Cass. Civ., sez. lavoro, sent.
3.12.2013 n° 27057
Un'amministrazione
locale aveva inviato alcuni ordini di servizio presso il domicilio del
lavoratore dipendente che, in qual momento, si trovava in altra località
durante il peridio di godimento delle proprie ferie (debitamente richieste e
concesse dall'amministrazione datore di lavoro).
Tali
ordini di servizio, mai ritirati dal lavoratore, avevano ad oggetto la revoca
delle ferie concesse e l'ordine di riprendere l'attività lavorativa.
Al
mancato rispetto degli ordini di servizio così inviati, era dunque seguito il
licenziamento del lavoratore: licenziamento prontamente impugnato.
Nel
corso dei due gradi di merito il lavoratore otteneva pronunce ad esso
favorevoli, nel senso dell'accertamento dell'illegittimità del licenziamento
così disposto.
L'amministrazione
locale aveva quindi proposto ricorso per cassazione al fine di veder affermata
l'erroneità della pronuncia di secondo grado.
In
particolare, il ricorrente deduceva una serie articolata di motivi di ricorso.
In
primo luogo, veniva dedotto l'erroneità consistente nel ritenere che le
comunicazioni di richiamo in servizio inviate presso il domicilio del
dipendente fossero irrilevanti essendo questi in ferie. Ciò, secondo il
ricorrente, sia in base al principio di cui alla sentenza della Corte
costituzionale n. 3 del 2010, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale
dell'art. 140 c.p.c., secondo cui la notificazione effettuata ai sensi di tale
disposizione si perfeziona comunque, per il destinatario, con il ricevimento
della raccomandata informativa, sia in base all'art. 23 del c.c.n.l.
applicabile, il quale prevedeva tra i doveri del dipendente quello di
"comunicare all'Amministrazione la propria residenza e, ove non
coincidente, la dimora temporanea nonché ogni successivo mutamento delle
stesse".
Da
tali ordini di ragionamento, secondo il ricorrente, il dipendente in ferie
sarebbe stato tenuto a comunicare la sua dimora temporanea ed i successivi
eventuali mutamenti al datore di lavoro.
Tale
motivo veniva però ritenuto infondato, in quanto la Corte ha ritenuto che
sussiste il diritto del datore di lavoro di conoscere il luogo ove inviare
comunicazioni al dipendente nel corso del rapporto di lavoro e non già durante
il legittimo godimento delle ferie, stante sia la natura costituzionalmente
tutelata del godimento delle ferie, che le connesse esigenze di privacy.
In
altri termini, “il lavoratore è libero, salvo diverse pattuizioni, di godere
secondo le modalità e nelle località che ritenga più congeniali al recupero
delle sue energie psicofisiche”, senza che sussista alcun obbligo di comunicare
al datore di lavoro il luogo di destinazione, cosa, questa che comporterebbe
“una inammissibile e gravosa attività di comunicazione formale, magari
giornaliera, dei suoi spostamenti.”
Veniva
poi dedotto che, ai sensi dell'art. 2109 c.c. e dell'art. 18 del c.c.n.l.
applicabile, il datore avrebbe avuto il diritto di richiamare dalle ferie il
dipendente con ordine per quest'ultimo vincolante, permanendo, anche durante il
godimento delle ferie, il potere del datore di lavoro di modificare il periodo
feriale anche a seguito di una riconsiderazione delle esigenze aziendali.
In
conseguenza di ciò, la Corte
d'appello avrebbe errato nella sua pronuncia nel non applicare l'art. 55,
d.lgs. n. 165/01 e l'art. 25 del c.c.n.l. di riferimento: disposizioni, queste,
che consentirebbero il licenziamento per assenza ingiustificata del lavoratore,
quale che fosse la causa dell'assenza.
In
sostanza, secondo il ricorrente, il licenziamento sarebbe legittimo in quanto
conseguirebbe ad una assenza ingiustificata derivante, a propria volta, dal
corretto esercizio del potere di revocare le ferie già concesse. Una volta
revocate le ferie il lavoratore avrebbe cioè dovuto rientrare in servizio
immediatamente.
Sul
punto, la pronuncia mette però in risalto una circostanza ben precisa in ordine
al potere datoriale di revocare le ferie già concesse: ossia che esso sia
esercitato non soltanto prima dell'inizio delle stesse, ma finanche con un
congruo preavviso di tempo.
In
sostanza, la Corte
ha ritenuto infondato l'argomento del ricorrente negando in radice il
presupposto iniziale del ragionamento. Il datore di lavoro, secondo la
pronuncia in esame, ben può motivatamente revocare le ferie, ma ciò soltanto
prima che esse abbiano iniziato a decorrere, affermando testualmente che il
potere di revoca in questione “presuppone all'evidenza una comunicazione
tempestiva ed efficace, idonea cioè ad essere conosciuta dal lavoratore prima
dell'inizio del godimento delle ferie, tenendo conto che il lavoratore non è
tenuto, salvo patti contrari, ad essere reperibile durante il godimento delle
ferie”.
(Da Altalex del
9.1.2014. Nota di Riccardo Bianchini)