venerdì 8 novembre 2013

Azione disciplinare, prescrizione rilevabile d’ufficio

La sentenza 9 ottobre 2013, n. 22956 della Cassazione civile, sezioni unite, conferma e consolida l’orientamento secondo il quale la prescrizione quinquennale dell'azione disciplinare, stante la natura pubblicistica della materia, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio disciplinare e anche in sede di legittimità (cfr. Cass. S.U. 11 marzo 2004 n. 5038; 26 giugno 2003, n. 10162; e più recentemente sentenza 7 dicembre 2012, n. 22266).

In passato la questione era controversa e secondo l’opinione più autorevole[i] l'azione disciplinare, per quanto concerne la prescrizione, è retta dalle disposizioni civilistiche; i corollari di questa impostazione dogmatica sono che il suo termine resta sospeso per tutto il corso del procedimento giurisdizionale innanzi al CNF (non così per quello innanzi al Consiglio locale, che ha natura amministrativa) e soprattutto – per quanto qui rileva – che detta prescrizione non possa essere rilevata d’ufficio.

L’orientamento oggi commentato si consolida in direzione opposta, ma con alcune precisazioni.

La motivazione afferma (riportandosi pedissequamente alla precedente Cass., sezioni unite, sentenza 7 dicembre 2012, n. 22266) che l’eccezione può essere sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione “allorché il relativo esame non comporti indagini fattuali”.

Come è noto, i cinque motivi che consentono alla parte soccombente di ricorrere in Cassazione sono di puro diritto poichè rimane escluso dal giudizio di legittimità ogni riesame del fatto relativo al merito della causa.

Nel caso specifico, il merito della causa è la falsa dichiarazione resa dall’avvocato al fine di incassare una somma di denaro.

Diverso è il fatto che riguarda lo svolgimento del processo e quindi le sue eventuali invalidità (come direbbe il processualista[ii] “non il fatto della lite ma il fatto interno al processo”).

Questi fatti interni al processo, che si deducono come errores in procedendo, possono essere valutati solo con l’accesso diretto al fascicolo.

Ci sembra quindi che la questione non vada posta in termini di indagini di fatto, bensì come violazione del principio di autosufficienza.

Secondo tale principio il ricorso deve consentire, in base alla sua sola lettura, di comprendere le censure sollevate non bastando il rinvio alla sentenza né ad altri atti, né alle risultanze istruttorie compresi i documenti il cui contenuto va riportato con la precisa indicazione della sede processuale ove il testo è rinvenibile.

Il ricorrente avrebbe dovuto quindi argomentare meglio l’eccezione di prescrizione non limitandosi a dedurre che erano decorsi otto anni dal fatto illecito, ma specificamente indicando anche gli atti interruttivi del procedimento disciplinare innanzi al Consiglio dell’Ordine e il decorso del termine quinquennale al loro interno.

La sentenza in commento indica alcuni di questi atti interruttivi, ai quali aggiungiamo quelli più frequentemente richiamati in giurisprudenza: la comunicazione di apertura del procedimento disciplinare, il decreto di citazione e la notificazione della decisione.

Possiamo dunque concludere che l’orientamento consolidato è nel senso della possibile rilevabilità d’ufficio della prescrizione, sia dal Consiglio dell’Ordine che dal Consiglio Nazionale Forense, e anche in Cassazione, ma (in quest’ultima sede) con i limiti derivanti da ciò che emerge dalla sentenza del CNF, giacchè la Suprema Corte non esaminerà direttamente gli atti della prima fase; inoltre che l’eccezione di parte può essere proposta anche in Cassazione, ma avendo cura di specificare e riportare tutti gli atti interruttivi verificatisi nella fase amministrativa innanzi al Consiglio territoriale.

E ancora: la ratio di questa disciplina della prescrizione si fonda su un “impulso pubblicistico che domina il suddetto procedimento e sugli interessi di natura indubbiamente non privatistica che esso mira a tutelare” (così Cass., sezioni unite, 2 giugno 1997, n. 4902).

Il procedimento disciplinare, quindi, non è dettato a protezione dei professionisti bensì a tutela della collettività; l’interesse dei singoli iscritti si identifica con quello collettivo, tendendo a sanzionare (e, ove occorra, anche allontanare) chi non rispetta le regole deontologiche dettate e condivise dal corpo professionale.

Tale interesse richiede pertanto che si proceda con rapidità all’istruzione dei casi disciplinari, come confermano queste divertenti massime:

“...gli atti interruttivi della prescrizione verificatisi durante la prima fase amministrativa davanti al C.d.O. producono soltanto effetti istantanei e dal verificarsi degli stessi comincia a decorrere un nuovo termine quinquennale di prescrizione. Nella specie la delibera di rinvio a giudizio era stata emessa ben oltre sei anni dopo la delibera di apertura del procedimento che peraltro in quella data era comunque prescritto in quanto aperto ben oltre cinque anni dalla commissione del fatto” (CNF, 10 novembre 2005, n. 139).

“Va dichiarata la prescrizione dell'azione disciplinare qualora, ... tra la data dell'udienza dibattimentale nella quale il procedimento è stato trattato e deciso dal Consiglio dell'Ordine e la data del deposito della decisione, sia ampiamente decorso il relativo termine di cui all'art. 51 r.d.l. n. 1578/33, termine pertanto a maggior ragione decorso tra la notificazione del decreto di citazione a dibattimento e la data della notificazione della decisione, atti cui può ascriversi efficacia interruttiva della prescrizione” (CNF, 22 luglio 2011, n. 125).


(Da Altalex dell’8.11.2013. Nota di Antonino Ciavola)