La mancanza di una sottoscrizione
non configura un falso innocuo o grossolano.
La falsa dichiarazione resta falsa dichiarazione
Cass.
Sez. V Pen., Sent. 18.12.2013, n. 51166
La
falsa dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, seppur priva di una
delle molteplici sottoscrizioni degli apparenti dichiaranti, è idonea a ledere
il bene giuridico della fede pubblica ed è dunque sanzionabile. È quanto si
legge in una recente sentenza della Cassazione in tema di falsità di atti
pubblici.
Nel
caso in esame, un soggetto veniva condannato dai giudici di merito per il reato
di falsità materiale in atti pubblici commessa da privato (reato disciplinato
dal combinato disposto degli articoli 476 e 482 del Codice Penale), per aver
prodotto un atto di notorietà falso. Lo stesso ero privo di una delle numerose
sottoscrizioni degli apparenti dichiaranti, ma tale vizio non era stato
individuato dall’ufficio ricevente. La falsità del documento era stata scoperta
in seguito a denuncia della persona offesa.
Avverso
tale condanna, confermata dalla Corte d’Appello del luogo, il condannato ha
proposto ricorso in Cassazione, adducendo “illogicità della motivazione”, in
quanto la condotta non integrava alcuna fattispecie criminosa, data la non
offensività della stessa.
Nel
ricorso si afferma che la falsificazione dell’atto pubblico non integrerebbe
gli estremi del reato disciplinato dagli articoli richiamati, in quanto la
presenza di tutte le sottoscrizioni degli apparenti dichiaranti è un elemento
necessario, richiesto ai fini della validità dell’atto. La mancanza di una di
queste, come nel caso di specie, rende l’atto invalido e irrilevante per il
diritto in quanto lo stesso si collocherebbe nella categoria del cosiddetto falso
grossolano o innocuo.
I
giudici di Cassazione hanno respinto il ricorso, confermando la sentenza di
condanna del ricorrente per il reato ascritto.
Motivando
la decisione, i giudici di legittimità hanno innanzitutto definito le categorie
di falso grossolano e di falso innocuo: “il primo si ha ogni qualvolta la
contraffazione è talmente maldestra ed evidente da impedire alle persone cui è
destinata di essere tratte in inganno”; “il secondo si ha normalmente nel caso
di una contraffazione che, pur non immediatamente percepibile come tale, si
caratterizza per la sua irrilevanza ai fini della funzionalità dell’atto; la
falsità cade su elementi dell’atto che sono irrilevanti per il raggiungimento
del suo scopo, nel senso che l’atto sarebbe produttivo di effetti anche senza
quella parte”.
Dalle
definizioni testé enunciate, la
Corte ha escluso la riconducibilità della falsificazione
operata dal reo nelle categorie di falso innocuo e grossolano, in quanto idonea
a raggiungere lo scopo e a ledere l’interesse giuridico tutelato (la fede
pubblica). Tant’è che l’ufficio ricevente non aveva rilevato il vizio di
validità e l’atto avrebbe prodotto i suoi effetti in mancanza della querela da
parte della persona offesa.
In
conclusione, in forza della pronuncia della Cassazione, si può affermare che,
nella falsificazione di un atto, l’assenza di un elemento essenziale ma
impercettibile nell’economia dell’atto stesso impedisce la configurabilità del
falso nelle categorie di falso innocuo o grossolano, con la conseguenza che, in
conformità del principio di offensività, la condotta risulta idonea a ledere il
bene giuridico tutelato ed è dunque legittima la sanzione.
(Da filodiritto.com del 29.1.2014)