Trib. Napoli, sez. Marano, sent.
24.7.2013 n° 13462
Per
ottenere il risarcimento del danno da lesioni è necessario che la parte attrice
produca la relativa documentazione sanitaria nei termini di cui all'art. 183,
sesto comma, nn. 2 e 3 c.p.c. E' quanto emerge dalla sentenza del Tribunale di
Napoli, sez. di Marano, del 24 luglio 2013.
Il
caso vedeva un minore, durante il periodo di vacanze trascorse con i genitori,
mentre giocava a bordo piscina di un villaggio turistico, scivolare e cadere
sul fondo della vasca, riportando lesioni. I ricorrenti, agendo giudizialmente
contro la società proprietaria del villaggio turistico, oltre a richiedere, in
nome e per conto del minore, il risarcimento per le lesioni fisiche da questo
subite, lamentavano anche, in nome proprio, il risarcimento per danno da
vacanza rovinata, avendo dovuto interrompere le vacanze a causa del suddetto
infortunio.
Sennonché
la parte attrice, oltre al fatto storico, non produceva alcuna documentazione
sanitaria che comprovasse la natura e il tipo di lesioni subite dal minore, non
riuscendo a dimostrare l'entità del danno patito. Secondo i giudici, in
mancanza della documentazione sanitaria, sarebbe stata inammissibile anche la
ctu medica, avendo, quest'ultima, efficacia solo esplorativa.
Infatti
"la consulenza tecnica d'ufficio non è un mezzo istruttorio in senso
proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di
elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitano di specifiche
conoscenze. Il suddetto mezzo di indagine non può essere, pertanto, autorizzato
al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume e può
essere quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire
la deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere
una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non
provati" (Cass. civ. 12990/2013).
Di
conseguenza, nel rito civile, continuano i giudici territoriali, una volta
maturate le preclusioni istruttorie, qualsiasi produzione documentale è
irrituale, e l'irritualità va rilevata d'ufficio: diversamente, ammettendo la
possibilità, per le parti, di fornire la ctu, ovvero documentazione che si sarebbe
dovuta produrre nei termini di cui all'art. 183, sesto comma, nn. 2 e 3 c.p.c.,
si perverrebbe ad una interpretatio abrogans della norma, in quanto la parte
potrebbe sanare la preclusione già maturata in suo danno, consegnando il
medesimo documento al c.t.u. ben potendo, in tal modo, ed in violazione
dell'art. 88 c.p.c., rendere più difficoltosa la difesa di controparte.
Ancora,
la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il c.t.u. non può esaminare
documenti irritualmente prodotti, e che se il medesimo esamina i documenti
irritualmente prodotti, e le sue convinzioni vengono recepite dal giudice, la
sentenza si deve ritenere viziata nella motivazione (Cass. civ., 26 ottobre
1995, n. 1133 e più recentemente Cass. civ., n. 3364/2008).
Inoltre
non può essere invocato l'art. 210 c.p.c., in quanto, trattandosi di
documentazione che ben poteva essere nella disponibilità della parte stessa,
con tale mezzo istruttorio si sarebbe inteso aggirare l'onere probatorio
gravante sulla parte attrice.
(Da Altalex del
14.1.2014. Nota di Simone Marani)