Nell’ambito
di una manifestazione
di interesse pubblico
o svoltasi in pubblico, il
passante,
ripreso dalla troupe televisiva,
non ha diritto al risarcimento del
danno
a titolo di violazione del diritto all’immagine
La
Suprema Corte di
Cassazione ha stabilito che, nell’ambito di una manifestazione di interesse
pubblico o svoltasi in pubblico, il passante, ripreso dalla troupe televisiva,
non ha diritto al risarcimento del danno, richiesto a titolo di violazione del
diritto all’immagine. È quanto si legge nel testo della sentenza n. 24110,
depositata il 24 ottobre in cancelleria.
Nel caso di specie, il soggetto denunciante era stato
ripreso presso la stazione ferroviaria di Milano dalle telecamere di un programma
televisivo trasmesso sulle reti nazionali, insieme ad un gruppo di manifestanti
diretti a Roma per partecipare all’evento noto come “Gay Pride”. Rivoltosi
all’autorità giudiziaria, il ricorrente denunciava violazione del diritto
all’immagine.
Esaminata la questione, i giudici di primo grado
condannavano la convenuta al pagamento di una somma di denaro a titolo di
risarcimento, successivamente restituita in seguito alla sentenza di riforma
della Corte territoriale.
La
Cassazione, chiamata a
pronunciarsi su quest’ultima decisione, ha confermato la sentenza di secondo
grado, rigettando il ricorso del proponente.
Innanzitutto, i giudici della Terza Sezione Civile
hanno constatato che, sulla base di quanto stabilito dall’articolo 97, primo
comma, della legge n. 633/1941, “non occorre il consenso della persona
ritrattata […] quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti,
cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”.
Il concetto di avvenimento o cerimonia di interesse
pubblico non può interpretarsi in senso restrittivo fino ad escludere
circostanze direttamente e immediatamente collegate all’evento stesso. Nel caso
esaminato, le riprese in cui compariva il proponente, sebbene svolte in un
luogo completamente diverso da quello della manifestazione (Milano per
l’appunto), devono considerarsi strettamente connesse al fatto di cronaca che
si voleva documentare. La previsione legislativa, secondo l’interpretazione dei
giudici di legittimità, copre anche i fatti che, seppur non integranti in sé l’evento,
si ricollegano al medesimo in modo inequivocabile.
In secondo luogo, non si registra violazione del
secondo comma del suddetto articolo, in quanto egli “è stato ripreso per
brevissimo tempo in mezzo ad una folla anonima di passeggeri, la quale faceva
solo da «generico sfondo» del contestato servizio televisivo. Un evento come il
gay pride, unitamente al costume sessuale che esso rappresenta, è in sé del
tutto lecito e privo di qualsivoglia profilo di intrinseca negatività, come
invece sembra adombrare il ricorrente, sia pure tra le righe dell’odierna
impugnazione, laddove evoca l’onore ed il decoro della persona”. Di
conseguenza, nessuna lesione dell’onore e della reputazione del soggetto.
I giudici della Corte hanno concluso il ragionamento
di motivazione della sentenza affermando che “il concetto di riservatezza –
inteso come tutela del diritto a non veder indebitamente diffusa la propria
immagine – non può porsi nell’ambito di una stazione ferroviaria negli stessi
termini in cui si pone in un contesto privato. Chi si reca in una stazione,
anche solo di passaggio, o per prendere un treno o per svolgere proprie
incombenze private, deve accettare il rischio di poter essere astrattamente
individuato nella folla dei passeggeri. E tanto rientra, se così può dirsi, fra
i «rischi della vita», che non ci si può esimere dall’accettare”.
Lorenzo Pispero (da leggioggi.it del 6.11.2013))