Cass.
Pen., SS.UU., sent. 6.2.2014 n° 5838
Le
dichiarazioni spontanee rese dall'indagato debbono intendersi equiparate, al
fine della interruzione della prescrizione, all'interrogatorio. E' quanto
emerge dalla sentenza 6 febbraio 2014, n. 5838 delle Sezioni Unite Penali della
Corte di Cassazione.
L'art.
374 c.p.p., con riferimento alla fase procedimentale delle indagini
preliminari, dispone che chi ha notizia che nei suoi confronti sono svolte
indagini, ha facoltà di presentarsi al pubblico ministero e di rilasciare
dichiarazioni. Ai sensi del successivo comma 2, quando il fatto per cui si
procede è contestato a chi si presenta spontaneamente e questi è ammesso a
esporre le sue discolpe, l'atto così compiuto equivale per ogni effetto ad
interrogatorio. In tale ipotesi si applicano le disposizioni previste dagli
articoli 64, 65 e 364.
Dalla
formulazione delle norme anzidette balza evidente che, in caso di spontanea
presentazione dell'indagato, qualora gli siano contestati i fatti per cui si
procede, le sue dichiarazioni equivalgono, ad ogni effetto, all'interrogatorio.
Considerato, allora, che l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero od
al giudice rientra nell'elenco tassativo degli atti aventi efficacia
interruttiva del corso della prescrizione, di cui all'art. 160 c.p., ne deriva
che le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di presentazione spontanea
possono dispiegare efficacia interruttiva, al pari dell'ordinario
interrogatorio, sempre che siano rese all'autorità giudiziaria (e non già,
dunque, alla polizia giudiziaria) ed in esito a contestazione del fatto per cui
si procede. Conseguentemente, il quesito riguardante la rilevanza delle
dichiarazioni spontanee come atto interruttivo della prescrizione deve trovare
risposta affermativa.
"A
siffatta opinione non potrebbe, di certo, obiettarsi che, in mancanza di
previsione delle dichiarazioni spontanee nel novero degli atti interruttivi
della prescrizione di cui all'art. 160 cod. pen., avente carattere tassativo
(Sez. U, n. 21833 del 22/02/2007, Iordache, Rv. 236372), l'attribuzione ad esse
di valenza interruttiva si risolverebbe in un'interpretazione estensiva in
malam partem, posto che l'equiparazione delle stesse all'interrogatorio - che è
atto, normativamente, dotato di capacità interruttiva -non è frutto di attività
ermeneutica, essendo prevista ex lege dal menzionato art. 374, comma 2, del
codice di rito".
In
merito all'ambito di esplicazione della relativa efficacia, l'art. 161, comma
primo, c.p. dispone che la sospensione e la interruzione della prescrizione
hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato.
"L'applicazione dell'anzidetto principio alla fattispecie in esame
postula, com'è ovvio, l'individuazione delle specifiche posizioni concorsuali
in relazione a ciascun reato, posto che l'estensione prevista dall'art. 161,
comma primo, c.p., riguarda i concorrenti di un determinato reato e non può,
quindi, indiscriminatamente applicarsi a quanti, per ragioni di connessione,
siano imputati nello stesso procedimento per fatti diversamente qualificati e
contestualizzati".
(Da Altalex del
27.2.2014. Nota di Simone Marani)