La
disciplina successiva alla riforma del condominio
Oggi la riforma del condominio, che in gran parte ha
codificato l’orientamento giurisprudenziale precedente, ha introdotto il nuovo
art. 1117 ter c.c., rubricato “Modificazioni delle destinazioni d’uso”.
La modifica d’uso delle parti comuni, è dunque oggi
espressamente ammessa dal primo comma del summenzionato art. 1117 ter, c.c..
Tale modifica deve essere approvata dall’assemblea con una maggioranza che
rappresenti “i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti
del valore dell’edificio”.
È possibile, altresì, notare una differenza tra il
quorum richiesto dalla suddetta norma, con quella prevista per la nomina e la
revoca dell’amministratore (art. 1136, quarto comma, c.c.). Per nominare e
revocare l’amministratore, è infatti necessaria “la maggioranza degli
intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio” (art. 1136, secondo
comma). Nell’art. 1117 ter, c.c., dunque, il legislatore ha imposto un quorum deliberativo
più elevato di quelli ordinari.
Un’altra differenza tra le due norme, consiste nella
constatazione che quest’ultima norma richiede i quattro quindi dei partecipanti
al condominio. Il secondo comma (richiamato dal quarto comma) dell’art. 1136 c.c.
richiede, invece, la maggioranza degli intervenuti.
L’art. 1117 ter, c.c., prevede anche alcuni obblighi
procedurali, che devono essere rispettati affinché la convocazione
dell’assemblea possa dirsi validamente eseguita.
Anzitutto, il secondo comma della stessa norma,
prevede l’assolvimento di un particolare onere, che è evidentemente finalizzato
a far si che venga garantita un’adeguata pubblicità a tale convocazione.
Dispone, infatti, tale secondo comma che “La convocazione dell’assemblea deve
essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi (...)”. Oltre a
prevedere per quanto tempo tale convocazione deve rimanere affissa, con la
stessa disposizione il legislatore ha avuto cura di precisare anche in quali
luoghi bisogna provvedere a tale affissione. Ciò, chiaramente, contribuisce al
raggiungimento del suddetto principio di pubblicità della convocazione.
Precisamente, lo stesso secondo comma dispone che la convocazione deve essere
affissa “nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine
destinati...”.
Ma non basta la sola affissione del summenzionato
avviso nei luoghi sopracitati. Infatti, affinché la convocazione possa
ritenersi correttamente effettuata, la norma prevede l’assolvimento di un altro
onere, anch’esso chiaramente finalizzato non solo al raggiungimento del
suddetto principio di pubblicità, ma pure a quello della effettiva
conoscibilità della convocazione stessa.
Ai sensi dello stesso secondo comma, la convocazione
deve perciò “effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi
telematici (...)”, sarebbe dunque ammessa la notificazione a mezzo di posta
elettronica certificata. Comunque, la convocazione, o con
l’una o con l’altra modalità di comunicazione, deve
“pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione”. Chi ha
inviato tale comunicazione, resta però onerato dall’obbligo di provare la
tempestiva ricezione da parte dei destinatari. Con riferimento ai suddetti
venti giorni, si ritiene (Sforza) che devono essere intesi come “giorni liberi
interi”, e quindi si deve escludere il giorno in cui al destinatario giunge
l’avviso di convocazione.
Vi sono poi due importanti elementi che devono essere
contenuti nella convocazione, in quanto sono previsti a pena di nullità (terzo
comma, art. 1117 ter, c.c.):
1) l’indicazione di quali saranno “le parti comuni
oggetto della modificazione”.
2) “la nuova destinazione d’uso” a cui saranno
destinate le suddette parti comuni, evidentemente dopo la loro modifica.
Nella deliberazione bisognerà poi “indicare
espressamente che tutti i suddetti adempimenti sono stati effettuati” (quarto
comma, dell’art. 1117 ter, c.c.).
Da quanto sopra detto, è evidente che, per il caso in
cui all’ordine del giorno sia prevista la discussione in assemblea circa la
modifica d’uso delle parti comuni, il legislatore ha introdotto una procedura
rafforzata per la convocazione della assemblea.
Infatti, si possono rilevare queste differenze:
1) 30 giorni per l’affissione della convocazione, 20
giorni è il termine entro il quale la convocazione deve pervenire (invece, per
l’art. 66 disp. att. l’avviso di convocazione deve essere comunicato almeno 5
giorni prima dell’assemblea).
2) Maggioranze più elevate: 4/5 dei partecipanti e
che rappresentino i 4/5 del valore.
Tutto ciò per far si che, tenuto conto della
specifica importanza della deliberazione, quest’ultima sia il frutto di una
volontà che, se pur non unanime, è comunque particolarmente elevata.
L’ultimo comma dell’art. 1117 ter c.c., pone la
sicurezza, la stabilità ed il decoro architettonico, come limiti all’esercizio
del suddetto diritto di modificare la destinazione d’uso delle parti comuni.
Dispone, infatti, tale comma che “Sono vietate le modificazioni delle
destinazioni d’uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla
sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico.” Pare,
dunque, potersi affermare che tale divieto sorgerebbe anche qualora tale
pregiudizio fosse anche solo meramente possibile.
In conclusione, può essere interessante rilevare il
fine che l’art. 1117 ter, c.c., prevede affinché l’assemblea possa validamente
deliberare la modificazione d’uso delle cose in comune. Tale fine emerge dal
primo comma della suddetta norma, dove espressamente si stabilisce che “Per
soddisfare esigenze di carattere condominale (...) l’assemblea (...) può
modificare la destinazione d’uso.” Pertanto, a modesta opinione dello
scrivente, secondo un’analisi letterale di tale disposizione, l’assemblea, pur
con le maggioranze che la stessa norma impone, non sarebbe comunque legittimata
a votare una modificazione delle parti comuni, quando ciò risponda all’esigenza
di un solo condòmino.
Marcello Pugliese (estratto da diritto.it del 19.11.2013)