sabato 28 luglio 2012

Il taglio delle sedi giudiziarie non favorirà la previdenza forense


Mille sedi giudiziarie in meno, sul territorio nazionale, sembrano ormai cosa fatta, a meno di ripensamenti clamorosi, stop fragorosi o ripescaggi miracolosi. Una revisione epocale partita, e forse giunta in porto, sicuramente con il piede sbagliato visto che il Ministero, alla fine, sembra aver optato per la linea dura disponendo, nella bozza di decreto redatta, la morte, oltre alla stragrande maggioranza degli uffici del Giudice di Pace, di tutte le 220 Sezioni Distaccate di Tribunale e di 37 Tribunali con relative Procure, il tutto con criteri lineari (salvo poi applicare la cosiddetta “regola del tre” che salva alcune sedi minori) che sono risultati decisamente opinabili e non collegati alla realtà dei territori e delle esigenze.
Questa revisione, sulle ragioni della quale e sulla bontà o meno della stessa potremo discutere per mesi su fronti contrapposti, comporterà comunque importanti risvolti anche in sede previdenziale, ciò considerato che la stessa va a coinvolgere direttamente la qualità, l’organizzazione, i costi, il mercato del lavoro di migliaia di avvocati, siano essi iscritti ai Fori direttamente coinvolti siano essi indirettamente toccati per le inevitabili implicazioni sulle sedi accorpanti.
Si valuti, ad esempio, la circostanza di quale sia la qualità e quantità della risposta, alla domanda di giustizia, che si avrà nelle sedi in via di chiusura durante il periodo di riorganizzazione fissato in 18 mesi. Tra pochi mesi, infatti, le cause inizieranno ad essere rinviate dai singoli Giudici davanti alla sede accorpante, pur rimanendo ai loro ruoli assegnate e pur rimanendo i fascicoli presso la sede in chiusura. Quante sentenze potranno essere emesse in questo periodo? Quante cause vedranno un lento scivolamento verso una nuova assegnazione? Le sedi che dovranno accoglierle molto probabilmente dovranno passare per una redistribuzione dei carichi, anche nell’ottica della tanto auspicata specializzazione già operante di fatto nelle sedi maggiori e non in quelle minori, ciò con conseguenti rinvii delle trattazioni e sconvolgimento dei calendari d’udienza.
Vi è poi un altro fondamentale quesito privo di risposta dato dallo spostamento coattivo del personale che comporterà una logica redistribuzione del medesimo nella nuova sede, con competenze specifiche acquisite nel tempo dai dipendenti che verranno obliate nello spostamento o con operatività dei singoli uffici da valutarsi nel lungo termine ma sicuramente ridotta nel medio termine. Per non parlare poi dell’impatto psicologico che l’accorpamento avrà sui singoli soggetti coinvolti che troveranno, spesso, nella nuova situazione facile alibi per ogni ritardo o inefficienza.
Un quadro che potrebbe essere meglio e più ampiamente illustrato, con provate numerose argomentazioni, ma che lascia, anche solo da queste brevi note, presagire una forte limitazione della produttività del sistema giustizia nel breve e nel medio termine con conseguente incapacità degli avvocati di svolgere la loro attività e, logica, diminuzione dei redditi, da loro conseguiti, che rischiano di cadere ulteriormente verso il basso, tanto più in un periodo storico già estremamente difficile per la professione forense.
Non si deve poi trascurare che il provvedimento di chiusura, delle sedi indicate, andrà ad interessare in modo ancora più pesante e disastroso gli studi legali delle zone interessate direttamente dalle soppressioni, molti di questi studi infatti avranno la necessità di modificare la loro struttura per far fronte alle nuove esigenze date dal dover lavorare in un nuovo ambito territoriale con spostamenti quotidiani su sedi giudiziarie spesso lontane o non agevoli. Dovrà essere rivista la composizione della forza lavoro sia dei professionisti sia degli impiegati di questi studi con la creazione, magari, di sedi secondarie o con un pendolarismo forzato. Tutto ciò non potrà che gravare sui costi per i professionisti e per gli utenti che si allontaneranno ancora di più dalla domanda di giustizia con evidente danno per tutto il sistema.
Se è vero che l’avvocatura italiana ha necessità di un sensibile cambio di marcia è altrettanto vero che per molti questo cambio di marcia forzato ed accelerato diverrà un vero capestro, non bilanciato dalla crescita reddituale dei colleghi superstiti che solo in minima parte potranno “godere” dell’indebolimento dei colleghi in difficoltà.
Da quanto sopra delineato nasce la banale riflessione che la massa degli avvocati direttamente od indirettamente coinvolti nel provvedimento (circa un terzo degli iscritti agli ordini italiani) vedrà, almeno nel breve e medio termine, crescere la difficoltà di produrre redditi, e quindi contributi previdenziali, mentre per quella fascia già oggi debole, di iscritti, aumenterà la necessità di assistenza con conseguenti costi per Cassa Forense.
Un mix di fattori esplosivo che dovrà, quindi, essere ben monitorato dal nostro ente previdenziale per evitare che i risvolti negativi, relativamente prevedibili, vadano a produrre i loro nefasti effetti senza i dovuti tempestivi correttivi.

Massimo Grotti (da CF Newsletter n. 7 – Luglio 2012)