Non
commette esercizio arbitrario delle proprie ragioni
il
marito che prima della separazione
fa
sparire i mobili dalla casa coniugale
Il matrimonio: croce e delizia? Ebbene si, decidere
di sposarsi e' una scelta consapevole ma solo il tempo fa luce sui tanti
conflitti caratteriali che si erano sottovalutati in precedenza e che posso
determinano fratture insanabili. Spesso quando
la convivenza coniugale diventa
insopportabile l'unica soluzione e' la separazione.
Prima di entrare nel merito della vicenda e'
opportuno fare una piccola premessa parlando di quella che è la separazione.
E' un istituto regolamentato dalle norme del codice
civile (artt. 150 e ss.), dal codice di procedura civile e da una serie di
norme speciali.
La separazione non pone fine al matrimonio, né fa
venir meno lo status giuridico di coniuge.
Incide solo su alcuni effetti propri del matrimonio
(si scioglie la comunione legale dei beni, cessano gli obblighi di fedeltà e di
coabitazione). Altri effetti, invece, residuano, ma sono limitati o
disciplinati in modo specifico (dovere di contribuire nell'interesse della
famiglia, dovere di mantenere il coniuge più debole e dovere di mantenere,
educare ed istruire la prole).
Dunque, va rilevato che anche per la configurazione
di alcuni reati e' necessario che ci sia una separazione legale dei coniugi, e
non solo di fatto.
Proprio su questo argomento si è pronunciata pochi
giorni fa la Corte
di Cassazione con la sentenza n. 46153 del 18 novembre 2013, accogliendo il
ricorso di un marito condannato dalla Corte d'appello di Palermo "per
essersi fatto arbitrariamente ragione da sé (art. 392 Cp), in quanto "al
fine di esercitare un preteso diritto e potendo ricorrere al giudice", aveva
svuotato la casa coniugale di gran parte dei mobili e suppellettili lasciandola
inabitabile alla moglie e alla figlia minore".
La
Suprema Corte
accoglieva il ricorso presentato dal marito mettendo in evidenza che la moglie
spontaneamente si allontanava dalla casa coniugale, in questo modo, il marito
aveva il pieno possesso degli arredi e che, nel caso di specie, poteva
configurarsi piuttosto il reato di
appropriazione indebita (art.646 c.p.) anziché quello di esercizio arbitrario
delle proprie ragioni (art. 392 c.p.).
Per completezza di ragionamento vale la pena
ricordare che ai sensi dell'art. 646 c.p. commette il reato di appropriazione indebita : "
chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del
denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il
possesso, è punito, a querela della
persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a
milletrentadue euro.
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di
deposito necessario la pena è aumentata.
Quindi, nel caso di specie, la Corte sostiene che poteva
contestarsi il reato di appropriazione indebita in quanto il marito aveva
trasportato il mobilio in una località ignota alla moglie.
In questo caso però i coniugi non erano legalmente
separati, dunque, ha trovato applicazione la causa di non punibilità di cui
all'art. 649 comma 1 n.1 c.p.
Nello specifico l'art. 649 comma 1 c.p. prevede la
non punibilità a querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di
congiunti.
Non è punibile
chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dallo stesso titolo in danno: 1) del
coniuge non legalmente separato; 2) di un ascendente o discendente o di un
affine in linea retta, ovvero dell'adottante, o dell'adottato; 3) di un
fratello o di una sorella che con lui convivano.
I fatti previsti
da questo titolo sono, invece, punibili a querela della persona offesa,
se commessi a danno del coniuge legalmente separato, ovvero del fratello o
della sorella che non convivano coll'autore del fatto, ovvero dello zio o del
nipote o dell'affine in secondo grado con lui conviventi.
Barbara Pirelli (da studiocataldi.it)