Cass.
Sez. V Pen., Sent. 10.1.2014, n. 660
Il
rinvio di un intervento già programmato come urgente, senza alcun monitoraggio
delle condizioni del paziente, esclude la configurazione della colpa lieve,
richiesto come elemento soggettivo di esclusione della responsabilità penale
del medico.
Il
principio in esame è stato stabilito dai giudici di Cassazione, chiamati a
pronunciarsi sulla configurazione di una responsabilità penale per la condotta
tenuta da un primario, a norma della Legge n. 189/2012, in materia di tutela
della salute, per aver questo rinviato un intervento già programmato (nella
specie, un taglio cesareo), cagionando per negligenza l’interruzione della
gravidanza.
Estinto
il reato ascritto per prescrizione, il primario è stato condannato dalla Corte
d’Appello del luogo al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Avverso tale sentenza, lo stesso ha proposto ricorso in Cassazione.
Il
medico contesta la sentenza di merito per il fatto che “il sopravvenuto art. 3
della legge 8 novembre 2012, n. 189 esclude la responsabilità penale per colpa
lieve dell’esercente la professione sanitaria il quale si attenga a linee guida
e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, le quali non prevedono
il parto cesareo come intervento da praticarsi nei casi di epatogestosi, quale
quello riscontrato nei confronti della persona offesa”.
La
Suprema Corte ha
confermato la sentenza impugnata, configurando la condotta incriminata come contraria
alle “buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”. In particolare,
non si potrebbe parlare di colpa lieve nel caso esaminato per la grave
negligenza e imperizia tenuta dal primario.
Nelle
motivazioni della sentenza della Corte di cassazione leggiamo: “La condotta
ascritta all’imputato non può assolutamente essere ritenuta come connotata da
colpa lieve, nelle concrete circostanze della vicenda. A questo punto
determinante è la considerazione per la quale il parto cesareo era stato in concreto
programmato come intervento urgente. Tanto esclude che il rinvio
dell’operazione, oltretutto non accompagnato da un monitoraggio cardiografico
della paziente, fosse conforme a buone pratiche, e comunque nel momento in cui
il feto cessava di vivere la notte seguente alla giornata programmata per il
taglio cesareo, rende coerenti le conclusioni della sentenza impugnata
sull’essere tale intervento l’unico a quel punto idoneo ad impedire l’evento
letale”.
Di
conseguenza, la Cassazione
ha rigettato il ricorso e confermato la condanna al risarcimento dei danni
cagionati alla paziente.
Lorenzo Dispero (da
filodiritto.com del 26.2.2014)