Cass.
Pen. SS.UU. 14.1.2014 n. 585
Il
caso di cui si occupa la
Suprema Corte di Cassazione a Sezione Unite, vede come
protagonista un uomo il quale ha proposto ricorso in Cassazione avverso la
sentenza della Corte d'Appello di Perugia che ha accolto parzialmente la sua
domanda volta ad ottenere l'equo indennizzo del danno non patrimoniale subito
per l'irragionevole durata di una vertenza di divisione ereditaria.
Nella
specie, l'indennizzo era stato riconosciuto esclusivamente per il periodo in
cui lo stesso si era costituito in giudizio e non, invece, per il lasso di
tempo in cui era rimasto contumace.
Premesso
che la contumacia assurge a comportamento processuale della parte, quale forma
di esercizio del diritto di difesa, alternativo alla costituzione in giudizio,
va evidenziato che, nel caso de quo, i motivi sui quali si articola il ricorso
in Cassazione sono sostanzialmente due.
Più
precisamente, con il primo motivo si lamenta che erroneamente il giudice
d'appello abbia limitato l'indennizzo al periodo successivo alla costituzione
in giudizio del ricorrente.
E
ciò in palese violazione sia della L.24 marzo 2001 n.89 ( cd. Legge Pinto), sia
dell'art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle libertà fondamentali che non contemplano alcuna ipotesi di
"diritto" ad ottenere l'indennizzo de quo che resta, invece,
circoscritto ai soli casi di "partecipazione attiva al processo"
protrattosi irragionevolmente.
In
merito a tale questione, si è delineato un contrasto tra due orientamenti
giurisprudenziali di legittimità, la cui composizione è stata demandata alle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
In
particolare, un filone giurisprudenziale ritiene che l'indennizzo per durata
irragionevole del processo spetti anche a colui il quale rivesta la qualifica
di "contumace" ovvero a chi scelga di non costituirsi nel giudizio e,
quindi, di non assumere la veste di parte processuale.( Cfr. Cass.Pen. 12
ottobre 2007 n.21508; Cass.Pen.2 aprile 2010 n.8130 ; Cass.Pen. 1 novembre 2011
n.27091; Cass.Pen. 14 dicembre 2012 n.23153; Cass.Pen. 21 febbraio 2013
n.4387).
Altra
corrente giurisprudenziale, invece, riconosce agli eredi la possibilità di
ottenere l'equa riparazione, successivamente alla morte del de cuius, soltanto
laddove gli stessi si siano costituiti in giudizio in proprio.
Tale
condizione imprescindibile è strettamente collegata al "patos", ossia
alla sofferenza psichica che solo la parte processuale può subire a causa del
superamento del limite ragionevole di durata del processo.
Tra
i due orientamenti gli Ermellini ritengono di dover aderire al primo.
Ed
infatti, per come evidenziato dai Giudici della Suprema Corte a Sezioni Unite,
posto che ogni individuo, sia esso costituito in giudizio o meno, ha diritto ad
una definizione del giudizio in tempi ragionevoli, l'art. 2 della L. 27 marzo
2001 n.89 (cd. Legge Pinto) garantisce un equo indennizzo a " chi ha
subito un danno patrimoniale o non patrimoniale" a seguito della
violazione del principio suddetto.
Pertanto,
si badi bene, secondo quanto affermato dalla Cassazione a Sezioni Unite,
"la tutela è apprestata indistintamente a tutti coloro i quali sono
coinvolti in un procedimento giurisdizionale, tra i quali non può non essere
annoverata anche la parte non costituita in giudizio nei cui confronti la
decisione è comunque destinata a esplicare i suoi effetti".
Di
conseguenza, seguendo l'iter logico-argomentativo dei Giudici di legittimità,
non può non ritenersi tenersi conto del disposto di cui all'art. 111 della
Costituzione che nel garantire lo svolgimento del processo nel pieno
contraddittorio tra le parti , demanda alla legge il compito di assicurare la
ragionevole durata dello stesso anche nei confronti del contumace il quale
assume, a tutti gli effetti, la qualità di parte processuale.
In
buona sostanza, il protrarsi eccessivo del processo, è, senza alcun dubbio,
fonte di danno non patrimoniale derivante dall'attesa, prolungata nel tempo, di
una decisione che ha sempre effetto sulla parte nei cui confronti viene
assunta.
E
ciò, ribadiscono gli Ermellini, a prescindere dalla costituzione in giudizio o
meno del soggetto che subisce come e comunque una sofferenza psicologica.
Va
da sé, quindi, che " la mancata costituzione in giudizio può eventualmente
influire sull'an o sul quantum dell'equa riparazione, ma non costituisce di per
sé motivo per escludere senz'altro il relativo diritto".
Maria Manuela Leuzzi
(da studiocataldi.it del 10.2.2014)