Cass.
Sez. II Civile, Sent. 11.7.2012, n.11749
Particolare
interesse suscita la recente sentenza della Corte di Cassazione relativa alla
nullità di un preliminare di vendita nel quale era stata inserita la clausola
che obbligava le parti ad indicare nel contratto di vendita un prezzo inferiore
a quello realmente pattuito dalle parti.
Sulla
questione si era già pronunciata la
Corte d’appello di Milano, che aveva disposto l’esecuzione in
forma specifica del contratto, ovvero la vendita dell’immobile, avendo escluso
il carattere essenziale della clausola in esame, essendo, a tal fine,
necessario dimostrare che “quella variazione di prezzo alteri l’equilibrio
contrattuale in modo tale da far considerare la vendita fuori degli standard di
mercato correnti in un certo momento, tenuto conto che … si deve presumere la
generale applicazione della legge e non l’evasione fiscale”. Il venditore deve
infatti dimostrare, oltre al minor guadagno, anche la circostanza che non avrebbe
venduto al minor prezzo indicato nel preliminare.
Leggendo
le considerazioni di diritto della citata sentenza, l’orientamento di cui sopra
è confermato dalla Corte di Cassazione, per la quale “la clausola, contenuta
nel contratto preliminare, avente ad oggetto il reciproco impegno delle parti
di indicare nel definitivo una somma inferiore a quella reale, pari a quella
risultante dall’applicazione dl moltiplicatore della rendita catastale, è nulla
per espressa previsione legislativa”.
La
semplice presenza, “ai fini della invalidazione totale ed assoluta dell’intero
contratto”, del patto di risoluzione totale, “che prevede … il diritto di
ottenere lo scioglimento del contratto” in caso di inadempimento, non è tale da
comportare la comunicazione della nullità dalla parte adempiente, posto che la
clausola risolutiva “è essa stessa affetta da nullità.
L’effetto
di propagazione, sull’intero contratto preliminare, della nullità della
clausola contenente l’impegno delle parti di indicare nel definitivo, in violazione
della disciplina dell’imposta di registro, un prezzo inferiore a quello
realmente pattuito, non può derivare dal semplice rafforzamento dell’atteso
comportamento contra legem mediante la previsione negoziale di un diritto alla
risoluzione attivabile dalla parte rimasta fedele alla clausola, occorrendo,
altresì, la prova, a cura della parte colpita dalla squilibrio indotto dalla
nullità parziale e che invochi il contagio all’intero contratto, che il
mantenimento di esso dopo la depurazione non sia più giustificato dal senso
originario dell’operazione, e ciò per essere la clausola di occultamento in
tale rapporto di interdipendenza e di inscindibilità con le altre pattuizioni
che queste non posso sussistere in modo automatico”.
L’efficacia
sostitutiva della norma imperativa di legge alla clausola contraria “sussiste
quando l’interesse investe l’esistenza di un rapporto giuridico … non
altrimenti realizzabile che mediante il necessario sinergismo dell’attività
privata negoziale e della norma obiettiva imperativa. L’interesse tutelato,
ravvisabile nella esatta determinazione della base imponibile dell’imposta di
registro, è perseguito dalla legge indipendentemente dalla collaborazione delle
parti contraenti.
Deve
così concludersi … che la clausola del contratto preliminare di vendita, con la
quale si conviene di indicare nel contratto definitivo di trasferimento un
prezzo inferiore a quello convenuto, è nulla, ma non sostituita da norma
imperativa”. È questa quindi la ragione per la quale non può essere dichiarata
nel caso di specie la nullità parziale del contratto o della singola clausola
ex articolo 1419 del Codice Civile.
Luciana Di Vito (da
filodiritto.com del 22.7.2012)