Cass.
Pen., sez. III, sent. 25.9.2013 n° 39766
Con
la sentenza 16 Aprile- 25 Settembre 2013, n. 39766 la Suprema Corte di
Cassazione, Sezione III Penale, nell’affrontare un caso di atti sessuali compiuti
su minore ex artt. 81 e 609 quater c.p., procede a delineare il bilanciamento tra il diritto di difesa
dell’imputato ex art. 24 Costituzione al rispetto delle regole del
contraddittorio attraverso un corretto confronto con l’accusatore ed il
parimenti importante diritto del minore alla salute, nello specifico
all’integrità psico-fisica tutelato ex art. 32 Costituzione, qualora la vicenda
storica da accertare richieda l’audizione del minore stesso.
Nello
specifico si parte dall’imprescindibile assunto che il minore che sia parte
lesa di tale deplorevole condotta criminosa non debba essere ulteriormente
penalizzato dall’attività giudiziaria rivolta all’accertamento dello
stesso. Tuttavia sebbene sia pacifico
che “il processo in sé sia portatore di sofferenza per i bambini (e per gli
adulti), la testimonianza del minore non può essere esclusa sulla base della
mera previsione che la audizione possa produrgli un disagio; se così fosse, mai
nessun bambino dovrebbe essere sentito in ambito giudiziario.”
Il
Collegio ribadisce il proprio precedente orientamento in ragione del quale “nei
reati sessuali con vittime minori di tenera età, è indispensabile la audizione
degli adulti di riferimento ai quali la piccola parte offesa si è per primo
confidata: ciò per potere ricostruire quali siano stati la genesi della notizia
di reato, la prima dichiarazione del bambino (che, se spontanea, è la più
genuina perché immune da interventi intrusivi), le domande degli adulti, le
relative risposte dello interrogato, l'eventuale incremento del racconto del
bambino neltempo.” (Corte di Cassazione , Sezione III penale, sentenza del
11.6.2009, n. 30964)
Tuttavia
quanto evidenziato non toglie la necessità di acquisire al processo il racconto
della vittima nella qualità di unico testimone diretto, il cui peso specifico
nel compendio probatorio è notevole in ordine alla corretta ricostruzione della
vicenda storica e al conseguente accertamento della sussistenza della
responsabilità penale dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio.
Per
questi motivi, qualora possibile, è utile il ricorso allo strumento processuale
dell’incidente probatorio ex art. 392 c.p.p., comma 1 bis come modificato dalla
legge 15 febbraio 1996, n. 66, dalla legge 3 agosto 1998, n. 269 e dalla legge
11 agosto 2003, n. 228, quale sede privilegiata dell’audizione del minore e nel
quale espletare la perizia del minore stesso volta all’accertamento della
capacità del bambino a testimoniare e, di conseguenza, a rendere possibile
l’acquisizione al processo delle dichiarazioni fornite dallo stesso in tale
sede.
In
tali casi è sicuramente opportuno che l’incidente probatorio venga esperito e
che pertanto il minore venga escusso possibilmente in un ambiente a lui
familiare e con l’adozione di una serie di cautele volte a procurargli il minor
disagio possibile, con la presenza di uno psicologo che lo assista per superare
il comprensibile momentaneo disagio all’espletamento della testimonianza oppure
il timore nei confronti dell’interlocutore estraneo.
Sostiene
il Collegio che sovente nei casi di abusi sessuali a danni di minori accade che
nonostante il sistema processuale penale predisponga apposite cautele, non si
provvede all’assunzione diretta di conoscenza in ordine all’acquisizione al
processo del fatto storico ponendo in essere una interpretazione estensiva
dell’art. 195, comma 3, c.p.p. ( che prevede l’inutilizzabilità nel processo
delle “dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto
conoscenza da altre persone, salvo che l'esame di queste risulti impossibile
per morte, infermità o irreperibilità”)
e che tale prassi sia “vietata poiché trattasi di una mera eccezione ad
una regola generale” e non ci può dilatare il concetto di “infermità” previsto
dalla norma summenzionata fino a ricomprendervi la “normale fragilità del
piccolo per il comprensibile timore che possa subire vittimizzazioni secondarie
dalla audizione processuale”.
Nel
processo penale vige la regola fondamentale della formazione della prova nel
contraddittorio tra le parti, quale baluardo del diritto di difesa
dell’imputato ex art. 24 Costituzione.
Tale regola può essere disattesa solo qualora si sia in presenza di gravi
ragioni ostative alla acquisizione della fonte diretta (nel caso di specie
audizione del minore quale testimone principale e vittima della condotta
criminosa).
"Si
può, quindi, prescindere dal contributo narrativo del minore laddove un
professionista competente, con un motivato parere, segnali che il piccolo ha
una personalità così fragile da potersi equiparare ad infermità oppure evidenzi
la possibilità di insorgenza di danni, anche transeunti, alla salute del
bambino, collegati alla testimonianza.”
In
questi frangenti prevalendo il parimenti primario diritto all’integrità
psico-fisica del bambino, occorre rinunciare al contributo narrativo diretto
del minore e porre in essere la
ricostruzione della vicenda storica attraverso l’apporto probatorio di
testimoni de relato (deposizione di persone non presenti al momento del reato),
ad esempio la madre del minore che ne abbia ricevuto le confidenze.
La
Suprema Corte non
manca di osservare che “che, stante la scarsa autonomia del bambino, gli adulti
ne sono spesso i portavoce; questi normalmente non sono edotti del pericolo che
le preoccupazioni le ansie dello interrogante contaminino le risposte del
piccolo interlocutore. Ne consegue che l'attendibilità del contenuto delle
dichiarazioni de relato, riferite a soggetti minori in tenera età, è spesso
gravata da dubbi che possono essere superati solo mediante la escussione del
teste diretto effettuata con modalità rispettose del contraddicono delle parti
e della integrità psico-fisica del bambino".
(Da Altalex del
31.12.2013. Nota di Mirella Pocino)