Siamo alle solite. L’ennesima prova, qualora ve ne
fosse ancora bisogno, della discrasia tra chi pensa, attua ed impone le
riforme, inaudita altera pars, e chi, dimostrando maggiore saggezza e buona conoscenza
del territorio e delle problematiche connesse, cerca in tutti i modi, anche se
con alterne fortune, di contrastarne l’attuazione.
E’ quanto è successo relativamente alla recente
riforma della cd. “geografia giudiziaria” che dal 13 settembre scorso ha
rivoluzionato, appunto, la distribuzione territoriale dell’amministrazione
della giustizia.
Come è noto la riforma ha soppresso 31 Tribunali cd.
minori e 31 Procure, 220 sedi distaccate e, a breve, scompariranno 667 Uffici
del Giudice di pace.
Questa volta avverso la riforma si è schierata non
solo la classe degli avvocati, con le sue associazioni locali e nazionali, ma
anche la politica locale.
In particolare sono stati nove Consigli regionali
(Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Friuli, Liguria, Marche, Piemonte e
Puglia) a richiedere il referendum alla Corte di Cassazione ed è la prima volta
che l’iniziativa del referendum abrogativo è promossa dalle Regioni.
E l’ufficio referendum della Cassazione, presieduto
da Corrado Carnevale, lo ha dichiarato ammissibile, facendo così sperare chi
rimane convinto che questa riforma non è la panacea di tutti i mali della
giustizia. Spetterà adesso alla Corte Costituzionale il vaglio definitivo che
si avrà entro il 20 gennaio prossimo. Ed in caso di parere favorevole andremo
alla consultazione referendaria nella prossima primavera.
A circa due mesi dalla data in cui la riforma della
geografia giudiziaria (il relativo D.L. è del settembre 2012) è stata resa
operativa, i disagi non sono certo mancati. Ma è soprattutto questa pressante e
costante idea di accorpare ed accentrare tutto ed ogni cosa a non convincere. I
cittadini dei centri più piccoli avvertono grande disagio non solo perché
costretti a “spostarsi” per la loro domanda di giustizia ma anche perché si vedono
spogliati di importanti Uffici che comunque presidiano il territorio.
E si rimane convinti che la soppressione dei
Tribunali minori non risponda neppure alle esigenze di spending review dello
Stato ed alle esigenze di maggiore e più efficiente giustizia dei cittadini.
Ben ci sta pertanto che la Cassazione ha
dichiarato ammissibile il referendum abrogativo.
Del resto siamo costretti a registrare che questo è
l’unico modo rimasto di partecipazione diretta dei cittadini
all’amministrazione della cosa pubblica atteso che il governo centrale sembra
diventare sempre più sordo alle esigenze espresse dal territorio ed alle
richieste che provengono dalle forze o associazioni rappresentative.
E’ nelle cronache che il Ministro della Giustizia ha
rifiutato sistematicamente le varie richieste di incontro fattele pervenire
dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura per affrontare insieme, sentendo la
voce degli operatori del diritto, quelli che sono i tanti problemi che sono
emersi dall’applicazione della riforma.
Forse che il Ministro non trova il tempo per
incontrare gli avvocati perché troppo impegnato nelle sue conversazioni
telefoniche?
Massimo Carpino - Delegato di Cassa Forense (da CF Newsletter n.
10/2013)