di Michele Iaselli
Il
danno morale consiste nei patemi d’animo che conseguono alla commissione di un
illecito.
1.
Nozione
Il
danno morale è inteso, in generale, come la sofferenza subita dal soggetto a
seguito, ad esempio, delle lesioni fisiche riportate; questo tipo di danno
viene riconosciuto per espressa previsione dell’art. 2059 c.c.
Il
danno morale non esaurisce però la categoria del danno non patrimoniale,
cosicché ben si spiega la riparabilità di tali danni in favore delle persone
giuridiche, che pur non possono provare sofferenza.
Nel
caso di danno non patrimoniale quel che viene in primo piano è infatti la
violazione dell’interesse protetto dalla norma, come nel caso di reato di
corruzione contro la P.A.
ovvero di reati urbanistici, là dove l’interesse è quello, rispettivamente,
alla dignità e rispettabilità dello Stato e alla realizzazione di un
determinato assetto urbanistico.
La
legge penale è dunque quella che, ex art. 185 c.p., generalizza, in caso di
reato, la risarcibilità del danno non patrimoniale in sede civile (pur a
prescindere dalla previa pronuncia di una sentenza penale di condanna), ma il
rinvio operato dall’art. 2059 c.c. alla legge potrebbe ricomprendere gli artt.
7 e 10 c.c., i quali, interpretati estensivamente là dove prevedono il
risarcimento, potrebbero configurare l’esistenza di una clausola generale atta
a legittimare in ogni caso la risarcibilità dei danni anche non patrimoniali in
caso di lesione dei diritti della personalità.
2.
Risarcimento
La
materia del risarcimento del danno morale è stata oggetto di diverse pronunce
della Suprema Corte ed ancora oggi è molto attuale.
Il
danno morale va risarcito, secondo l'insegnamento della Corte di Cassazione,
"come danno non patrimoniale, nell'ampia accezione ricostruita dalle
SS.UU. come principio informatore della materia. Il risarcimento deve avvenire
secondo equità circostanziata (art. 2056 c.c.), tenendosi conto che anche per
il danno non patrimoniale il risarcimento deve essere integrale, e tanto più elevato
quanto maggiore è la lesione .." (SS.UU., sentenza 11 novembre 2008, n.
26972); ed ancora la
Cassazione con la sentenza 4 marzo 2008, n. 5795 ha precisato che
"nel caso di accertamento di un danno biologico di rilevante entità e di
duratura permanenza, il danno morale, come lesione della integrità morale della
persona (artt. 2 e 3 della Costituzione in relazione al valore della dignità
anche sociale, ed in correlazione alla salute come valore della identità
biologica e genetica) non può essere liquidato in automatico e pro quota come
una lesione di minor conto. Il danno morale è ingiusto così come il danno
biologico, e nessuna norma costituzionale consente al giudice di stabilire che
l'integrità morale valga la metà di quella fisica".
Lo
stesso legislatore con il d.P.R. n. 37 del 3 marzo 2009, individua il danno
morale come autonoma e specifica voce di danni da liquidare.
Con
sentenza più recente (Cass. Civ., sez. III, sentenza 13 luglio 2011, n. 15373) la Suprema Corte
ritiene di dover commisurare il risarcimento del danno morale al risarcimento
del danno biologico. In particolare la
Corte sostiene che nulla vieta che il danno morale sia
liquidato in proporzione al danno biologico (cfr Cass. Civ., sentenza n.
702/2010). Né appare superfluo richiamare l'attenzione sull'insegnamento delle
Sezioni Unite, cui si è già accennato in precedenza, le quali, come è noto,
hanno sancito il principio dell'unitarietà del danno non patrimoniale, quale
categoria omnicomprensiva che include anche il danno biologico ed il danno da
reato. Ed invero, il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce
una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve
tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza
duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a
pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una
duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni
personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico,
sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale
costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi
lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica),
come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d.
estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale
(SS.UU., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972).
Inoltre
la Corte di
Cassazione con sentenza 12 settembre 2011, n. 18641 ha sostenuto che il
danno morale è autonomo rispetto al danno non patrimoniale. In particolare,
l’organo giurisdizionale afferma che “la modifica del 2009 delle tabelle del
tribunale di Milano - che questa corte, con la sentenza 7 giugno 2011, n.
12408/2011 (nella sostanza confermata dalla successiva pronuncia 30 giugno
2011, n. 14402/2011) ha dichiarato applicabili, da parte dei giudici di merito,
su tutto il territorio nazionale - in realtà, non ha mai "cancellato"
(contrariamente a quanto opinato dal ricorrente) la fattispecie del danno
morale intesa come "voce" integrante la più ampia categoria del danno
non patrimoniale: né avrebbe potuto farlo senza violare un preciso indirizzo
legislativo, manifestatosi in epoca successiva alle sentenze del 2008 di queste
sezioni unite, dal quale il giudice, di legittimità e non, evidentemente non
può in alcun modo prescindere in una disciplina (e in una armonia) di sistema
che, nella gerarchia delle fonti del diritto, privilegia ancora la disposizione
normativa rispetto alla produzione giurisprudenziale.
L’indirizzo di cui si discorre si è espressamente manifestato attraverso la
emanazione di due successivi d.P.R., il n. 37 del 2009 e il n. 191 del 2009, in seno ai quali una
specifica disposizione normativa (l'art. 5) ha inequivocamente resa manifesta
la volontà del legislatore di distinguere, concettualmente prima ancora che
giuridicamente, all'indomani delle pronunce delle sezioni unite di questa corte
(che, in realtà, ad una più attenta lettura, non hanno mai predicato un
principio di diritto funzionale alla scomparsa per assorbimento ipso facto del
danno morale nel danno biologico, avendo esse viceversa indicato al giudice del
merito soltanto la necessità di evitare, attraverso una rigorosa analisi
dell'evidenza probatoria, duplicazioni risarcitorie) tra la "voce" di
danno cd. biologico da un canto, e la "voce" di danno morale
dall'altro: si legge difatti alle lettere a) e b) del citato art. 5, nel primo
dei due provvedimenti normativi citati:- che "la percentuale di danno
biologico è determinata in base alle tabelle delle menomazioni e relativi
criteri di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni; -che “la
determinazione della percentuale di danno morale viene effettuata, caso per
caso, tenendo conto dell'entità della sofferenza e del turbamento dello stato
d'animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi e in
rapporto all'evento dannoso, in misura fino a un massimo di due terzi del
valore”.
Infine,
con diverse sentenze la
Cassazione ha ribadito la “autonomia ontologica del danno
morale”, autonomia che “deve essere considerata in relazione alla diversità del
bene protetto, che attiene alla sfera della dignità morale delle persone” e
“pure attiene ad un diritto inviolabile della persona” (Cass. Civ., sez. III,
sentenza 12 dicembre 2008, n. 29191; Cass. Civ., sentenza n. 379/2009, Cass.
Civ., SS.UU., sentenza 14 gennaio 2009, n. 557 e Cass. Civ., sez. III, sentenza
13 maggio 2009, n. 11059). La stessa Cassazione Civile, sez. III, con sentenza
10 marzo 2010, n. 5770 ha
sostenuto che al fine della liquidazione del danno non patrimoniale, è
opportuno ricordare che nella quantificazione del danno morale la valutazione
di tale voce di danno, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità
del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona
ovvero all'integrità morale, quale massima espressione della dignità umana,
desumibile dall'art. 2 della Costituzione in relazione all'art. 1 della Carta
di Nizza (contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con L. 2
agosto 2008, n. 190) si deve tener conto delle condizioni soggettive della
persona umana e della concreta gravità del fatto, senza che possa quantificarsi
il valore dell'integrità morale come una quota minore proporzionale al danno
alla salute, dovendo dunque escludersi la adozione di meccanismi semplificativi
di liquidazione di tipo automatico.
(Da AltalexPedia,
aggiornato al 27.7.2012)