Diritto al pagamento non collegato
al compimento di ogni atto
L’intervento
del governo Monti sul fronte dei compensi degli avvocati non presenta problemi
di legittimità costituzionale. Almeno per quanto riguarda il profilo dell’applicazione
temporale e l’(eventuale) retroattività. L’ordinanza della Corte costituzionale
261 depositata ieri e scritta da Mario Rosario Morelli fa definitiva chiarezza
sul punto, giudicando in parte inammissibili in parte infondate le questioni
sollevate da una pluralità di tribunali (quella maggiormente approfondite dalla
Consulta sono state presentate dal tribunale di Cremona e dal giudice di pace
di Torre del Greco).
Nel
mirino era finito l’articolo 9, comma 3 del decreto legge 1/2012 nella parte in
cui dispone che «le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente
decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese
giudiziali, sino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui
al comma 2 e, comunque, non oltre il 120esimo giorno dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto» e il successivo decreto
del ministero della Giustizia n. 140 del 2012 che ha istituito la versione oggi
in vigore (se ne attende l’aggiornamento) dei parametri per la liquidazione
giudiziale dei compensi agli avvocati.
In
particolare, tra i rilevi critici, particolarmente sottolineati dal tribunale
di Cremona, aveva trovato posto l’applicazione retroattiva delle nuove tariffe
forensi anche ai processi in corso e all’attività già svolta ed esaurita prima
dell’entrata in vigore della nuova disciplina, in assenza di ragioni imperative
di interesse generale in grado di giustificare il cambiamento dei compensi in
corso di causa e le modifiche all’equilibrio contrattuale in precedenza
raggiunto.
Tuttavia
la risposta della Corte costituzionale che arriva anche per quanto riguarda i
profili di criticità del decreto ministeriale, da una parte disciplina di
natura regolamentare dall’altra strettamente legato alla norma primaria, è
negativa su tutto il fronte. Per l’ordinanza, infatti, a essere erronea è la
stessa premessa interpretativa. Il tribunale di Cremona e il giudice di pace di
Torre del Greco hanno infatti ritenuto che il diritto al compenso del professionista
nasce al compimento di ogni singolo atto in relazione alle tariffe a quel tempo
in vigore.
Ma
non è così, avverte la Corte
costituzionale. Semmai è vero il contrario. E a confermarlo c’è una recente
sentenza della Corte di cassazione a Sezioni unite, la n. 17405 del 2012.
Secondo questa interpretazione il compenso costituisce un corrispettivo
unitario «che ha riguardo all’opera professionale complessivamente prestata; e
di ciò non si è mai in passato dubitato, quando si è trattato di liquidare
onorari maturati all’esito di cause durante le quali si erano succedute nel
tempo tariffe professionali diverse, giacché sempre in siffatti casi si è fatto
riferimento alla tariffa vigente al momento in cui la prestazione professionale
si è esaurita».
Ma
per la Consulta
c’è spazio anche per altre due risposte, entrambe negative, alle questioni
sollevate sulla medesima materia. Con riferimento alla possibile violazione
dell’articolo 24 della Costituzione, per l’ordinanza, non si può sostenere che
una generale riduzione delle tariffe forensi può avere ripercussioni negative
sull’accesso dei cittadini alla giustizia e, quindi, sul loro diritto di
difesa. «A rigore di logica», invece, la riduzione dei compensi agli avvocato
dovrebbe avere come conseguenza un allargamento del ricorso alla via
giurisdizionale per la soluzione delle controversie. Del tutto astratta poi, e
semmai riconducibile alla categoria degli «inconvenienti di fatto» che non si
possono direttamente ricondurre alla disciplina contestata, la questione
relativa alla diversa entità delle parcelle che sarebbe percepita da due
diversi avvocati, differenti solo nella solerzia con la quale chiedono i
pagamenti (subito in corso di causa oppure solo al termine accontentandosi nel
frattempo di semplici acconti). Sono, nel giudizio della Consulta, variabili
del tutto accidentali relative all’applicazione delle nuove regole e non esiste
manifestamente alcuna violazione dell’articolo 3 della Costituzione.
Giovanni Negri (da il Sole 24 ore)