Cass.
Pen. Sez.III, 14.11.2013, n.45648
Il
delitto di atti persecutori (c.d.stalking), di cui all’art.612-bis del codice
penale, si identifica senz’altro tra quelli di parte speciale nell’ambito del
diritto penale sostanziale che, dal momento della sua introduzione per opera
della Legge n.38 del 2009 ad oggi, ha incontrato il maggior numero di modifiche
e integrazioni.
Ed
infatti, sull’onda della repressione di condotte denotate da maggiore allarme
sociale e in costante e progressivo aumento, come appunto il reato di atti
persecutori, il legislatore è intervenuto ripetutamente con lo strumento del
decreto legge tendente all’inasprimento del trattamento sanzionatorio e dei
presupposti di procedibilità.
Già
con il decreto legge n.78 del 2013, poi convertito dalla legge n.94 del 9
agosto 2013, l’originaria pena detentiva è stata aumentata da quattro a cinque
anni di reclusione, conseguendo a ciò una modifica di non poco momento per ciò
che concerne la procedibilità del reato, dato che detto inasprimento di pena ha
fatto si che ora non si proceda più, come in passato, con richiesta di
citazione diretta a giudizio ex art.550 C.p.p., ma bensì a mezzo richiesta di
rinvio a giudizio ai sensi degli artt.416 e seguenti C.p.p., ovvero di giudizio
immediato (art.453 C.p.p.), quest’ultimo persino obbligatorio nelle ipotesi di
cui all’art.453, comma 1-bis C.p.p., laddove la persona sottoposta ad indagini
si trovi in stato di custodia cautelare in ordine al reato per il quale si
procede ed entro centottanta giorni dall’esecuzione della misura (salvo che la
richiesta non pregiudichi gravemente le indagini).
Con
decreto legge n.93 dell’agosto 2013, poi convertito dalla legge 15 ottobre
2013, n.119, il delitto di stalking è stato poi introdotto nel catalogo di
quelli per i quali vige l’arresto obbligatorio in flagranza ex art.380, comma
2, lettera l-ter C.p.p.
Trattandosi
di reato c.d. abituale, per il quale non si richiede che tutte le singole
condotte che realizzano il delitto costituiscano autonome ipotesi di reato,
diviene possibile procedere all’arresto in flagranza dello stalker anche a
seguito dell’accertamento di un solo “segmento” della condotta che, pure non
costituendo autonomo reato, mostri rilevanza in punto indiziario al fine della
valutazione della condotta complessivamente considerata.
Il
decreto legge n.93 del 2013 aveva già dilatato la sfera delle circostanze
aggravanti previste al comma 2 dell’art.612-bis C.p., introducendo quali
ulteriori aggravanti quella del fatto commesso dal coniuge, quindi anche in
costanza del vincolo matrimoniale e non solamente da quello separato o
divorziato, nonché dei fatti commessi mediante l’impiego di strumenti
informatici e telematici.
La
legge n.119 del 2013 di conversione del predetto d.l. n.93, ha successivamente
ampliato l’aggravamento di pena già previsto per le ipotesi di “pregresse
relazioni affettive” tra il persecutore e la vittima, anche ai casi in cui il
rapporto “di fatto” sia attuale (fatto commesso da persona tuttora legata da
relazione affettiva alla persona offesa).
Da
ultimo la Suprema Corte
con la sentenza in commento, riallacciandosi a precedenti decisioni
sostanzialmente analoghe (cfr.tra le altre, Cass.pen.sez.V, n.25527/2010;
sezione V, 21 gennaio 2010 e sez.V, 2 marzo 2010), ha inteso puntualizzare che
per la “configurazione del requisito della reiterazione[1] delle condotte di
minaccia o di molestia rilevanti per integrare il proprium dell’elemento
oggettivo dello stalking, bastano anche due soli episodi di molestia o di
minaccia, atteso che il termine reiterare denota la ripetizione della condotta,
ma a tal fine non è necessario che si tratti di una ripetizione insistita e
plurima, bastando anche la ripetizione della condotta una seconda volta”.[2]
Detta
condotta, purché reiterata almeno una seconda volta nei termini appena
precisati, dovrà poi concretizzare uno dei tre eventi previsti alternativamente
dall’art.612-bis ai fini della consumazione del reato: cagionare un perdurante
e grave stato di ansia o di paura; ingenerare nella vittima un fondato timore
per la propria o altrui incolumità; costringere la vittima medesima a
modificare le proprie abitudini di vita.
Di
palmare evidenza si presentano anche le ulteriori considerazioni spese dalla
Corte in ordine sia alla reciprocità delle condotte minacciose o moleste, sia
in ordine alla dimostrazione effettiva del reato in parola.
Quanto
al primo connotato, si è precisato che l’integrazione del reato non può
rifiutarsi a priori in ipotesi di vicendevoli condotte minacciose o moleste, quindi
in qualche maniera ricavabili anche dal contegno tenuto dalla vittima.
Spetta
in tal caso al giudicante una pregnante disamina circa la sussistenza di una
arbitraria predominanza di uno degli antagonisti, così da potere connotare gli
impulsi molesti o minacciosi come tipicamente persecutori e le repliche della
vittima come estrinsecazione di un atteggiamento meramente difensivo, atteso che sovente la
condizione di stress e di ansia in cui versa la vittima possono
originare
nella stessa risposte istintive verso lo stalker, piuttosto che uno sterile
immobilismo e incapacità di opporsi, senza per ciò escludere la configurabilità
del delitto.
Rispetto
alla prova concreta del reato invece, la stessa si può tranquillamente desumere
dalle dichiarazioni della vittima e dal suo contegno conseguente alla condotta,
oltre che dalla condotta dello stesso molestatore, in relazione anche
all’ambito spazio-temporale in cui si svolge l’evento.
La
dimostrazione degli stati di paura e di ansia, inoltre, non postulano la
constatazione di uno stato patologico, essendo sufficiente che gli atti
persecutori “abbiano un effetto destabilizzante della serenità e
dell’equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie
incriminatrice dell’art.612-bis C.p. non costituisce una duplicazione del reato
di lesioni ex art.582 C.p”.[3]
Si
deve tuttavia chiarire che gli stati di ansia e di paura non collimano in
realtà a pertinenti tipologie nosografiche o psichiatriche e pertanto è sempre
necessario fronteggiare il pericolo insito di fondare il vaglio probatorio
sulle mere percezioni soggettive della vittima.
Sul
punto è apparso opportuno alla Corte che lo stesso giudicante “valorizzi una
lettura oggettiva, anche attraverso l’adeguata considerazione degli aggettivi
grave e perdurante utilizzati dal legislatore, così da attribuire rilevanza
penale solo a situazioni effettivamente significative e non anche alle
sensazioni (di per sé opinabili) del denunciante…anche alla luce dei
comportamenti tenuti dall’agente, in quanto idonei a determinare in una persona
comune tale effetto destabilizzante”.
Alessandro Buzzoni (da
diritto.it del 17.2.2014)
[1] Trattandosi di reato tipicamente abituale, le condotte
di minaccia e molestie devono essere reiterate per assumere rilievo ai fini del
delitto di atti persecutori.
[2] Cfr. sul punto massima in commento, su Guida al Diritto
n.7/2014, a cura di G.Amato.
[3] Non vi è pertanto necessità di una certificazione
sanitaria a riscontro, come ad esempio l’attestazione di una sindrome ansioso
depressiva.