Cass.
Civ., sez. III, sent. 14.1.2014 n° 531
La
sentenza n. 531/2014 della Corte di Cassazione (III Sez. civile) rappresenta
un’ulteriore occasione per la
Suprema Corte di chiarire le nozioni di “danno esistenziale”
e “danno biologico”, locuzioni queste troppo spesso utilizzate in modo
inopportuno o quanto meno inappropriato.
L’organo
giurisdizionale, giudicando in merito ad una controversia sorta in seguito ad
un grave incidente ai danni di un operario verificatosi per il cedimento di una
piattaforma su cui lo stesso aveva preso posto, puntualizza che le espressioni
“danno esistenziale” e “danno biologico” non esprimono distinte categorie di
danno, tantomeno l’uno può considerarsi una sottocategoria dell’altro,
trattandosi, piuttosto di locuzioni meramente descrittive dell’unica categoria
di danno, che è quella del danno non patrimoniale, da identificarsi nel danno
determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da
rilevanza economica.
In
realtà, quindi, nel caso di specie, sostiene la Corte non vi è alcuna
incongruenza logica-giuridica nel fatto che i giudici del merito, abbiano
riconosciuto il risarcimento del danno esistenziale e non già di quello
biologico. Difatti, oltre a quanto già sostenuto in merito al carattere
meramente descrittivo di siffatte locuzioni, si rammenta che le Sezioni Unite
della Corte di Cassazione, nel procedere alla sistemazione della figura del
“danno non patrimoniale” con le note sentenze di San Martino, hanno chiaramente
affermato che, in tema di danno alla persona, il riconoscimento del carattere
“omnicomprensivo” del risarcimento del danno non patrimoniale non può andare a
scapito del principio della “integralità” del risarcimento medesimo. Corollario
di detto principio è che il danno biologico (cioè la lesione della salute),
quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale
(altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle
condizioni di vita quotidiane) non costituiscono una conseguenza indefettibile
in tema di lesione dei diritti della persona, occorrendo valutare, caso per
caso, se il danno non patrimoniale, nella fattispecie concreta, presenti o meno
siffatti aspetti. Il compito del giudice consiste, dunque, nell’accertare
l’effettiva consistenza del pregiudizio arrecato, a prescindere dal nome
attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si
siano verificate e procedendo alla loro integrale riparazione.
Ne
consegue che la mancanza di danno biologico non esclude la configurabilità in
astratto di un danno morale soggettivo (da sofferenza interiore) e di un danno
dinamico-relazionale, quale conseguenza, autonoma, della lesione medicalmente
accertabile, che si colloca e si dipana nella sfera dinamico-relazionale del
soggetto. Inoltre quando il fatto lesivo ha profondamente alterato il
complessivo assetto dei rapporti personali all’interno della famiglia,
provocando, come nel caso di specie, una rimarchevole dilatazione dei bisogni e
dei doveri ed una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività
che dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente
nello sconvolgimento delle abitudini di vita del genitore in relazione
all’esigenza di provvedere perennemente ai bisogni del figlio, sopravvissuto a
lesioni seriamente invalidanti, deve senz’altro trovare ristoro nell’ambito
della tutela ulteriore apprestata dall’art. 2059 cod. civ. in caso di lesione
di un interesse della persona costituzionalmente protetto (Cass. 31 maggio
2003, n. 8827; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20324; Cass. 12 giugno 2006, n.
13546).
(Da Altalex del 29.1.2014.
Nota di Michele Iaselli)