Il caso in esame, seppur trattato da un giudice di
prime cure, è paradigmatico poiché fotografa un problema reale che «consente ed
impone un controllo politico istituzionale sui parametri costituzionalmente
compatibili e sui limiti stabiliti dalla normativa primaria e secondaria di
settore» circa il modo con cui si realizza l’imposizione e l’esazione in
Italia. Nel caso in esame, il G.i.p. di Modena rileva come l’esasperazione del
cittadino in lotta col Fisco, possa spingerlo a difendersi prospettando la
violazione di una norma del codice penale che «obbiettivamente ha ben poco a
che fare con la attività di esazione svolta per legge da Equitalia». Gli enti
come Equitalia, infatti, esercitano semplicemente un servizio di riscossione
dei tributi non pagati - con annesse sanzioni e interessi - per conto di altri
Enti pubblici c.d. “impositori”. Ciò è possibile in quanto è la legge che ha
previsto la possibilità, per gli enti impositori, di farsi coadiuvare da altre
strutture per il recupero coattivo a mezzo Ruolo dei propri crediti erariali -
c.d. “agenti della riscossione”.
In quest’ottica, mancherebbe del tutto «l’elemento
oggettivo del delitto di usura, poiché non vi è un corrispettivo di una prestazione
di danaro o di altra utilità» in quanto «Equitalia interviene solo per
riscuotere tributi dovuti ad un ente pubblico». Secondo il provvedimento in
esame non è possibile rintracciare, nell’operato di Equitalia, nulla che si
possa assimilare a quel corrispettivo in denaro o agli altri vantaggi usurari
che l’art. 644 c.p., invece, richiede affinché si configuri il reato de quo.
Rileva correttamente il G.i.p. che «tutte le voci di
interessi che si cumulano fanno effettivamente lievitare il dovuto a somme
considerevoli e ciò viene vissuto dal debitore … come una iattura ulteriore che
ha un responsabile ben individuato in chi ha il compito - per tutti - di
riscuotere l’intero debito», ma questo soggetto ben individuato (sia esso
Equitalia o altro ente) è in realtà un semplice intermediario che non
stabilisce gli interessi da applicare né stipula alcun contratto usurario con
il cittadino.
Il G.i.p. di Modena approfitta dell’occasione per
tracciare una netta linea di discrimine tra il potere giudiziario e quello
legislativo, in quanto afferma che spetti al legislatore la scelta di rivedere
il sistema impositivo per renderlo realmente a misura di cittadino con le
dovute personalizzazioni, caso per caso.
La beffa
Sulla scorta di tali argomentazioni, il procedimento
ex art. 644 c.p. nei confronti di Equitalia, è stato archiviato e il debitore
che aveva formulato l’accusa è stato deferito al P.M. per calunnia, anche se
con la bonaria precisazione che il gesto incriminato era stato frutto «di
intolleranza verso forme di esazione ritenute odiose perché inesorabili e
sempre lievitate nel tempo» motivo per cui «non si ravvede la volontà maliziosa
del singolo di incolpare falsamente chi è responsabile dell’esazione».
In sostanza: accusare la legge - e chi la applica -
di essere ingiusta è una calunnia.
O, forse, è soltanto l’eterna dicotomia tra
giuspositivismo e giusnaturalismo che si ripropone ai nostri occhi, in forme
sempre nuove.
Basilio Antoci (estratto da
diritto.it del 19.11.2013)