L’Ordine forense può ben sanzionare disciplinarmente
i suoi iscritti nei casi in cui le modalità dell’esercizio dell’attività
professionale risultino violare il codice deontologico senza che ciò configuri
un’intesa restrittiva della concorrenza.
Questa affermazione, ovvia per il Consiglio Nazionale
Forense, giunge ora dall’Autorità nazionale Antitrust che ha pubblicato sul
proprio Bollettino (n. 43) la delibera sul caso relativo alla vicenda di due
iscritti all’Ordine che avevano aperto uno studio legale con vetrine sulla
pubblica via, studio pubblicizzato con l’insegna «A.L.T.» («A.L.T. – Assistenza
Legale per Tutti»), i quali erano stati destinatari di un provvedimento
disciplinare di censura per la contrarietà alle norme del Codice deontologico forense
dell’iniziativa intrapresa, considerata, sia per gli elementi di innovazione
adottati che per la relativa denominazione, eccessivamente suggestiva. In
particolare, caratteristica innovativa dello studio legale «A.L.T.» era quella
di essere «aperto su strada», in quanto inserito in locali che affacciano sulla
pubblica via, dotati di una vetrina e di un’insegna, recanti alcune
informazioni sulle caratteristiche delle prestazioni offerte, pubblicizzando la
possibilità di fruire di una prima consulenza di carattere gratuito. Nel
provvedimento disciplinare il C.d.O. di Brescia riconosceva i due legali
coinvolti responsabili dell’illecito disciplinare loro contestato, ritenendo
censurabile l’utilizzo della sigla «A.L.T.» e degli slogan «Assistenza legale
per tutti» e «Prima Consulenza Gratuita». Non è stato, invece, considerato
illecito l’esercizio dell’attività professionale «con modalità o in un ambiente
diversi da quelli tradizionali, purché siano salvaguardati il canone generale
del decoro, oltre che gli altri canoni specificamente previsti dal codice
deontologico forense (tra cui l’art. 19)».
Il provvedimento dell’Antitrust interviene all’esito
di un procedimento istruttorio avviato, su segnalazione degli stessi avvocati
interessati dalla sanzione disciplinare, per verificare se la condotta del
Consiglio dell’Ordine di Brescia costituisse un’intesa restrittiva della
concorrenza, vietata ai sensi dell’art. 2 della L. 287/1990, in quanto
finalizzata a limitare la possibilità per gli avvocati di esercitare la propria
attività avvalendosi delle diverse leve concorrenziali introdotte dalla cd.
Legge Bersani anche per la professione forense. Nel provvedimento de quo
l’Antitrust ha escluso in capo al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di
Brescia qualsiasi responsabilità riconducibile ad un’intesa restrittiva della
concorrenza per aver sanzionato disciplinarmente due avvocati che avevano
aperto uno studio legale con vetrine sulla pubblica via utilizzando come
richiamo la denominazione «A.L.T.» (modificata in seguito al giudizio in A.L.)
e slogan suggestivi, atti a provocare un accaparramento di clientela,
sanzionata dal codice deontologico forense.
Invero, il provvedimento disciplinare assunto nei
confronti degli avvocati non ha limitato l’autonomia degli stessi nelle loro
politiche di prezzo o nell’impiego degli strumenti pubblicitari. Infatti, il
provvedimento sanzionatorio, confermato nel merito dal CNF e in sede di
legittimità dalla Corte di Cassazione, si è limitato a censurare taluni aspetti
relativi alle modalità con le quali l’attività pubblicitaria è stata
effettuata, i quali sono stati ritenuti contrari ai precetti del codice
deontologico forense, segnatamente agli artt. 17, 17-bis e 19. Considerate le
peculiarità del caso di specie, il giudizio formulato dal C.d.O. di Brescia su
tali specifiche modalità di promozione dell’attività non è risultato idoneo a
produrre un effetto limitativo della concorrenza rilevante ai fini antitrust,
difettando in esso un generale condizionamento dell’autonomia dei
professionisti sul mercato.
Anna Costagliola (da diritto.it del 7.11.2013)