribuzione del medesimo
nella nuova sede, con competenze specifiche acquisite nel tempo dai dipendenti
che verranno obliate nello spostamento o con operatività dei singoli uffici da
valutarsi nel lungo termine ma sicuramente ridotta nel medio termine. Per non
parlare poi dell’impatto psicologico che l’accorpamento avrà sui singoli
soggetti coinvolti che troveranno, spesso, nella nuova situazione facile alibi
per ogni ritardo o inefficienza.
Un
quadro che potrebbe essere meglio e più ampiamente illustrato, con provate
numerose argomentazioni, ma che lascia, anche solo da queste brevi note,
presagire una forte limitazione della produttività del sistema giustizia nel
breve e nel medio termine con conseguente incapacità degli avvocati di svolgere
la loro attività e, logica, diminuzione dei redditi, da loro conseguiti, che
rischiano di cadere ulteriormente verso il basso, tanto più in un periodo
storico già estremamente difficile per la professione forense.
Non
si deve poi trascurare che il provvedimento di chiusura, delle sedi indicate,
andrà ad interessare in modo ancora più pesante e disastroso gli studi legali
delle zone interessate direttamente dalle soppressioni, molti di questi studi
infatti avranno la necessità di modificare la loro struttura per far fronte alle
nuove esigenze date dal dover lavorare in un nuovo ambito territoriale con
spostamenti quotidiani su sedi giudiziarie spesso lontane o non agevoli. Dovrà
essere rivista la composizione della forza lavoro sia dei professionisti sia
degli impiegati di questi studi con la creazione, magari, di sedi secondarie o
con un pendolarismo forzato. Tutto ciò non potrà che gravare sui costi per i
professionisti e per gli utenti che si allontaneranno ancora di più dalla
domanda di giustizia con evidente danno per tutto il sistema.
Se
è vero che l’avvocatura italiana ha necessità di un sensibile cambio di marcia
è altrettanto vero che per molti questo cambio di marcia forzato ed accelerato
diverrà un vero capestro, non bilanciato dalla crescita reddituale dei colleghi
superstiti che solo in minima parte potranno “godere” dell’indebolimento dei
colleghi in difficoltà.
Da
quanto sopra delineato nasce la banale riflessione che la massa degli avvocati
direttamente od indirettamente coinvolti nel provvedimento (circa un terzo
degli iscritti agli ordini italiani) vedrà, almeno nel breve e medio termine,
crescere la difficoltà di produrre redditi, e quindi contributi previdenziali,
mentre per quella fascia già oggi debole, di iscritti, aumenterà la necessità
di assistenza con conseguenti costi per Cassa Forense.
Un
mix di fattori esplosivo che dovrà, quindi, essere ben monitorato dal nostro
ente previdenziale per evitare che i risvolti negativi, relativamente
prevedibili, vadano a produrre i loro nefasti effetti senza i dovuti tempestivi
correttivi.
Massimo Grotti (da CF
Newsletter n. 7 – Luglio 2012)