Trib. Torino, sez. III civ., sent.
21.6.2013 n° 4573
La
legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione diretta
all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la
cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie
giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva
titolarità del rapporto dedotto in causa.
È
questo il principio di diritto affermato dal Tribunale di Torino nella sentenza
del 21 giugno 2013.
Nel
caso di specie un dato condominio, in persona del suo amministratore, si
opponeva ad un decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Torino gli aveva
ordinato di pagare una certa somma a titolo di corrispettivo al ricorrente per
prestazioni che quest’ultimo avrebbe reso in qualità di Direttore dei Lavori in
relazione ad un intervento di ristrutturazione del tetto condominiale.
Il
condominio, in particolare, eccepiva la carenza di legittimazione attiva della
parte ricorrente dal momento che durante l’assemblea condominiale, in occasione
della quale si riteneva necessario eseguire lavori di manutenzione
straordinaria del tetto, la progettazione, la direzione dei lavori ed il
coordinamento della sicurezza non erano stati affidati alla parte convenuta ma
a suo figlio.
Il
giudice di primo grado, investito della questione, pur riconoscendo - come
vedremo tra breve - la legittimazione ad agire della parte convenuta, accoglie
l’opposizione proposta dall’attore opponente e dunque ordina al revoca del
decreto ingiuntivo opposto sulla base della seguente motivazione.
Innanzitutto,
il Tribunale di Torino precisa che, come sostenuto dalla parte attrice
opponente, l’incarico conferito dal figlio al padre di seguire i lavori in
qualità di direttore dei medesimi non può produrre i propri effetti nei
confronti del condominio dal momento che, ai sensi dell’art. 1372 c.c., il
contratto esplica la propria efficacia soltanto tra le parti, salvi i casi
previsti dalla legge.
“Invero
- afferma il giudice di primo grado - l’incarico conferito dall’Arch. F.D. al
proprio padre Arch. F.E. di seguire i lavori come direzione lavori non può
spiegare efficacia alcuna nei confronti del CONDOMINIO XXX , ostandovi il
fondamentale c.d. “principio di relatività del contratto”, consacrato nell’art.
1372 c.c., ai sensi del quale il contratto “non produce effetto rispetto ai
terzi che nei casi previsti dalla legge””.
In
secondo luogo, il giudice di primo grado, ricorda come secondo una consolidata
giurisprudenza di legittimità, legittimazione attiva in senso stretto e
titolarità del diritto non necessariamente coincidono, riscontrandosi la prima
ogniqualvolta vi sia una coincidenza tra chi propone la domanda e colui che
nella domanda stessa è “affermato” titolare del diritto e tra colui contro il
quale la domanda è proposta e colui che
nella domanda stessa è “affermato” soggetto passivo del diritto o, comunque,
“violatore” di quel diritto.
Ne
consegue che, a differenza della legitimatio ad causam (il cui eventuale
difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), intesa come
il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione
di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole, l’eccezione
relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo
appunto al merito, non è rilevabile d’ufficio, ma è affidata alla disponibilità
delle parti e, dunque, per farla valere proficuamente, deve essere
tempestivamente formulata (V., da ultimo, Cass. Civ., sez. II, 27 giugno 2011,
n. 14177; Cass. Civ., sez. II, 10 maggio 2010, n. 11284; Cass. Civ., SS.UU., 24
dicembre 2009, n. 27346; Cass. Civ., sez. II, 3 giugno 2009, n. 12832; Cass.
Civ., sez. III, 9 aprile 2009, n. 8699; Cass. Civ., sez. III, 15 settembre
2008, n. 23670; Cass. Civ., sez. I, 16 maggio 2007, n. 11321; Cass. Civ., sez.
I, 28 febbraio 2007, n. 4776).
Applicando
tale giurisprudenza al caso di specie, il Tribunale di Torino giunge a
concludere che la parte convenuta, se da un lato è legittimata ad agire,
essendovi coincidenza tra chi ha proposto la domanda nel procedimento monitorio
e nel giudizio di opposizione, ossia la parte opposta, e colui che nella
domanda stessa è “affermato” titolare del diritto di credito nei confronti della
parte attrice, ossia la parte opposta), dall’altro lato la medesima non può
considerarsi titolare della pretesa sostanziale dedotta in giudizio.
Nel
nostro ordinamento il contratto produce i propri effetti soltanto tra le parti
e non anche nei confronti dei terzi, salvo i casi previsti dalla legge (art.
1372 c.c.), trattandosi di un autoregolamento di interessi privati e, quindi,
in definitiva, uno strumento attraverso il quale i soggetti dispongono della
propria sfera personale e patrimoniale.
La
legittimazione ad agire o contraddire può essere definita come quella
condizione dell’azione che consiste nella coincidenza tra chi propone la
domanda e colui che nella domanda stessa è “affermato” titolare del diritto
(c.d. legitimatio ad causam attiva) e tra colui contro il quale la domanda è proposta e colui che nella domanda stessa è
“affermato” soggetto passivo del diritto o, comunque, “violatore” di quel
diritto (c.d. legitimatio ad causam passiva).
La
legittimazione ad agire costituisce, quindi, una condizione dell’azione diretta
all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la
cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie
giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità
del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della causa investendo
i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua
fondatezza.
(Da Altalex del
7.2.2014. Nota di Elisa Cinini)