domenica 25 gennaio 2015

Le mani in tasca ai malati

Corte dei Conti, sent. n. 33/2015

I giudici contabili l’hanno definita “la corsa alla corrispondenza riparatrice”, i comuni cittadini la chiamano più semplicemente “scaricabarile”. E’ l’arte – se così possiamo dire – di addossare ad altri uffici la colpa dell’inerzia del proprio, mettendo nero su bianco il “parere contrario” ma lasciando però che le cose continuino nel solito modo, il che nella maggior parte dei casi rappresenta una danno per le casse pubbliche – cioè per le tasche dei cittadini – quando non arrivi direttamente a intaccare il loro portafogli.

E’ un vizio tutto italiano, al pari di quello di fare i furbi e magari avere un doppio lavoro; ma intendiamoci, non di quelli che si fanno per sbarcare il lunario, ma che invece alcuni medici utilizzano per lucrare sia sui pazienti che sullo Stato, mandando così definitivamente in tilt le casse pubbliche e rovinando, peraltro, anche l’immagine stessa del settore che invece è pieno di dottori volenterosi e irreprensibili. Ma non tutti sono così.

L’ultima condanna della Corte dei Conti (sentenza 33/2015) in questo senso risale ad appena qualche giorno fa, depositata il 15 gennaio scorso. Nel mirino una Asl del Lazio – quella di Frosinone – ma i magistrati hanno chiarito che è un vizio non esclusivo, purtroppo, di questa regione. In sostanza, per dieci anni – nonostante tutte le direttive nazionali e regionali imponessero un contenimento della spesa sanitaria – il blocco delle ore all’interno delle strutture non ha portato a una riorganizzazione del settore ma ad un continuo utilizzo degli straordinari, ovviamente super pagati , per mantenere gli standard di servizio all’utente. Si dirà: era necessario per garantire i malati. La risposta la dà direttamente la Corte dei Conti: “Si è assistito ad una completa inerzia operativa e ad una contrapposta cospicua e infruttuosa corrispondenza tra la Ausl di Frosinone e la Regione Lazio (oltre a quella tra i vertici interni dell’Azienda) alla quale si vorrebbe attribuire valenza di esimente dalle responsabilità alla luce dei vincoli che il Piano di rientro del disavanzo imponeva”.

Si è così protratto negli anni, in presenza di un’obiettiva carenza di personale prevalentemente medico, l’automatico ricorso all’acquisto di prestazioni aggiuntive che avrebbe dovuto essere straordinario e temporaneo e che invece era diventato uno strumento normale per superare ogni esigenza di soddisfazione della domanda sanitaria. Per dirla in parole povere, sarebbe stato più conveniente fare assunzioni a tempo indeterminato che pagare quegli straordinari. E’ uno di quei casi in cui la necessità di diminuire la spesa (peraltro figlia anch’essa degli sprechi degli anni precedenti) viene usata come scusa per “proteggere” una certa casta, facendosi favori reciproci. Per i giudici infatti “i dirigenti, funzionari e amministratori pubblici della Asl le hanno (le prestazioni straordinarie, ndr) tacitamente autorizzate nonché i funzionari della Regione Lazio hanno avallato tutto anche mediante il silenzio-assenso”.

Nella sanità malata capita però anche altro. Come il caso del direttore del Dipartimento medicina procreazione ed età evolutiva dell’Università di Pisa, che pur avendo un incarico di prestigio nella sanità pubblica visitava i pazienti privatamente, in assenza di autorizzazione a volte presso Centri di Cura d’eccellenza a Cagliari piuttosto che Roma, o anche presso studi medici di colleghi compiacenti, incassando direttamente i relativi proventi in violazione dell’art. 8 del regolamento emanato dall’Azienda ospedaliero-universitaria Pisana per la disciplina dell’attività libero-professionale intramuraria. Tanto per non farsi mancare nulla, pur avendo riportato sul cartellino presenze il giustificativo “congresso”, svolgeva anche attività professionale privata o comunque non si trovava impegnato in attività di congressi o convegni.

Sia nel primo episodio che nel secondo la Corte dei Conti ha scovato l’arcano e ha condannato i medici coinvolti al risarcimento di circa 150 mila euro per caso. Ma è solo la punta dell’iceberg. Quanti furbi proseguono non visti a lucrare sulle spalle dei pazienti? Quanti contravvengono alle regole? Chi li controlla? Va modificata la cultura, iniziando a inculcare l’onestà dalle scuole (dovrebbe essere lapalissiano, ma così non è), per non dover ancora per troppi anni rincorrere gli sprechi con le sirene delle forze dell’ordine accese. In queste storie simbolo di un’Italia che deve assolutamente cambiare passo restano mille domande irrisolte. Una sola certezza: a pagare, in tutti i sensi, sono sempre e solo i cittadini.


Angelo Perfetti (da interris.it del 25.1.2015)