Un GDP che, applicando correttamente il Codice del
Consumo (CC), dichiara la sua incompetenza a favore del foro del consumatore, è
obbligato ad astenersi visto che riceve un compenso aggiuntivo per questa
attività (positiva o negativa) e che il combinato disposto degli artt. 10,
comma I, L374/91 (Istituzione del Giudice di Pace) e 51, comma II, cpc mina la
sua imparzialità modificando sostanzialmente il volume dei suoi affari col
rischio della paralisi del suo ufficio?
La
Corte Costituzionale
con l’ordinanza n.242, emessa il 9 e depositata il 17 ottobre 2013, ha risposto a questi
dubbi escludendo sia la sussistenza di <<gravi ragioni di convenienza
personale>> e , perciò, la possibilità di ravvisare in questa decisione
<< un personale interesse del giudice correlato al regime di trattamento
economico fondato sul “cottimo”>> nell’accogliere o respingere le
ingiunzioni. Ha anche negato che il combinato disposto degli artt. 10, comma I,
L374/91 (Istituzione del Giudice di Pace) e 51, comma II, cpc mini
l’imparzialità del GDP e ne modifichi sostanzialmente il volume dei suoi affari
col rischio della paralisi del suo ufficio.
Il caso. Una nota ditta che vende aspirapolvere (ed
altri piccoli elettrodomestici) porta a porta ed a rate depositava, presso il
GDP di Milano, un decreto ingiuntivo per il recupero crediti da un consumatore
che, però, risiedeva in Calabria. Il GDP correttamente dichiarava la sua incompetenza
territoriale perchè, essendo un contratto regolato dal Dlgs 205/06 (CC), la
giurisdizione era del foro del consumatore, perciò del GDP calabrese. Sollevava
detta questione di illegittimità costituzionale, malgrado qualche perplessità
sull’obbligo di astensione ex art. 51 cpc, per i motivi di cui sopra. Infatti
era interdetto su questo onere perché, visto l’ingente numero di decreti
presentati dalla società, rigettarli per incompetenza od accoglierli avrebbe
comportato una sensibile variazione, in positivo od in negativo, del volume dei
suoi affari, tanto più che per queste attività è previsto un compenso, nonché
la possibile paralisi del suo ufficio. Contestava anche la contrarietà del
regime di retribuzione a cottimo col principio di imparzialità cui deve essere
ispirata l’attività di ogni giudice. Ravvisava una violazione degli artt. 3, 97
e 11 Cost. esclusa, però, dalla Corte.
Astensione sì o no? Per il GDP l’esegesi delle norme,
anche alla luce del diritto vivente, è dubbia, anche se l’opinione prevalente
la impone. Orbene l’art.11, comma III bis, L.374/91 sancisce che <<in
materia civile è corrisposta altresì una indennità di euro 10,33 per ogni
decreto ingiuntivo o ordinanza ingiuntiva emessi, rispettivamente, a norma
degli articoli 641 e 186-ter del codice di procedura civile; l’indennità spetta
anche se la domanda di ingiunzione è rigettata con provvedimento motivato
>>. È chiaro il vantaggio del GDP nel rigettare le ingiunzioni. Ciò è
ribadito dalla Cass. SS.UU. 19704/12 <<secondo cui, in tutti i casi nei
quali il giudice versi in una situazione oggettiva di conflitto d’interessi
potenzialmente idonea, secondo l’id quod plerumque accidit, a minare la
condizione d’imparzialità in relazione all’esercizio della sua funzione>>
è obbligato alla <<astensione per gravi ragioni di convenienza di cui
all’art. 51, secondo comma, cod. proc. civ.>> poiché la mera facoltà di
farlo è abrogata per incompatibilità con l’art. 323 cp, così come novellato
dall’art. 1 L.234/97.
Sussiste, poi, << a prescindere da essa, in ragione del particolare
regime di astensione previsto per il giudice di pace dall’art. 10 della legge
n. 374 del 1991, che avrebbe inteso sancire il dovere di astenersi anche quando
sussistono le «gravi ragioni di convenienza» di cui alla disposizione del
codice di rito>>.
Il GDP dichiara di essere consapevole
dell’inammissibilità per manifesta infondatezza della questione de qua, che non
intende sollevarla, ma che è costretto perché ciò minerebbe la sua
imparzialità, i suoi guadagni ma soprattutto comporterebbe un aumento di costi
sociali per l’incremento dei tempi di giustizia. La Corte, però, è di opposto
parere.
La Consulta non si astiene dalla reprimenda del GDP. Ha fatto un
uso distorto del giudizio di costituzionalità, esprimendo consapevolmente tesi
contraddittorie, non esaustive e vaghe perché invoca, criticandole, norme che
tutelano la sua imparzialità imponendogli l’astensione. La rigetta, perciò, per
inammissibilità per manifesta infondatezza. È palese, anche se non
espressamente rilevato dalla Consulta, che accettare la tesi del GDP
comporterebbe la paralisi del sistema giudiziario, con ovvio incremento della
durata dei processi e dei costi sociali: il giudice è incaricato di applicare
le leggi e per questo, a garanzia dell’imparzialità, è retribuito dallo Stato.
Svolgere il proprio dovere non è mai incostituzionale dato che è nel supremo
interesse pubblico ad un corretto funzionamento della giustizia.
Giulia Milizia (da diritto.it del 30.10.2013)